ORDINANZA N. 261
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 210 del codice di procedura penale, promossi, nell'ambito di diversi procedimenti penali, con ordinanze emesse il 12 gennaio 2000 dal Tribunale di Crotone, il 19 aprile 2000 dal Tribunale di Milano, il 23 giugno 2000 dal Tribunale di Foggia, il 14 giugno 2000 dal Tribunale di Nocera Inferiore e il 9 ottobre 2000 dal Tribunale di Foggia, iscritte rispettivamente ai nn. 167, 447, 649, 721 e 851 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 17, 35, 45, 48, prima serie speciale, dell'anno 2000 e n. 3, prima serie speciale, dell'anno 2001.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 6 giugno 2001 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che il Tribunale di Crotone con ordinanza emessa il 12 gennaio 2000 (r.o. n. 167 del 2000) ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 97, 111, 112 e 113 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 210, comma 4, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede la facoltà di non rispondere per i soggetti nei cui confronti si procede o si è proceduto separatamente, che hanno in precedenza reso dichiarazioni eteroaccusatorie;
che analoga questione è stata sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 112 Cost., dal Tribunale di Milano con ordinanza emessa il 19 aprile 2000 (r.o. n. 447 del 2000) e, in riferimento agli artt. 3, 111 e 112 Cost., dal Tribunale di Foggia con due ordinanze di identico contenuto emesse il 23 giugno e il 9 ottobre 2000 (r.o. nn. 649 e 851 del 2000);
che il Tribunale di Crotone - premesso che un imputato in procedimento connesso «già giudicato con sentenza di perdono giudiziale», citato ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen., si è avvalso della facoltà di non rispondere e che la difesa dell’imputato non ha prestato consenso alla «formazione della prova in assenza di contraddittorio» - rileva che le precedenti dichiarazioni rese da tale soggetto non sono suscettibili di essere acquisite con il meccanismo delle contestazioni di cui all’art. 513 cod. proc. pen., attesa la loro assoluta inutilizzabilità discendente dai principi di cui all’art. 111 Cost., immediatamente operativi ai sensi dell’art. 1, comma 1, del decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 2 (Disposizioni urgenti per l'attuazione dell'articolo 2 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, in materia di giusto processo), convertito, con modificazioni, nella legge 25 febbraio 2000, n. 35, che dispone l'immediata applicazione «dei principi di cui all'art. 111 della Costituzione» ai procedimenti in corso;
che il Tribunale di Milano - premesso che «un imputato in procedimento connesso già coimputato per i medesimi fatti contestati agli imputati», chiamato ex art. 210 cod. proc. pen. in dibattimento per la prima volta nell'aprile 2000, si è avvalso della facoltà di non rispondere - rileva che «trova applicazione» il nuovo art. 111 Cost. e non la disciplina transitoria dettata dall'art. 1, comma 2, del d.l. n. 2 del 2000;
che il Tribunale di Foggia premette, nella prima ordinanza, che nel corso del dibattimento celebrato in un processo per concussione alcuni imprenditori, già indagati per corruzione e sentiti nella qualità di cui al comma 1 della disposizione censurata, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, e nella seconda che del diritto al silenzio si è avvalso un imputato di reato connesso ex art. 12, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., nei cui confronti si stava procedendo separatamente;
che di conseguenza, ad avviso del Tribunale, per effetto dell'art. 111 Cost., come modificato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, e dell'art.1, comma 1, del d.l. n. 2 del 2000, recante norme per l'attuazione dell'art. 2 della predetta legge costituzionale, che hanno introdotto regole assolutamente incompatibili con la disciplina dell'art. 513 cod. proc. pen. dopo la sentenza n. 361 del 1998 della Corte costituzionale, le dichiarazioni in precedenza rese da tali soggetti non possono essere acquisite al fascicolo per il dibattimento;
che a parere dei giudici a quibus la facoltà di non rispondere prevista dall’art. 210, comma 4, cod. proc. pen. per i soggetti di cui al comma 1, contrasta in primo luogo con l’art. 111 Cost. (commi terzo e quarto);
che tale norma, garantendo il diritto delle parti e, in particolare, dell’imputato di interrogare le persone che rendono dichiarazioni accusatorie (r.o. nn. 167, 649 e 851 del 2000), imporrebbe «un riassetto dei confini tra diritto alla formazione nel contraddittorio della prova e il diritto al silenzio del dichiarante erga alios» (r.o. nn. 167, 447, 649 e 851 del 2000), e comporterebbe che coloro i quali hanno scelto nella fase predibattimentale di rendere dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri «non possono poi sottrarsi nel dibattimento penale al ruolo di fonte di prova liberamente assunto in precedenza», avendo tali dichiarazioni rilevanti riflessi sia in termini di esercizio dell'azione penale, sia in termini di provvedimenti adottabili prima del dibattimento (r.o. nn. 649 e 851 del 2000);
che la disciplina censurata sarebbe inoltre in contrasto:
- con gli artt. 3 e 24 Cost., in quanto le nuove regole fissate dall'art. 111 Cost., incidendo sui rapporti tra il diritto di difesa dell'accusato e il diritto di difesa del dichiarante, implicano che «alla maggior tutela del primo» deve corrispondere «una compressione del secondo», e cioè dello spazio del diritto al silenzio (r.o. n. 167 e 447);
