ORDINANZA N. 240
ANNO 2001REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 459 del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 37 della legge 16 dicembre 1999, n. 479 (Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. Modifiche al codice di procedura penale e all’ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di contenzioso civile pendente, di indennità spettanti al giudice di pace e di esercizio della professione forense), promosso con ordinanza emessa l’11 maggio 2000 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Forlì nel procedimento penale a carico di C. B., iscritta al n. 573 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2000.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 9 maggio 2001 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Forlì deduce di essere stato investito della richiesta di emissione di decreto penale di condanna nei confronti di persona imputata del reato di cui all’art. 594 cod. pen., in relazione al quale è stata proposta querela in data 22 giugno 1999;
che, ad avviso del rimettente, tale richiesta dovrebbe essere accolta «in considerazione degli elementi contenuti nel fascicolo processuale» e della circostanza che, dopo la proposizione della querela, è intervenuta la legge 16 dicembre 1999, n. 479, la quale ha modificato l’art. 459 cod. proc. pen., prevedendo la possibilità di definire il procedimento con decreto anche per i reati procedibili a querela, salvo che il querelante abbia «nella stessa dichiarato di opporvisi»;
che, peraltro, il medesimo Giudice ha sollevato, in via principale, questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 459 cod. proc. pen., come modificato dalla predetta legge n. 479 del 1999, nella parte in cui consente al pubblico ministero di richiedere ed al giudice di emettere decreto penale di condanna per reati procedibili a querela, anche nella ipotesi in cui la querela sia stata proposta prima della pubblicazione della menzionata legge n. 479 del 1999 e non contenga - come nella specie - opposizione alla definizione del procedimento con decreto penale;
che a tal proposito il giudice a quo lamenta la violazione dell’art. 3 della Costituzione, in quanto chi abbia presentato querela prima della entrata in vigore della citata legge n. 479 del 1999 o comunque prima della sua pubblicazione, verrebbe a trovarsi in posizione deteriore rispetto a chi abbia formulato istanza di punizione in epoca successiva, giacché solo quest’ultimo può opporsi alla definizione del processo mediante decreto penale di condanna, mentre al primo non è riconosciuta la facoltà di scegliere se opporsi o meno, con riflessi sul piano degli interessi civili e di natura anche «penale» (la condanna per decreto, infatti, comporta l’estinzione del reato nel termine di cinque anni e «non può essere posta a base di un giudizio civile»), e con la impossibilità per la persona offesa di interloquire in alcun modo;
che sarebbe vulnerato anche l’art. 24 della Carta fondamentale, giacché, pur conservando la persona offesa il diritto a far valere in sede civile le proprie pretese, alla stessa sarebbe precluso ogni intervento in sede penale, ove «potrebbe più prontamente esercitare e far valere i propri diritti»;
che in via subordinata il Giudice rimettente solleva, «nei medesimi termini», questione di legittimità costituzionale della stessa norma, nella parte in cui non impone al pubblico ministero, qualora intenda procedere con richiesta di decreto penale, «l’obbligo, in caso di presentazione di querela nei modi e termini di cui sopra, di interpellare la persona offesa querelante sulla volontà di opporsi alla definizione del procedimento con decreto penale»;
che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;
che, infatti, secondo l’Avvocatura erariale, in assenza di specifiche disposizioni transitorie, la nuova disciplina non potrebbe trovare applicazione nelle ipotesi in cui la querela sia stata proposta prima della data di entrata in vigore della legge n. 479 del 1999, sacrificandosi altrimenti il «contrappeso» rappresentato dalla non opposizione del querelante alla definizione del procedimento mediante decreto penale di condanna nel caso di reati perseguibili a querela.
Considerato che l’art. 459 cod. proc. pen., come sostituito dall’art. 37, comma 1, della legge 16 dicembre 1999, n. 479, profondamente innovando per questo aspetto il precedente regime, ha stabilito la possibilità di adottare il procedimento per decreto anche per i reati perseguibili a querela, «se questa è stata validamente presentata e se il querelante non ha nella stessa dichiarato di opporvisi»;
che, in mancanza di disciplina transitoria ed in ossequio ai principi che regolano la successione nel tempo delle norme processuali, la nuova disposizione non è applicabile con effetti retroattivi, sicché il procedimento per decreto non potrà essere disposto per i reati perseguibili a querela, ove l’istanza di punizione sia stata formulata in data antecedente a quella nella quale è entrata in vigore la nuova normativa;
che, infatti, come correttamente ha prospettato l’Avvocatura dello Stato, il legislatore della riforma ha configurato l’atto di querela e la non opposizione come momenti strutturalmente e funzionalmente unitari nel quadro della individuazione del “nuovo” presupposto del procedimento monitorio;
che, a sottolineare l’accennata inscindibilità, sta la circostanza che la eventuale dichiarazione di opposizione viene testualmente riferita dalla norma alla «stessa» querela, così da evocare non soltanto la necessaria correlazione tra le due manifestazioni di volontà, ma addirittura una sorta di “contestualità dichiarativa”;
che, peraltro, appare evidente come il secondo elemento di tale unitario presupposto, ossia la mancanza di una espressa dichiarazione di opposizione al procedimento monitorio, possa riferirsi esclusivamente alle querele presentate dopo l’entrata in vigore della legge di riforma, giacché in precedenza detto procedimento risultava radicalmente escluso per i reati perseguibili a querela, onde il querelante non avrebbe avuto ragione di sorta per manifestare la volontà di opporsi ad esso;
che, pertanto, risultando errata la premessa interpretativa sulla quale il giudice a quo ha fondato le proprie censure, le questioni proposte sono manifestamente prive di giuridica consistenza.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVILA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 459 del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Forlì con la ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2001.
Cesare RUPERTO, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2001.