ORDINANZA N. 68
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANOLA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA "
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 3, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promossi, con ordinanze emesse il 1° e il 2 giugno 2000, il 20 giugno 2000 (n. 2 ordinanze) e il 20 luglio 2000, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Venezia, iscritte rispettivamente ai nn. 550, 551, 552, 553 e 638 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, n. 41 e n. 45 dell’anno 2000.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nella camera di consiglio del 24 gennaio 2001 il Giudice relatore Massimo Vari.
Ritenuto che, con cinque ordinanze di analogo tenore, emesse in data 1° giugno, 2 giugno, 20 giugno (n. 2 ordinanze) e 20 luglio del 2000, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Venezia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 3, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), che punisce lo straniero il quale, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, non esibisce, senza giustificato motivo, il passaporto o altro documento di identificazione, ovvero il permesso o la carta di soggiorno;
che il rimettente ¾ richiamando, in via generale, l'importanza che i principi della ragionevolezza e della proporzionalità rivestono per l'opera del legislatore ¾ è dell'avviso che la disposizione censurata si ponga in contrasto con l'art. 27 della Costituzione, sotto l'aspetto dell'effettività della pena, trattandosi di “una norma del tutto inutile, che da un lato non sortisce alcun effetto deterrente, dall’altro può persino comportare un vantaggio per la sua inosservanza”;
che, a questo proposito, il giudice a quo osserva che “tutti coloro che vengono fermati perché ritenuti cittadini extracomunitari e che sono sprovvisti di documenti forniscono delle generalità la cui autenticità non è possibile comprovare in alcun modo” e, inoltre, si definiscono senza fissa dimora, con la conseguenza che “proprio perché irreperibili e comunque non identificabili non vengono assoggettati alla sanzione loro inflitta, che, dunque, rimane una mera statuizione cartacea”;
che, in particolare, ciò si verifica in quanto, per il reato in questione, viene quasi sempre inflitta, a mezzo di decreto penale, la pena pecuniaria, secondo una scelta "pressoché obbligata", dal momento che si tratta di soggetti incensurati "e il fatto non si appalesa di gravità tale da richiedere una condanna che apparirebbe prima facie sproporzionata";
che, in tal modo, a causa della non esecuzione e della successiva prescrizione della pena, si vanifica il lavoro compiuto dalle forze dell’ordine, dai magistrati e dal personale amministrativo, risultando violato, in contrasto con l'art. 97 della Costituzione, il principio del buon andamento, che va assicurato dal legislatore attraverso l'emanazione di "norme ragionevoli";
che, a giudizio del rimettente, anche la pena detentiva, in ragione della sua esiguità, oltre che della possibilità che si proceda alla sospensione dell’esecuzione, nonché alla concessione del beneficio della sospensione condizionale, rende del tutto inefficace la sanzione;
che il giudice a quo ¾ nel rilevare che la legge in cui è contenuta la disposizione denunciata non sanziona penalmente l'introduzione clandestina e, inoltre, "ha decriminalizzato la condotta dello straniero che si trattenga in Italia sprovvisto del permesso di soggiorno", prevedendo, altresì, che l'espulsione sia possibile solo quando venga "accertata la identità dello straniero o, comunque, quest'ultimo sia munito di documenti di viaggio" ¾ sostiene che, in ragione di ciò, si determinerebbe: a) "una manifesta disparità di trattamento (con violazione dell'art. 3 della Costituzione), giacché non costituiscono reato le condotte preliminari e più gravi" rispetto a quella sanzionata dalla disposizione censurata; b) un'ulteriore lesione dell'art. 27 della Costituzione, in quanto lo straniero non avrebbe alcuna convenienza ad esibire il passaporto o altro documento di identità, con la conseguenza che risulterebbe favorita l'inosservanza del precetto posto dalla disposizione denunciata;
che, in quattro dei giudizi in questione (e precisamente in quelli relativi alle ordinanze iscritte ai nn. 550, 551, 552 e 553 del registro ordinanze del 2000), è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la inammissibilità o l’infondatezza della questione, evidenziando che il rimettente ha inteso sindacare la discrezionalità politica del legislatore e che, in ogni caso, la denuncia riguarda una difficoltà di esecuzione della pena prevista per il reato in oggetto e non la norma incriminatrice.
Considerato che la configurazione delle fattispecie criminose e la valutazione delle conseguenze penali appartengono alla politica legislativa e, quindi, all’incensurabile discrezionalità del legislatore, con l’unico limite della manifesta irragionevolezza (ordinanze n. 207 del 1999, n. 297 del 1998, n. 456 del 1997 e n. 313 del 1995);
che, nella fattispecie, le censure svolte dal rimettente appaiono risolversi in una critica alla complessiva disciplina della materia, con valutazioni che investono il piano delle scelte politiche del legislatore e che sono volte a segnalare, in particolare, difficoltà di esecuzione della pena inflitta, ma non sono tali da evidenziare, con riferimento alla disposizione denunciata, né una irragionevolezza della scelta operata dal legislatore, né, in particolare, la violazione dei parametri invocati a sostegno della dedotta questione;
che, alla luce di quanto sopra, la questione deve reputarsi manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 3, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 27 e 97 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Venezia, con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 7 marzo 2001.
Fernando SANTOSUOSSO, Presidente
Massimo VARI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 16 marzo 2001.