Ordinanza n. 70/2001

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ORDINANZA N. 70

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 393 del codice di procedura penale, promosso, nell'ambito di un procedimento penale, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia con ordinanza emessa il 12 maggio 2000, iscritta al n. 557 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 2000.

 Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 21 febbraio 2001 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 111, 76 e 10 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 393 del codice di procedura penale, «nella parte in cui prescrive la necessità della richiesta di proroga del termine delle indagini preliminari per l’espletamento dell’incidente probatorio»;

che il giudice a quo non definisce il contesto processuale in cui la questione è sollevata, ma dal tenore della motivazione si desume che l’ordinanza è stata emessa nel corso di un incidente probatorio disposto per l’assunzione di una perizia (art. 392, comma 2, cod. proc. pen.);

che il rimettente premette di essere investito del «problema della inutilizzabilità degli atti di indagine effettuati al di là del termine stabilito dalla legge», come disposto dall’art. 407 cod. proc. pen., atteso che nella specie il deposito «della prima perizia» e l’esame del perito erano avvenuti dopo il termine di sei mesi: e cioè, si intende, dopo il termine ordinario per la chiusura delle indagini preliminari ex art. 405, comma 2, cod. proc. pen.;

che il giudice a quo precisa che, essendosi reso necessario disporre un secondo adempimento peritale, «pervenuto a conclusioni diametralmente opposte al primo», non aveva potuto provvedere alla proroga dei termini delle indagini «in quanto, avendo deciso d’ufficio la rinnovazione della perizia, non era abilitato, ai sensi dell’art. 393 cod. proc. pen., ad emettere il relativo decreto difettando la richiesta del P.M. e tanto meno delle persone sottoposte alle indagini»;

che, in siffatta situazione, il giudice rimettente dubita della legittimità costituzionale della norma che regola la proroga dei termini delle indagini preliminari in occasione dell’espletamento dell’incidente probatorio;

che la disciplina censurata violerebbe in primo luogo l’art. 76 Cost., posto che la direttiva n. 40 dell'art. 2, comma 1, della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, dedicata all’incidente probatorio, non fa alcun accenno al termine per la conclusione delle indagini;

che di tale limite temporale si occupa invece la direttiva n. 48, ove è contenuta la previsione della inutilizzabilità degli atti compiuti dal pubblico ministero "oltre i termini stabiliti o prorogati", disciplinata dall’art. 407, comma 3, cod. proc. pen.;

che tale norma fa riferimento agli "atti di indagine", tra i quali non potrebbe essere compreso l’incidente probatorio, istituto destinato all'acquisizione di prove utilizzabili in dibattimento;

che la previsione della applicabilità «della normativa del termine delle indagini preliminari in occasione dell’incidente probatorio» violerebbe l’art. 3 Cost., per la irragionevole disparità di trattamento tra l’acquisizione della prova dibattimentale, per la quale non è previsto alcun termine, e l’acquisizione della prova in incidente probatorio; tra la posizione dell’imputato in udienza preliminare, per la quale non è previsto alcun termine, rispetto a quella dell’indagato; tra la disciplina dell’incidente probatorio e quella della archiviazione, nella quale il giudice ha il potere di fissare di sua iniziativa un nuovo termine qualora, a fronte della richiesta di archiviazione, ritenga la necessità di ulteriori indagini, a norma dell’art. 409, comma 4, cod. proc. pen.;

che la disposizione per la quale la proroga dei termini può essere chiesta solo dal pubblico ministero e dalla persona sottoposta alle indagini violerebbe anche l’art. 24 Cost., menomando il diritto di difesa della persona offesa, e cioè proprio del soggetto alla cui tutela è funzionale la giurisdizione penale;

che la disciplina censurata, non attuando i «principi di giustizia e di esigenze sociali su cui si fonda un moderno Stato di diritto», e ostacolando la ricerca della verità attraverso l’imposizione di un inutile limite temporale all’acquisizione di una prova decisiva, violerebbe altresì il principio secondo cui la giurisdizione "si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge", enunciato dall’art. 111 [secondo comma] Cost.;

che per le medesime ragioni la disposizione censurata violerebbe infine l’art. 10 Cost., che prescrive l’adeguamento dell’ordinamento giuridico italiano alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, ponendosi in contrasto con l’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la legge del 4 agosto 1955, n. 848, che assicura il diritto a un "processo equo".

Considerato che il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale del comma 4 dell’art. 393 cod. proc. pen. nella parte in cui subordina alla richiesta di parte il potere del giudice di prorogare il termine delle indagini preliminari per l’espletamento dell’incidente probatorio, ritenendo che dalla disposizione censurata discenderebbe l’inutilizzabilità della prova raccolta oltre i termini;

che, nella specie, dall’ordinanza di rimessione parrebbe emergere che la prova la cui utilizzabilità è in predicato consiste in una perizia disposta, a rinnovazione di un precedente accertamento peritale, quando detti termini erano già scaduti e senza alcun provvedimento di proroga, mancando la richiesta delle parti;

che il rimettente non dà conto, nel sollevare la questione, di quale sia il profilo per il quale egli, giudice per le indagini preliminari, sia investito del tema della utilizzabilità di una prova, da lui stesso (anticipatamente) assunta mediante l’incidente probatorio, la cui valutazione e utilizzazione è normalmente riservata al giudice del dibattimento o, comunque, al giudice chiamato a emettere una decisione sulla base di tale risultato probatorio;

che peraltro la disposizione impugnata, che ad avviso del rimettente vieterebbe di provvedere ex officio alla proroga dei termini delle indagini anche quando essi vengano a scadenza durante l’incidente probatorio, non è idonea a regolare la situazione processuale in cui risulta trovarsi il procedimento a quo, nel quale si controverte della utilizzabilità di un accertamento peritale già espletato, senza alcuna proroga, successivamente alla scadenza dei termini per le indagini preliminari;

che la questione, difettando di rilevanza, va pertanto dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 393 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 10, 24, 76 e 111 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 16 marzo 2001.