Ordinanza n. 326/2001

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ORDINANZA N.326

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo Chieppa

- Gustavo Zagrebelsky

- Valerio Onida

- Carlo Mezzanotte

- Guido Neppi Modona

- Piero Alberto Capotosti

- Annibale Marini

- Franco Bile

- Giovanni Maria Flick

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 438, comma 5, e 442, comma 1-bis, codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 22 settembre 2000 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Savona nel procedimento penale a carico di A.W.N. ed altro, iscritta al n. 1 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2001.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 4 luglio 2001 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che con ordinanza emessa il 22 settembre 2000 nel corso di un procedimento penale nei confronti di persone imputate del reato di cessione illecita di sostanze stupefacenti, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Savona ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111, quarto comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 438, comma 5, e 442, comma 1-bis, del codice di procedura penale, "nella parte in cui consentono che la colpevolezza dell’imputato possa essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi si é volontariamente sottratto all’interrogatorio dell’imputato o del suo difensore";

  che il giudice a quo premette, in punto di fatto, che all’udienza preliminare gli imputati avevano formulato richiesta di giudizio abbreviato, subordinandola, ai sensi dell’art. 438, comma 5, cod. proc. pen., all’esame di persone imputate di reato connesso che avevano reso dichiarazioni accusatorie nel corso delle indagini preliminari;

che — ammesso il rito alternativo — le persone da esaminare si erano peraltro avvalse della facoltà di non rispondere;

  che, in tale situazione — prosegue l’ordinanza di rimessione — le dichiarazioni precedentemente rese dagli accusatori avrebbero dovuto considerarsi comunque utilizzabili ai fini della decisione: la legge 16 dicembre 1999, n. 479, difatti, nel modificare gli artt. 438 e 442 cod. proc. pen., ha attribuito bensì all’imputato la facoltà di subordinare la richiesta di giudizio abbreviato ad una integrazione probatoria — e, dunque, di ottenere la formazione in contraddittorio di alcune delle prove — lasciando espressamente ferma, tuttavia, anche in tal caso, "l’utilizzabilità ai fini della prova degli atti indicati nell’articolo 442, comma 1-bis", del codice di rito, e, dunque, di tutti gli atti compiuti nell’ambito delle indagini preliminari;

  che, tanto premesso, il rimettente osserva come l’art. 111 Cost. sancisca, al quarto comma, il principio del contraddittorio nella formazione della prova, consentendo al legislatore ordinario, con il successivo quinto comma, di stabilire eccezioni a tale principio in tre ipotesi specificamente indicate, tra cui quella del consenso dell’imputato;

che, se é indubbio che la richiesta dell’imputato di definizione del processo allo stato degli atti, ai sensi dell’art. 438, comma 1, cod. proc. pen., rientri in tale previsione di deroga, diversa sarebbe tuttavia l’ipotesi in cui la richiesta stessa venga subordinata all’esame di taluna delle persone indicate dall’art. 210 cod. proc. pen., la quale abbia in precedenza reso dichiarazioni accusatorie;

che in tal caso, difatti, la richiesta di giudizio abbreviato non potrebbe essere apprezzata come consenso all’utilizzazione di tutti gli atti, comprese le dichiarazioni di colui che si intende esaminare: giacchè, al contrario — avendo "il legislatore del 1999, al fine di favorire il ricorso a riti deflattivi, … garantito un contraddittorio pieno, assolutamente compatibile con l’economicità del rito" — la "condizione" dell’esame dell’accusatore costituirebbe una "esplicita manifestazione di volontà di "non consenso" alla formazione di quell’elemento di prova senza contraddittorio";

che da ciò conseguirebbe che qualora — come nel caso di specie — il dichiarante si rifiuti di rispondere, dovrebbe trovare piena applicazione il disposto della seconda parte del quarto comma dell’art. 111 Cost., in forza del quale la responsabilità dell’imputato non può ritenersi provata sulla base di dichiarazioni rese da chi si é sempre volontariamente sottratto all’esame dell’imputato o del suo difensore;

che, in tale prospettiva, risulterebbe altresì compromesso l’art. 3 Cost., giacchè le norme impugnate introdurrebbero una irragionevole disparità di trattamento, riguardo alla valutazione delle dichiarazioni precedentemente rese, a seconda che il rifiuto di rispondere abbia luogo in dibattimento o nel corso del giudizio abbreviato;

che nel giudizio di costituzionalità é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la declaratoria di infondatezza della questione.

