Ordinanza n. 199/2001

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ORDINANZA N. 199

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 304, comma 1, lettera b), e comma 7, del codice di procedura penale, promossi con quattro analoghe ordinanze in data 21 gennaio 1998, 19 agosto 1999 e in data 13 maggio 1999 (n. 2 ordinanze), dalla Corte d’assise di Reggio Calabria, rispettivamente iscritte al n. 605, n. 759, n. 760 e n. 761 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44 e n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 aprile 2001 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.

Ritenuto che la Corte d’assise di Reggio Calabria, chiamata a pronunciarsi, nel corso del medesimo procedimento penale, su svariate istanze di scarcerazione per decorrenza dei termini di durata massima di custodia cautelare, con quattro analoghe ordinanze in data 21 gennaio 1998 (r.o. n. 605 del 2000), in data 19 agosto 1999 (r.o. n. 759 del 2000) e in data 13 maggio 1999 (r.o. n. 760 e n. 761 del 2000), ha sollevato, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale delle disposizioni di cui ai commi 1, lettera b), e 7 dell’articolo 304 del codice di procedura penale, "nella parte in cui non prevedono che la sospensione del corso dei termini di cui all’art. 303 cod. proc. pen. segua – e venga così computata salvo che per il limite relativo alla durata complessiva della custodia cautelare - alla revoca del mandato al difensore da parte dell’imputato";

che il remittente premette di avere già precisato, provvedendo su altre istanze di scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare, che il termine custodiale di fase per il dibattimento di primo grado, pari ad un anno e sei mesi, era divenuto di tre anni per effetto del provvedimento di sospensione adottato, a causa della particolare complessità del dibattimento, ai sensi dell’art. 304, comma 2, cod. proc. pen., e che a tale termine triennale dovevano aggiungersi ulteriori periodi in conseguenza di una serie di avvenimenti, che si erano registrati nel corso del dibattimento e che avevano determinato sospensioni dell’attività processuale con conseguente sospensione dei termini di custodia cautelare, disposta ai sensi dell’art. 304, comma 1, lettera b), cod. proc. pen.;

che, in particolare, la Corte d’assise di Reggio Calabria puntualizza che nei suoi precedenti provvedimenti aveva già ritenuto che, "al fine del computo del termine custodiale di fase complessivo", al termine triennale dovevano aggiungersi, tra gli altri, "giorni 53, intercorrenti tra il 26 ottobre 1995 ed il successivo 18 dicembre: ciò per effetto del provvedimento di sospensione ex art. 304, comma 1, lettera b), adottato all’udienza del 26 ottobre per i motivi indicati nel relativo verbale (revoca delle nomine dei difensori da parte degli imputati detenuti e richiesta di termine a difesa da parte del difensore d’ufficio nominato in sostituzione)";

che, ad avviso del giudice a quo, la simultanea revoca di tutti i difensori da parte degli imputati detenuti, denotando "un evidente atteggiamento ostruzionistico [ …] che precludeva di fatto la prosecuzione dell’udienza", non andava ricompresa tra i casi di cui alla lettera a) del comma 1 dell’art. 304 cod. proc. pen., per i quali il periodo di sospensione non opera ai fini del limite massimo di fase ex art. 304, comma 7, cod. proc. pen., ma rientrava nelle previsioni dell’art. 304, comma 1, lettera b), con conseguente computabilità ai fini del citato limite massimo;

che, infatti, una fattispecie di abbandono della difesa é ravvisabile, secondo la Corte remittente, non soltanto nei casi in cui sia direttamente riferibile alla iniziativa del difensore, ma anche quando l’assistenza difensiva sia venuta a mancare "per conseguenza diretta di una iniziativa dei difesi, che abbiano, ad un tempo, posto i difensori nella legale impossibilità di svolgere il proprio mandato e costretto il giudice a nominare un difensore d’ufficio ed a concedere a costui i termini a difesa";

