ORDINANZA N. 378
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Fernando Santosuosso, Presidente
- Massimo Vari
- Gustavo Zagrebelsky
- Valerio Onida
- Carlo Mezzanotte
- Fernanda Contri
- Guido Neppi Modona
- Piero Alberto Capotosti
- Annibale Marini
- Franco Bile
- Giovanni Maria Flick
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 210, comma 4, in relazione al comma 1, del codice di procedura penale, e dell’art. 1 del decreto–legge 7 gennaio 2000, n. 2 (Disposizioni urgenti per l’attuazione dell’articolo 2 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, in materia di giusto processo), convertito, con modificazioni, nella legge 25 febbraio 2000, n. 35, promosso con ordinanza emessa il 16 ottobre 2000 dal Tribunale di Ragusa nel procedimento penale a carico di A.C. ed altri, iscritta al n. 222 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 26 settembre 2001 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che con ordinanza emessa il 16 ottobre 2000 il Tribunale di Ragusa ha sollevato questione di legittimità costituzionale: a) dell’art. 210, comma 4, in relazione al comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui accorda al coimputato o all’imputato di reato connesso la facoltà di non rispondere su fatti concernenti la responsabilità di altri, per violazione degli artt. 3 e 112 della Costituzione; b) dell’art. 1 del decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2 (Disposizioni urgenti per l’attuazione dell’articolo 2 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, in materia di giusto processo), convertito, con modificazioni, nella legge 25 febbraio 2000, n. 35, nella parte in cui consente, a certe condizioni, la valutazione delle dichiarazioni ivi contemplate solo se già acquisite al fascicolo per il dibattimento, per violazione dell’art. 3 della Costituzione;
che l’ordinanza premette che, nel corso di un procedimento nei confronti di persone imputate dei reati di associazione per delinquere, truffa in danno delle Comunità europee ed altro, il pubblico ministero aveva chiesto l’esame dibattimentale di una persona coimputata dei medesimi reati, nei confronti della quale era stata disposta la separazione del procedimento a seguito della formulazione di richiesta di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen.: persona la quale, peraltro, si era avvalsa della facoltà di non rispondere;
che — sottolineato come l’art. 513 cod. proc. pen. debba considerarsi implicitamente abrogato nella parte in cui consentiva l’utilizzazione delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari dal coimputato che si sottrae all’esame dibattimentale — il giudice a quo assume che l’art. 210 cod. proc. pen. determini, sotto il profilo considerato, una irragionevole disparità di trattamento fra il caso in cui la prova a carico dell’imputato sia costituita dalle dichiarazioni di un coimputato o di un imputato in procedimento connesso il quale accetti di sottoporsi ad esame, concorrendo così all’affermazione di responsabilità della persona da giudicare, ed il caso analogo in cui detto imputato o coimputato si rifiuti di rispondere, determinandone così l’assoluzione;
che la medesima considerazione farebbe dubitare, altresì, della legittimità costituzionale della disciplina transitoria dettata, in attuazione dei principi del "giusto processo" di cui al nuovo testo dell’art. 111 Cost., dall’art. 1 del d.l. n. 2 del 2000, convertito, con modificazioni, nella legge n. 35 del 2000, allorchè consente, nei processi in corso, a certe condizioni, la valutazione delle dichiarazioni rese da persone che si sono sottratte all’esame in contraddittorio, ma solo se le dichiarazioni stesse risultino già acquisite al fascicolo per il dibattimento, e dunque in dipendenza di una circostanza meramente "occasionale" (di fatto non verificatasi nel procedimento a quo);
che l’art. 210, comma 4, cod. proc. pen. si porrebbe inoltre in contrasto con il principio di obbligatorietà dell’azione penale, sottraendo al pubblico ministero il potere di far entrare nel processo fonti di prova legittimamente acquisite nella fase delle indagini e che hanno sorretto l’esercizio di detta azione;
che nel giudizio di costituzionalità é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la declaratoria di inammissibilità o infondatezza della questione.
Considerato che successivamente all’ordinanza di rimessione é intervenuta la legge 1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell’articolo 111 della Costituzione), la quale ha profondamente innovato la disciplina del diritto al silenzio e della formazione della prova in dibattimento, incidendo in senso limitativo, tra l’altro, sul campo di applicazione dell’art. 210 cod. proc. pen., per la parte in cui forma oggetto dell’odierna impugnativa;
che a fronte di tali modifiche normative, che investono anche il contesto complessivo della disciplina di riferimento, gli atti devono quindi essere restituiti al giudice rimettente perchè verifichi se la questione sia tuttora rilevante nel giudizio a quo.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Ragusa.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 novembre 2001.
Fernando SANTOSUOSSO, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Depositata in Cancelleria il 28 novembre 2001.