ORDINANZA N. 26
ANNO 2001
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente
- Massimo VARI
- Cesare RUPERTO
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 4, del decreto legge 2 marzo 1989, n. 66 (Disposizioni urgenti in materia di autonomia impositiva degli enti locali e di finanza locale), convertito dalla legge 24 aprile 1989, n. 144, come "successivamente sostituito" dall’art. 35, comma 4, del decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77 (Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali), promosso con ordinanza emessa il 22 dicembre 1999 dal Tribunale di Rovigo, iscritta al n. 132 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2000.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell’11 ottobre 2000 il Giudice relatore Valerio Onida.
Ritenuto che, con ordinanza emessa il 22 dicembre 1999, pervenuta a questa Corte il 9 marzo del 2000, il Tribunale di Rovigo ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dell’art. 23, comma 4, del decreto legge 2 marzo 1989, n. 66 (Disposizioni urgenti in materia di autonomia impositiva degli enti locali e di finanza locale), convertito dalla legge 24 aprile 1989, n. 144, come "successivamente sostituito" dall’art. 35, comma 4, del decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77 (Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali);
che il remittente premette che l’appellante nel giudizio davanti a lui in corso aveva, in qualità di Sindaco, all’epoca, del Comune di Lusia, incaricato in via di urgenza una ditta di effettuare lavori di sostituzione della caldaia dell’impianto di riscaldamento della scuola elementare del Comune medesimo; che lo stesso appellante deduceva di non aver potuto provvedere alla regolarizzazione della spesa entro il termine prescritto dall’ultima parte dell’art. 23, comma 3, del d.l. n. 66 del 1989, cui corrisponde oggi l’art. 35, comma 3, del d. lgs. n. 77 del 1995, solo perchè lo stesso giorno il Consiglio comunale era stato sciolto ed era stato nominato un commissario; e che nel giudizio di primo grado il giudice aveva considerato come unico obbligato a far fronte al debito verso il terzo per l’opera eseguita il Sindaco dell’epoca, in quanto l’art. 23, comma 4, del d.l. n. 66 del 1989, cui corrisponde oggi l’art. 35, comma 4, del d.lgs. n. 77 del 1995, dispone che, nel caso di acquisizione di beni o servizi in violazione dell’obbligo di regolarizzare contabilmente l’ordine, il rapporto obbligatorio intercorre fra il privato fornitore e l’amministratore, funzionario o dipendente che ha consentito la fornitura;
che, secondo il giudice a quo, non é manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità della norma da ultimo ricordata, nella parte in cui essa "non esclude la novazione soggettiva a carico dell’amministratore o funzionario il quale, nel caso di lavori pubblici di somma urgenza, non abbia potuto provvedere alla regolarizzazione della spesa entro il termine di 30 giorni per casi sopravvenuti di forza maggiore e comunque non dipendenti dalla sua volontà";
che la norma, nella parte denunciata, sarebbe in contrasto con i principi di ragionevolezza e di non disparità di trattamento, in quanto, se la norma ha natura sanzionatoria, non sarebbe ragionevole che la sanzione venga applicata anche a chi si sia correttamente comportato per soddisfare il pubblico interesse e non abbia potuto provvedere nel termine prescritto alla regolarizzazione contabile per forza maggiore, e comunque solo perchè oggettivamente impedito da un fatto del tutto estraneo alla sua volontà;
che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale, rilevato preliminarmente che l’ordinanza non indica specificamente i parametri costituzionali cui fa riferimento, e ritenuto che la disposizione legislativa da esaminare, tenuto conto dell’epoca in cui la vicenda si é svolta, sarebbe da individuare unicamente nell’art. 23, comma 4, del d.l. n. 66 del 1989, osserva che l’ordinanza di rimessione nulla riferisce circa le ragioni della mancata regolarizzazione, che potrebbe essersi avuta solo per banale inerzia o disordine amministrativo; e che comunque sarebbe incongruo invocare una "manipolazione integrativa" della norma solo per risolvere un caso particolare che avrebbe dovuto trovare soluzione nella corretta applicazione della normativa;
che infatti, secondo l’interveniente, se i lavori ordinati erano effettivamente necessari ed urgenti, il procedimento di regolarizzazione non sarebbe dovuto mancare, ed eventualmente sarebbe perfino ipotizzabile una responsabilità del funzionario e del Comune per la colpevole inattività che avrebbe cagionato la omessa regolarizzazione; mentre, se non sussistevano i presupposti sostanziali per la regolarizzazione, la questione di legittimità costituzionale sarebbe inammissibile o quanto meno mal posta;
che, a giudizio della difesa erariale, non sussisterebbe la terza ipotesi, prospettata dall’ordinanza, di una regolarizzazione oggettivamente impossibile per motivi estranei alla volontà dell’amministratore, in quanto curare il procedimento di regolarizzazione non era compito dell’ex amministratore, cessato dalla carica, ma della persona giuridica Comune, la cui vita non subisce interruzione per vicende riguardanti le persone fisiche che lo rappresentano;
che, pertanto, la questione sarebbe, secondo l’interveniente, inammissibile per carenza di rilevanza ed incongrua prospettazione, e comunque non fondata, in difetto della ipotizzata disparità di trattamento, e non potendosi scrutinare la norma, sotto il profilo della ragionevolezza, secondo criteri relativi alle sanzioni, poichè essa prevederebbe non una sanzione in senso proprio, ma una conseguenza.