che, su queste premesse, il remittente chiede a questa Corte "un ulteriore e definitivo approfondimento interpretativo", in quanto, a suo avviso, le disposizioni censurate, se interpretate (come vorrebbero le difese degli imputati e la stessa Corte di cassazione in una pronuncia resa nell’ambito del medesimo processo) nel senso di escludere dal computo dei termini di cui all’art. 304, comma 6, cod. proc. pen. i periodi di sospensione per allontanamento dei legali a seguito della contemporanea revoca dei difensori da parte degli imputati in custodia cautelare, contrasterebbero con il principio di eguaglianza;

che invero, prosegue il remittente, ne deriverebbe una ingiustificata diversità di disciplina delle ipotesi di "allontanamento" del difensore, a seconda che esso segua ad una scelta di questo o sia causato dall’iniziativa dell’assistito, poichè, del tutto irragionevolmente, soltanto nel primo caso potrebbe legittimamente computarsi la sospensione del corso dei termini di custodia cautelare per il periodo concesso al difensore d’ufficio per preparare la difesa;

che – argomenta ancora il giudice a quo - una simile interpretazione verrebbe ad attribuire all’imputato "il potere di tenere costantemente sotto scacco il processo", con una serie di continue e mirate revoche dei mandati difensivi, dirette a consentirgli di beneficiare della scarcerazione per scadenza dei termini ben prima della pronuncia di merito;

che l’irragionevole diversità di disciplina per due situazioni che invece si equivarrebbero sul piano processuale determinerebbe oltretutto un trattamento deteriore per l’imputato il quale abbia subito le conseguenze pregiudizievoli del comportamento scorretto del proprio difensore che abbia autonomamente deciso di non dar corso al mandato rispetto a quello riservato all’imputato che, con la revoca della nomina, abbia dato causa all’allontanamento del difensore, poichè solo per il primo imputato sarebbe operante la sospensione dei termini di custodia cautelare;

che in tutti i giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile.

Considerato che tutte le ordinanze di rimessione, provenienti dallo stesso giudice, sollevano un’identica questione e che, pertanto, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi unitariamente;

che il remittente riferisce di avere già affermato, in numerosi provvedimenti resi nel medesimo processo nei confronti di altri imputati, che l’ipotesi della simultanea revoca dei rispettivi difensori da parte di tutti gli imputati detenuti, denotando un evidente atteggiamento ostruzionistico, non può essere sussunta sotto la lettera a) del comma 1 dell’articolo 304 del codice di procedura penale, per la quale il periodo di sospensione non opera ai fini del limite massimo di fase ex art. 304, comma 7, cod. proc. pen., ma rientra nella previsione dell’art. 304, comma 1, lettera b), e che conseguentemente detto periodo é computabile ai fini del calcolo del citato limite massimo;

che, nonostante ciò, egli chiede a questa Corte "un ulteriore e definitivo approfondimento interpretativo", giustificando tale richiesta con l’esistenza di una diversa interpretazione, riconducibile ad una pronuncia della Corte di cassazione, secondo la quale la fattispecie in oggetto ricadrebbe invece nella sfera di operatività dell’art. 304, comma 1, lettera a) del codice di procedura penale e pertanto, in forza dell’art. 304, comma 7, cod. proc. pen., sarebbe esclusa dal computo dei termini di cui all’art. 304, comma 6, del medesimo codice;

che é qui del tutto evidente l’utilizzazione impropria del giudizio di legittimità costituzionale, dichiaratamente attivato per contrastare una interpretazione che l’ordinanza di rimessione, con un diffuso e insistito argomentare, lungi dal fare propria e dal porre a fondamento del giudizio di costituzionalità, mostra di non condividere affatto, con il paradossale risultato di sottoporre a censura una soluzione interpretativa alla quale si é negata ogni plausibilità;

che la questione va pertanto dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 304, comma 1, lettera b), e comma 7, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, dalla Corte d’assise di Reggio Calabria con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 giugno 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 14 giugno 2001.