ORDINANZA N.307
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) - inserito dall’art. 1 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 1991, n. 203, come modificato dall’art. 15 del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356 -, promosso dal Tribunale di sorveglianza dell'Aquila con ordinanza emessa il 21 gennaio 2000, iscritta al n. 757 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell'anno 2000.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 4 luglio 2001 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che il Tribunale di sorveglianza dell'Aquila ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis [comma 1, primo periodo] della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) - inserito dall’art. 1 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 1991, n. 203, come modificato dall’art. 15 del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356 - nella parte in cui subordina alla collaborazione con la giustizia la concessione della semilibertà nei confronti di soggetti condannati per i delitti ivi indicati e sottoposti alla misura di sicurezza della casa di lavoro;
che il rimettente premette di essere investito di una richiesta di ammissione alla semilibertà formulata da un internato in esecuzione della misura di sicurezza della casa di lavoro, ordinata per la durata di un anno dalla Corte di assise di Palermo in data 10 dicembre 1990 con la sentenza di condanna ad anni cinque e mesi quattro di reclusione per il delitto di cui all'art. 416-bis del codice penale (associazione di tipo mafioso);
che dall’ordinanza emerge che la misura di sicurezza é stata dichiarata eseguibile a norma dell'art. 679 del codice di procedura penale dal Magistrato di sorveglianza di Catania in data 11 novembre 1994 e che il termine per il riesame obbligatorio della pericolosità del condannato é fissato al 5 marzo 2000;
che il rimettente espone che la verifica effettuata dalla autorità di pubblica sicurezza in ordine alla offerta di lavoro prospettata dal condannato ha avuto esito positivo e che nelle informazioni fornite sempre dalla autorità di pubblica sicurezza <<non si riferisce alcunchè in merito alla attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata, giacchè ci si limita ad elencare i trascorsi criminali del soggetto>>;
che tuttavia il rimettente rileva che sussiste <<una condizione ostativa all'esame del merito dell'istanza, che sotto ogni altro profilo si appalesa ammissibile>>, non trovandosi il richiedente nelle condizioni di cui all'art. 58-ter dell'ordinamento penitenziario (anche sotto il profilo della impossibilità o inesigibilità della condotta collaborativa);
che, a giudizio del Tribunale, la disposizione censurata si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 (sotto il profilo della irragionevolezza) e 27, terzo comma, della Costituzione (per violazione del principio della finalità rieducativa della pena);
che il divieto di ammissione alla semilibertà, previsto in assenza del requisito della collaborazione nei confronti degli internati condannati per i delitti indicati dall'art. 4-bis, comma 1, primo periodo, dell'ordinamento penitenziario, sarebbe privo di ragionevolezza in quanto tali soggetti possono fruire, ai sensi dell'art. 53 del medesimo ordinamento, delle licenze, <<che concretamente implicano una limitazione della libertà personale e possibilità di controllo di gran lunga inferiori rispetto alla semilibertà, che non interrompe il legame con l'istituzione penitenziaria e richiede un preciso supporto esterno>>, e possono addirittura essere ammessi alla libertà vigilata, in sostituzione della misura detentiva della casa di lavoro, a seguito del riesame della pericolosità sociale effettuato a norma dell'art. 230, comma 2, cod. pen.;
che, inoltre, risulterebbe violato l'art. 27, terzo comma, Cost., in quanto la norma censurata, ispirata a finalità di prevenzione generale, introduce <<una presunzione assoluta di inidoneità dell'internato alla fruizione di determinati benefici>>, equiparabile alle <<presunzioni di pericolosità sociale, non consentite>>, in contrasto con le "finalità specialpreventive e risocializzanti" proprie delle misure di sicurezza;
che nei confronti dei soggetti sottoposti a misura di sicurezza non dovrebbero essere consentite valutazioni estranee al giudizio di pericolosità sociale e che il legislatore non potrebbe quindi prevedere <<norme di sfavore in funzione della natura del reato commesso e quindi con finalità di prevenzione generale>>;
che la disciplina restrittiva introdotta dall'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario si tradurrebbe <<nella configurazione normativa di una categoria di reclusi presuntivamente ad alto grado di pericolosità>>, ispirata a finalità estranee a quelle proprie delle misure di sicurezza e suscettibile di determinare un aumento di afflittività della pena fissata in sentenza anche in ragione della indeterminatezza temporale che caratterizza le misure di sicurezza per la mancanza di un termine finale di durata;
che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;
che, ad avviso dell'Avvocatura, sarebbe tutt'altro che irragionevole la scelta del legislatore di escludere l'accesso a determinati benefici (come, nella specie, la semilibertà), la cui concessione presuppone la non pericolosità sociale del soggetto, nei confronti di chi é sottoposto ad una misura di sicurezza che quella pericolosità presuppone ancora attuale, in conseguenza della commissione di reati di particolare gravità, senza che siano intervenuti elementi quali la collaborazione con la giustizia o equipollenti, che consentano di ritenere più attenuata la pericolosità stessa.
Considerato che il rimettente dubita, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, primo periodo, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) - come modificato dall’art. 15, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356 - nella parte in cui subordina alla collaborazione con la giustizia la concessione della semilibertà nei confronti di soggetti condannati per i delitti ivi indicati e sottoposti alla misura di sicurezza della casa di lavoro;
che, per quanto concerne i profili di rilevanza della questione, il giudice a quo da un lato si limita a fare presente che la verifica effettuata dall’autorità di pubblica sicurezza in ordine all’offerta di lavoro ha avuto esito positivo e che nelle informazioni acquisite <<non si riferisce alcunchè in merito all’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata>>, dall’altro afferma apoditticamente che la richiesta dell’internato di essere ammesso alla semilibertà <<sotto ogni altro profilo si appalesa ammissibile>>;
che, trattandosi nel caso di specie di soggetto sottoposto alla misura di sicurezza della casa di lavoro, disposta a norma dell’art. 417 del codice penale a seguito di sentenza di condanna per il reato di associazione di tipo mafioso, si deve ritenere che, essendo applicata una misura di carattere detentivo invece della libertà vigilata, l’internato sia portatore di un livello elevato di pericolosità sociale;
che pertanto il rimettente, nel motivare sulla rilevanza della questione, avrebbe quantomeno dovuto dare conto dell’attuale grado di pericolosità dell’internato, al fine di verificarne la compatibilità con l’ammissione alla semilibertà, con particolare riferimento ai progressi compiuti nel corso dell’esecuzione della pena e della misura di sicurezza e alle condizioni per un graduale reinserimento nella società, come richiesto dall’art. 50, comma 4, dell’ordinamento penitenziario per la concessione di tale misura (per analoghe considerazioni sull’onere di motivazione, con riferimento ad una questione concernente la misura alternativa della detenzione domiciliare, v. ordinanza n. 77 del 2000);
che la questione va quindi dichiarata manifestamente inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) - inserito dall’art. 1 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 1991, n. 203, come modificato dall’art. 15 del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356 - sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza dell’Aquila, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2001.
Cesare RUPERTO, Presidente
Guido NEPPI MODONA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 25 luglio 2001.