Considerato che il parametro sostanzialmente invocato dal remittente é l’art. 3 della Costituzione, sotto i profili della disparità ingiustificata di trattamento e della irragionevolezza;
che la disposizione dell’art. 23 del d.l. n. 66 del 1989, successivamente sostituita dall’art. 35, comma 4, del d.lgs. n. 77 del 1995, poi modificato dall’art. 4 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 342, e oggi trasfusa nell’art. 191, comma 3, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), non prevede una sanzione a carico dell’amministratore o funzionario che abbia consentito la fornitura, e nemmeno, propriamente, una novazione soggettiva nella titolarità del rapporto obbligatorio, ma si limita a stabilire le condizioni formali (registrazione dell’impegno contabile e attestazione della copertura finanziaria, o, nel caso di lavori di somma urgenza, regolarizzazione contabile entro il termine di trenta giorni) alle quali é subordinata l’efficacia del contratto nei riguardi della pubblica amministrazione, in coerenza con il principio tradizionale secondo cui il contratto stipulato diviene obbligatorio nei confronti della pubblica amministrazione contraente solo a seguito della prescritta approvazione (art. 19 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440): prevedendo che, in mancanza, e per la parte di debito non riconoscibile a posteriori (art. 37, comma 1, lett. e, del d.lgs. n. 77 del 1995, come modificato dall’art. 5 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 342, e oggi trasfuso nell’art. 194, comma 1, lett. e, del d.lgs. n. 267 del 2000), esso produca effetti obbligatori a carico della persona fisica che ha consentito la fornitura;
che, peraltro, nel caso di lavori di somma urgenza, é prevista la regolarizzazione dell’ordine a posteriori, entro il termine stabilito, e che essa, in presenza dei requisiti sostanziali richiesti per procedere ai lavori medesimi in via di urgenza, non é una mera facoltà dell’amministrazione, ma risponde ad un suo preciso obbligo, la cui eventuale violazione può essere fatta valere non solo dal terzo contraente, in via di responsabilità precontrattuale, ma anche, se del caso, dall’amministratore o dal funzionario che vi abbia interesse;
che l’ipotesi, verificatasi nella specie, dello scioglimento del consiglio comunale, intervenuto prima della scadenza del termine per la regolarizzazione, non costituisce oggettivo impedimento alla regolarizzazione medesima, dovendo ad essa procedere l’organo comunale – non importa se ordinario o straordinario – competente pro tempore ad agire per il Comune;
che, pertanto, non sussistono nè la ingiustificata disparità di trattamento, nè la irragionevolezza lamentate dal remittente, onde la questione sollevata si palesa manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 4, del decreto legge 2 marzo 1989, n. 66 (Disposizioni urgenti in materia di autonomia impositiva degli enti locali e di finanza locale), convertito dalla legge 24 aprile 1989, n. 144, successivamente sostituito dall’art. 35, comma 4, del decreto legislativo 25 febbraio 1995, n. 77 (Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Rovigo con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 gennaio 2001.
Fernando SANTOSUOSSO, Presidente
Valerio ONIDA, Redattore
Depositata in cancelleria il 6 febbraio 2001.