ORDINANZA N.220
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare RUPERTO, Presidente
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4-ter, commi 2 e 5, del decreto-legge 7 aprile 2000, n. 82 (Modificazioni alla disciplina dei termini di custodia cautelare nella fase del giudizio abbreviato), convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 2000, n. 144, promosso nell'ambito di un procedimento penale dalla Corte di assise di appello di Napoli, con ordinanza emessa il 26 giugno 2000, iscritta al n. 562 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 2000.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 9 maggio 2001 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che la Corte di assise di appello di Napoli ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 4-ter, commi 2 e 5, del decreto-legge 7 aprile 2000, n. 82 (Modificazioni alla disciplina dei termini di custodia cautelare nella fase del giudizio abbreviato), convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 2000, n. 144, nella parte in cui non prevede la possibilità di chiedere il giudizio abbreviato nei procedimenti che proseguono con l'applicazione delle norme del codice di procedura penale del 1930;
che il rimettente premette che due imputati hanno formulato richiesta di giudizio abbreviato ai sensi dell'art. 4-ter, comma 3, lettera c), del decreto-legge n. 82 del 2000, inserito dalla legge di conversione, e che il pubblico ministero ha espresso parere contrario, sul presupposto della non applicabilità di tale disposizione ai procedimenti, come quello in corso di svolgimento, che proseguono con le norme del codice di procedura penale del 1930;
che la disciplina censurata, nel richiamare il fascicolo di cui all'art. 416, comma 2, del codice di procedura penale - che il giudice a quo qualifica come "fascicolo del pubblico ministero", istituto del tutto estraneo alla disciplina del codice abrogato - renderebbe evidente la volontà del legislatore di fare esclusivo riferimento ai procedimenti regolati dal vigente codice di procedura penale;
che, al riguardo, il rimettente rileva che la diversità di disciplina tra i due codici non può ritenersi, di per sè, ostativa all'adozione del giudizio abbreviato, come risulta dallo stesso articolo 247 disp. trans. cod. proc. pen., che espressamente prevede l'applicabilità di tale rito ai procedimenti che proseguono con le norme del codice abrogato, ma il mancato riferimento nell'art. 247 al fascicolo del pubblico ministero e il fatto che il decreto-legge n. 82 del 2000 contenga <<espressioni diverse ed incompatibili>> con la disciplina del <<fascicolo processuale>> del codice del 1930 inducono a ritenere che il legislatore abbia <<inteso escludere l'applicabilità dell'art. 4-ter ai processi di vecchio rito>>;
che ad avviso del rimettente tale preclusione determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento <<tra gli imputati giudicati con le forme previste dal codice del 1930 che non possono fruire delle agevolazioni di cui all'art. 4-ter e quelli giudicati in base al codice vigente, che invece ne godono>>;
che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile, in particolare rilevando che con la legge in questione il legislatore non ha certo <<pensato ad una successione di norme tra "vecchio" e "nuovo" rito>>, bensì tra "vecchio" e "nuovo" giudizio abbreviato, ferma restando, ovviamente, l'applicabilità dell'art. 247 disp. trans. cod. proc. pen. ai procedimenti che proseguono con il rito abrogato.
Considerato che il rimettente é chiamato a decidere su di una richiesta di giudizio abbreviato presentata - ai sensi dell'art. 4-ter, comma 3, lettera c), del decreto-legge 7 aprile 2000, n. 82, inserito dalla legge di conversione 5 giugno 2000, n. 144 - nel corso di un giudizio di rinvio nell'ambito di un procedimento per reati puniti con la pena dell'ergastolo, che prosegue con l'applicazione delle norme del codice abrogato;
che ad avviso del giudice a quo la disciplina transitoria introdotta dall'art. 4-ter del decreto-legge in esame non é applicabile a tali procedimenti per l'espresso riferimento, nei commi 2 e 5, al fascicolo di cui all'art. 416, comma 2, cod. proc. pen., previsto esclusivamente per i procedimenti disciplinati dal codice del 1988, mentre analogo richiamo non é contenuto nell'art. 247 disp. trans. cod. proc. pen., che disciplina la possibilità di ricorrere al giudizio abbreviato nei procedimenti che proseguono con l'osservanza delle norme del codice del 1930;
che tale preclusione si porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., a causa dell'ingiustificata disparità di trattamento tra imputati giudicati secondo le norme del codice del 1930 e quelli giudicati alla stregua del codice vigente;
che nella interpretazione della disciplina censurata il giudice a quo é fuorviato dal richiamo al fascicolo di cui all'art. 416, comma 2, cod. proc. pen., operato dai commi 2 e 5 dell'art. 4-ter;
che tali disposizioni - evidentemente con riferimento ai procedimenti regolati dall'ordinamento processuale vigente, e cioé alla stragrande maggioranza dei processi in corso - individuano gli atti utilizzabili per la decisione, al fine di chiarire che, oltre alle "prove assunte in precedenza" (comma 6 del medesimo art. 4-ter), il giudizio si deve fondare sugli atti depositati dal pubblico ministero in occasione dell'esercizio dell'azione penale;
che, tuttavia, nessun dato, nè testuale nè logico, depone per una intentio legis diretta a precludere l'applicazione in via transitoria del rito abbreviato, alle condizioni previste, ai residui procedimenti che proseguono sotto il regime del codice abrogato, per i quali il richiamo al fascicolo di cui all'art. 416, comma 2, cod. proc. pen., contenuto nei commi 2 e 5 dell'art. 4-ter, va ovviamente riferito a tutti gli atti della istruzione (preliminare, sommaria, formale), non diversamente da quanto si ricava dall'art. 247, comma 1, disp. trans. cod. proc. pen.;
che tale interpretazione é avvalorata dalla ratio complessiva della disciplina transitoria in cui si iscrive la normativa censurata, volta in particolare - in coincidenza con un sostanziale e significativo intervento modificativo delle condizioni e dei meccanismi di accesso al rito abbreviato - a rimettere in termini per la formulazione della relativa richiesta gli imputati per reati puniti con la pena dell'ergastolo, ai quali la precedente normativa precludeva il giudizio abbreviato e le conseguenti riduzioni della pena;
che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4-ter, commi 2 e 5, del decreto-legge 7 aprile 2000, n. 82 (Modificazioni alla disciplina dei termini di custodia cautelare nella fase del giudizio abbreviato), convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 2000, n. 144, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Corte di assise di appello di Napoli, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 luglio 2001.
Cesare RUPERTO, Presidente
Guido NEPPI MODONA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 4 luglio 2001.