- con gli artt. 112 (r.o. nn. 167, 447, 649 e 851 del 2000), 113 e 97 Cost. (r.o. n. 167 del 2000), in quanto la censurata disciplina del diritto al silenzio vanifica l'attuazione di principi costituzionali di pari rilevanza, quali l'indefettibilità della giurisdizione, l'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale, l'inderogabile funzione conoscitiva del processo, il libero convincimento del giudice (r.o. n. 447 e 649 e 851), condizionando l’esercizio della giurisdizione «nel suo estrinsecarsi e nel suo buon andamento» (r.o. n. 167) alla facoltà di non rispondere del soggetto da esaminare, pur in assenza di reali esigenze di salvaguardia di suoi interessi costituzionalmente protetti, trattandosi di soggetto già giudicato (r.o. n. 167) o a tutela del quale comunque soccorrono le norme che lo garantiscono da autoincriminazioni, ex artt. 63 e 198 cod. proc. pen. (r.o. n. 447, 649 e 851);
- con l’art. 3 Cost., per la irragionevole diversità di disciplina della acquisizione e utilizzazione delle dichiarazioni eteroaccusatorie a seconda che provengano da un testimone o da uno dei soggetti di cui all’art. 210 cod. proc. pen. (r.o. n. 167), e perché, per effetto di un'opzione affatto arbitraria del dichiarante, si possono formare giudicati contrastanti nei confronti di posizioni processuali del tutto simili (r.o. nn. 649 e 851 del 2000);
che il Tribunale di Nocera Inferiore con ordinanza emessa il 14 giugno 2000 (r.o. n. 721 del 2000) solleva, in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., analoga questione di legittimità costituzionale dell'art. 210 cod. proc. pen., censurando tuttavia tale disposizione non solo nella parte in cui garantisce il diritto al silenzio dell'imputato in procedimento connesso che abbia già reso dichiarazioni nella fase delle indagini, ma anche nella parte in cui «non prevede che il rifiuto dell'esame, quanto alle dichiarazioni eteroaccusatorie, sia penalmente sanzionato, al pari del rifiuto opposto dal testimone»;
che il predetto tribunale - premesso che nel corso del dibattimento, il 7 aprile 2000, erano state acquisite senza il consenso dei difensori, con «il sistema delle contestazioni previsto dall'art. 513 c.p.p., come modificato dalla sentenza della Corte cost. n. 361/1998», le dichiarazioni rese nella fase investigativa da imputati in procedimento connesso, già giudicati con rito abbreviato, che avevano rifiutato di sottoporsi all'esame dibattimentale - rileva che tale acquisizione è da ritenere «erronea, alla luce delle disposizioni introdotte con legge n. 35 del 25 febbraio 2000, che ha convertito con modificazioni il d.l. n. 2 del 7 gennaio 2000, attuativo dell'art. 2, legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2», con la conseguenza che le «dichiarazioni illegittimamente acquisite» sarebbero inutilizzabili ai fini della decisione;
che l'art. 210 cod. proc. pen., garantendo il diritto al silenzio all'imputato in procedimento connesso che abbia già reso dichiarazioni erga alios, sarebbe quindi in contrasto:
- con l'art. 111 Cost. in quanto, imponendo tale norma il metodo dialettico ai fini dell'accertamento della verità materiale e «rendendo esplicita la scelta secondo cui il contraddittorio tra le parti è da considerarsi come il solo metodo probatorio idoneo ad eruendam veritatem», non sono compatibili con la scelta operata dal costituente «regole che limitino la pienezza e l'effettività del contraddittorio, non giustificate da principi a loro volta di rango o pari valore costituzionale»;
- con l'art. 3 Cost., in quanto è irragionevole «la indiscriminata tutela del diritto al silenzio di colui che, avendo già reso dichiarazioni nel processo che lo riguarda, ha anche subito, grazie al meccanismo previsto dall'art. 513, una compressione del proprio diritto di difesa, diritto che non può essere dunque invocato per garantirne il silenzio nel procedimento connesso»;
che nei giudizi relativi alle questioni iscritte nel r.o. nn. 167, 721 e 851 del 2000 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate, facendo particolare riferimento ai principi di cui all'art. 24 Cost.
Considerato che identica è la sostanza delle questioni, che concernono tutte il diritto al silenzio riconosciuto alle persone imputate o giudicate in un procedimento connesso che abbiano in precedenza reso dichiarazioni eteroaccusatorie, per cui deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi;
che successivamente alle ordinanze di rimessione è intervenuta la legge 1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di formazione e di valutazione della prova in attuazione della legge costituzionale di riforma dell'art. 111 della Costituzione), che ha profondamente inciso sulla disciplina del diritto al silenzio e della formazione della prova in dibattimento, in particolare modificando gli artt. 64, 197 e 210 cod. proc. pen. e inserendo l'art. 197-bis cod. proc. pen., che individua le ipotesi in cui le persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato assumono l’ufficio di testimone;
che di conseguenza, essendo mutati la norma censurata e il contesto complessivo della disciplina di riferimento, gli atti devono essere restituiti ai giudici rimettenti, perché verifichino se le questioni siano tuttora rilevanti nei giudizi a quibus.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Crotone, al Tribunale di Milano, al Tribunale di Foggia e al Tribunale di Nocera Inferiore.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2001.
Cesare RUPERTO, Presidente
Guido NEPPI MODONA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2001.