Considerato che il giudice rimettente, nel dubitare della legittimità costituzionale degli artt. 438, comma 5, e 442, comma 1-bis, cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 3 e 111, quarto comma, della Carta, fonda tale dubbio sull’assunto per cui la richiesta di giudizio abbreviato "condizionata" — ossia subordinata "ad una integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione" (nella specie, all’esame di persona imputata di reato connesso che ha reso dichiarazioni accusatorie nel corso delle indagini preliminari) — implicherebbe un consenso solo "parziale" dell’imputato all’utilizzazione degli atti del fascicolo del pubblico ministero: tale consenso non si estenderebbe, cioé, agli atti "corrispondenti" alla prova che l’imputato intende far assumere in contraddittorio (nella specie, le precedenti dichiarazioni della persona da esaminare), i quali, pertanto, non potrebbero essere posti a base di un accertamento di colpevolezza senza violare gli indicati parametri costituzionali;

che la premessa fondante il quesito di costituzionalità appare, peraltro, inconciliabile con il disposto dello stesso art. 438, comma 5, cod. proc. pen. (come sostituito dall’art. 27 della legge 16 dicembre 1999, n. 479), il quale — secondo quanto il rimettente medesimo del resto rimarca — prevede espressamente che, nel caso di richiesta di giudizio abbreviato "condizionata", resta comunque ferma l’utilizzabilità a fini di prova "degli atti indicati nell’art. 442, comma 1-bis", dello stesso codice, e dunque, in primis, degli atti del fascicolo del pubblico ministero: tanto che, coerentemente, la norma impugnata parla di "integrazione probatoria", rimarcando così, anche sul piano terminologico, il carattere aggiuntivo ("integrazione") — e non già sostitutivo, rispetto agli atti del predetto fascicolo — della prova che l’imputato intende far assumere nell’udienza preliminare;

che, a fronte di tale inequivoco dato normativo, é dunque di tutta evidenza come, nel momento in cui formula richiesta di giudizio abbreviato, sia pure "condizionata", l’imputato — come "contropartita" ad una riduzione di pena nel caso di condanna — accetta l’utilizzabilità, ai fini della decisione di merito, dell’intero materiale probatorio raccolto nelle indagini preliminari fuori del contraddittorio tra le parti, senza alcuna eccezione;

che, in tale ottica, la dedotta violazione dell’art. 111, quarto comma, Cost. si rivela manifestamente insussistente, posto che — come questa Corte ha già avuto modo di affermare e come lo stesso giudice a quo, in via generale, non contesta — il "consenso" all’utilizzazione degli atti di indagine, insito nella richiesta di giudizio abbreviato, ricade nell’ambito delle ipotesi di deroga al principio di formazione della prova in contraddittorio, cui é riferimento nel quinto comma dello stesso art. 111 Cost. (v. sentenza n. 115 del 2001): con conseguente esclusione di ogni contrasto della disciplina in esame con i principi del "giusto processo";

che priva di consistenza é, altresì, la denuncia di violazione dell’art. 3 Cost., stante la palese eterogeneità — quanto a presupposti e disciplina — dei due moduli processuali posti a confronto (rito ordinario, con piene garanzie dibattimentali, e rito abbreviato, che presuppone la rinuncia dell’imputato alle stesse in cambio di uno "sconto" di pena in caso di condanna);

che la questione deve essere dichiarata, pertanto, manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 438, comma 5, e 442, comma 1-bis, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 111, quarto comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Savona con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2001.