Ordinanza n. 279/2001

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ORDINANZA N.279

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI                     

- Riccardo CHIEPPA             

- Gustavo ZAGREBELSKY              

- Valerio ONIDA                    

- Carlo MEZZANOTTE                     

- Fernanda CONTRI               

- Guido NEPPI MODONA                

- Piero Alberto CAPOTOSTI             

- Annibale MARINI               

- Franco BILE             

- Giovanni Maria FLICK                    

ha pronunciato la seguente                  

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 3 e 8 in relazione all'art. 10, commi 1, 3 e 4, della legge 11 novembre 1996, n. 574 (Nuove norme in materia di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e di scarichi dei frantoi oleari), promossi con n. 3 ordinanze emesse il 28 ottobre 1998 dal Pretore di Pescara rispettivamente iscritte ai nn. 722, 723 e 724 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 2000.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 maggio 2001 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

Ritenuto che con tre ordinanze di identico contenuto, emesse il 28 ottobre 1998, nel corso di altrettanti procedimenti penali aventi ad oggetto lo scarico sul suolo di acque di vegetazione provenienti dalla molitura delle olive senza il possesso della prescritta autorizzazione, il Pretore di Pescara ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 9, secondo comma, 32 e 41 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, 8 in relazione all'art. 10, commi 1,3,e 4, della legge 11 novembre 1996, n. 574 (Nuove norme in materia di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e di scarichi dei frantoi oleari);

che il giudice rimettente si fa carico della decisione di questa Corte relativa ad identica questione sfociata in una pronuncia di manifesta inammissibilità (ordinanza n. 20 del 1998), e ripropone la questione di legittimità costituzionale già sollevata, basandosi sulla considerazione che il nuovo regime di favore introdotto con la legge n. 574 del 1996 per gli scarichi dei frantoi sia complessivamente in contrasto con i principi fondamentali della Costituzione, in quanto la sanzione dell'illecito spandimento delle acque di vegetazione é ora di natura amministrativa, mentre in precedenza era di natura penale, tenuto conto che la disciplina precedente continuerebbe ad essere applicata agli scarichi effettuati prima dell'entrata in vigore della legge n. 574 del 1996, con evidente disparità di trattamento;

che, sotto il profilo della rilevanza, il giudice a quo osserva che nel caso di "depenalizzazione di una materia", la valutazione di tale requisito debba ispirarsi a criteri più ampi, in particolare modo quando la fattispecie sottoposta al giudizio deve essere sanzionata in base alla legge 10 maggio 1976, n. 319 (Norme per la tutela delle acque dall'inquinamento), soggetta, quindi, ad una sanzione di natura penale, mentre il fatto ora non sarebbe più previsto come reato, con evidente disparità di trattamento tra coloro che hanno commesso il fatto prima o dopo l'entrata in vigore della nuova legge di depenalizzazione;

che la disparità di trattamento, sempre secondo il giudice rimettente, apparirebbe ancor più evidente, qualora si consideri che la depenalizzazione non é conseguenza di una attenuazione della tutela del bene giuridico protetto, giacchè la tutela dell'ambiente rimane un valore primario dell'ordinamento;

che, d'altro canto, una interpretazione eccessivamente rigorosa del requisito della rilevanza sottrarrebbe, di fatto, al sindacato della Corte costituzionale le leggi di depenalizzazione sulla base di una disposizione ordinaria (art. 23 della legge n. 87 del 1953), senza tenere conto che tutte le leggi che incidono sul giudizio di liceità delle condotte umane e sulla relativa sanzione, interagirebbero in modo diretto con i diritti di libertà dei cittadini e con i principi di eguaglianza e di ragionevolezza;

che, in sintesi, il giudice rimettente assume che la valutazione della capacità inquinante delle acque di vegetazione, operata con assimilazione alla categoria delle acque da insediamenti produttivi dal legislatore del 1976, sarebbe tuttora rispondente alla esigenza di tutelare l'ambiente (art. 9 della Costituzione) e la salute umana (art. 32 della Costituzione) ed a garantire lo svolgimento della libera iniziativa economica secondo i principi di non discriminazione (artt. 41 e 3 della Costituzione);

che nei giudizi introdotti con le citate ordinanze é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso - oltre che per l’infondatezza - per la inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, in quanto il giudice a quo riconoscerebbe esplicitamente che nel giudizio principale debba farsi applicazione della normativa di cui alla legge n. 319 del 1976 relativa allo sversamento non autorizzato di acque di vegetazione sul suolo, senza peraltro sollevare dubbi, salvo quello della disparità di trattamento, sulla legittimità costituzionale di tale normativa, che prevede, per tali fatti, la sanzione penale;

che l'inammissibilità é fatta valere anche sotto il profilo del contrasto con il principio di stretta legalità in materia di reati e di pene, in quanto l'eventuale accoglimento della questione concretizzerebbe ovvero ripristinerebbe una fattispecie incriminatrice diversa o ulteriore rispetto a quelle configurate dal legislatore.

Considerato che, stante la identità delle questioni sollevate, deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi;

che, preliminarmente, giova chiarire che l’art. 10 della legge n. 574 del 1996 non viene contestato ai fini dell'applicabilità della legge n. 319 del 1976 alle fattispecie anteriori (fatti commessi in data anteriore a quella di entrata in vigore della legge) non in regola con taluni obblighi transitoriamente previsti dal decreto-legge 26 gennaio 1987, n. 10 (Disposizioni urgenti in materia di scarichi dei frantoi oleari), convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 1987, n. 119; in realtà si denuncia la differente scelta del legislatore (rispetto al caso in esame) di non contemplare sanzioni penali per le semplici violazioni alle nuove norme sulla utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione provenienti da frantoi oleari, estranee alla fattispecie in esame, purchè successive alla legge n. 574 del 1996;

che in realtà quest’ultimo profilo deriva da una scelta discrezionale del legislatore, che non é manifestamente irragionevole nè palesemente arbitraria, in quanto i cambiamenti normativi in ordine alla possibilità di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e residui assimilati, provenienti da frantoi oleari, deriva da una innovativa tendenza a facilitare il riuso delle scorie e dei residui di talune lavorazioni di prodotti, ed é accompagnata da nuove (ritenute non applicabili retroattivamente) procedure amministrative (con previsione di semplici sanzioni amministrative) e da limiti oggettivi tassativi: la nuova disciplina riguarda solo acque residuate dalla lavorazione meccanica delle olive che non hanno subito alcun "trattamento", nè ricevuto alcun "additivo";

che, del resto, sul piano della ragionevolezza della scelta, deve essere sottolineato che rimangono non assorbite dal sistema sanzionatorio amministrativo tutte le fattispecie in cui (osservate o meno le procedure di autorizzazione e le relative modalità attuative) si verifichi, per dolo (o anche per colpa a seconda delle ipotesi) un concreto danno alle acque o alla salute dell’uomo, tale da integrare gli elementi costitutivi di distinta previsione di reato, ciò anche in base al principio di specialità;

che l’ordinanza di rimessione della questione contiene una valutazione plausibile che le condotte (scarico di un frantoio oleario), oggetto del giudizio penale, rientravano nella previsione dell’art. 21 della legge 10 maggio 1976, n. 319, anche alla luce della normativa transitoria contenuta nell’art. 10, comma 4, della sopravvenuta legge 11 novembre 1996, n. 574, in quanto scarichi effettuati, prima dell’entrata in vigore della anzidetta legge n. 574 del 1996 e quindi assimilati a scarico di insediamento produttivo, da soggetto che non aveva adempiuto agli obblighi previsti dagli artt. 1 e 2 del d.l. 26 gennaio 1987, n. 10, convertito in legge 24 marzo 1987, n. 119;

che tale valutazione compiuta dal giudice a quo comporta che lo stesso giudice ha già esaurito il suo giudizio in base al predetto art. 10, comma 4, della legge n. 574 del 1996, escludendo l’ipotesi di non punibilità prevista dalla medesima disposizione, per cui é evidente l’irrilevanza della relativa questione di legittimità costituzionale;

che la stessa ordinanza non contesta nè pone dubbi sul profilo della applicabilità alla fattispecie al suo esame delle sanzioni penali dell’art. 21 della legge n. 319 del 1976, ma solleva la questione di legittimità costituzionale sulla disparità di trattamento e sulla depenalizzazione e la futura (rispetto alle fattispecie successive all’entrata in vigore della legge n. 574 del 1996) applicabilità di sole sanzioni amministrative per una serie di violazioni alla nuova disciplina (ormai in parte derogatoria ed integrativa rispetto a quella generale degli scarichi da insediamenti produttivi), relativa alla utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e delle sanse umide provenienti da frantoi oleari, contenuta nella anzidetta legge n. 574 del 1996;

che, in altri termini, l’ordinanza di rimessione ha come dichiarato obiettivo di far sì che "la disciplina e le sanzioni della legge n. 319 del 1976" siano applicabili per gli scarichi (rectius: per la utilizzazione di residui derivati) da frantoi oleari non "solo per le violazioni pregresse di cui in imputazione" nel procedimento a quo, ma anche per le violazioni successive alla legge n. 574 del 1996, estranee, tuttavia, al giudizio a quo;

che, in definitiva, l’ordinanza di rimessione utilizza la fattispecie al suo esame - rispetto alla quale e al tempo della commissione dei fatti ed in relazione alla disposizione penale che il giudice ritiene di dovere applicare (legge n. 319 del 1976) non viene profilato alcuno specifico e rilevante problema di legittimità costituzionale - come mero espediente per sollevare una questione con riferimento ad un’altra norma contenente depenalizzazione, che lo stesso giudice afferma non applicabile nel giudizio a quo;

che, quindi, difetta del tutto la incidentalità della questione per il difetto assoluto di rilevanza, non essendo consentito al giudice di proporre autonomamente ed in via diretta questioni di legittimità costituzionale, che non siano collegate al giudizio in corso, attraverso la norma da applicare nello stesso giudizio per profili processuali, ovvero attinenti al merito della controversia e alla loro definizione;

che, pertanto, le questioni sollevate sono manifestamente inammissibili.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3 e 8 in relazione all'art. 10, commi 1, 3 e 4, della legge 11 novembre 1996, n. 574 (Nuove norme in materia di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e di scarichi dei frantoi oleari), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 9, secondo comma, 32 e 41 della Costituzione, dal Pretore di Pescara con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2001.