Ordinanza n. 4 del 2001

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ORDINANZA N. 4

 

ANNO 2001

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

 

- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

 

- Massimo VARI

 

- Cesare RUPERTO

 

- Riccardo CHIEPPA

 

- Gustavo ZAGREBELSKY

 

- Carlo MEZZANOTTE

 

- Guido NEPPI MODONA

 

- Piero Alberto CAPOTOSTI

 

- Annibale MARINI

 

- Franco BILE

 

- Giovanni Maria FLICK

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2052 del codice civile promosso con ordinanza emessa il 27 aprile 2000 dal Giudice di Pace di Ceva nel procedimento civile vertente tra Fornaciari Alessandro e il Ministero delle finanze, iscritta al n. 442 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell'anno 2000.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 13 dicembre 2000 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

 

Ritenuto che, nel corso di un giudizio di risarcimento del danno causato da un capriolo a un motociclista, il Giudice di pace di Ceva, con ordinanza del 27 aprile 2000, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 2052 del codice civile in riferimento all'art. 3 Cost., in quanto la disposizione censurata, così come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità, escludendo dall'ambito della sua applicazione la responsabilità dello Stato per i danni causati dalla fauna selvatica, contrasterebbe con il principio costituzionale di uguaglianza;

 

che, secondo il rimettente, la legge 27 dicembre 1977, n. 968 (Principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia), sul punto non innovata dalla successiva legge n. 157 del 1992, nel prevedere che la fauna selvatica è entrata a far parte del patrimonio indisponibile dello Stato, avrebbe comportato la proprietà di detta fauna in capo alla P.A., con conseguente applicabilità dell'art. 2052 cod. civ., atteso che il fondamento della responsabilità per il danno cagionato da animali risiede nel concetto di utilità che dall'animale il proprietario o chi se ne serve ritrae;

 

che, pertanto, sussisterebbe una disparità di trattamento tra il privato proprietario di un animale, il quale è responsabile ex art. 2052 cod. civ., salvo che provi il caso fortuito, e la P.A., pure proprietaria della fauna selvatica, che di fatto è esonerata dal risarcimento dei danni de quibus in quanto, "in virtù di una sorta di privilegio", non è tenuta ad alcun obbligo di sorveglianza sulla fauna di natura selvatica;

 

che la disparità di trattamento sarebbe ancor più evidente ove si consideri che, mentre per i danni causati dalla fauna selvatica alle colture esiste un fondo costituito presso ogni Regione, il cui scopo è quello di prevenire e risarcire tale tipologia di danni (art. 26 della legge n.157 del 1992), un'analoga disposizione mancherebbe totalmente nel caso di danni alle persone e/o alle cose;

 

che infine, in ordine alla rilevanza della questione, il giudice a quo osserva che nella causa sottoposta al suo esame si prospetta in concreto l'applicabilità dell'art. 2052 cod.civ.;

 

che nel presente giudizio di legittimità costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto della questione.

 

Considerato che l'irragionevolezza e la disparità di trattamento lamentata dal rimettente e da questo ricollegata all'interpretazione restrittiva dell'art. 2052 cod. civ. fornita dalla giurisprudenza di legittimità non sussiste poiché la disposizione in parola è applicabile solo in presenza di danni provocati da animali domestici, mentre per quelli cagionati da animali selvatici si applica invece l'art. 2043 cod. civ.;

 

che tale diversità trova la sua giustificazione, nonostante i dubbi espressi in dottrina, nella diversità delle situazioni poste a raffronto, considerato lo stato di naturale libertà che caratterizza la fauna selvatica e il differente interesse che distingue i soggetti proprietari degli animali di cui si tratta;

 

che, infatti, nel caso in cui il danno è arrecato da un animale domestico (o in cattività), è naturale conseguenza che il soggetto nella cui sfera giuridica rientra la disponibilità e la custodia di questo si faccia carico dei pregiudizi subiti da terzi secondo il criterio di imputazione ex art. 2052 cod. civ.; laddove i danni prodotti dalla fauna selvatica, e quindi da animali che soddisfano il godimento dell'intera collettività, costituiscono un evento puramente naturale di cui la comunità intera deve farsi carico secondo il regime ordinario e solidaristico di imputazione della responsabilità civile ex art 2043 cod. civ.;

 

che, parimenti, non sussiste il lamentato vulnus all'art. 3 Cost. dal momento che, ad avviso di questa Corte, l'esigenza di una parità di trattamento tra la situazione di fatto di chi patisce un danno alla produzione agricola e di chi invece vede danneggiata la propria persona o i propri beni dalla fauna selvatica non sussiste, atteso che non solo sono differenti le predette due fattispecie, ma la ratio stessa della normativa di cui alla legge n. 157 del 1992 risiede nella specificità della protezione offerta in relazione ai danni subiti dalle produzioni agricole a causa della fauna selvatica; il legislatore – nella sua scelta discrezionale, suscettibile ovviamente di variare nel tempo – ha inteso approntare una tutela peculiare dell'agricoltura indennizzando gli effetti negativi ad essa derivanti dalla presenza di quegli animali sul territorio, presenza che nell'attuale contesto storico sociale è ritenuta meritevole di protezione nel quadro di un armonico equilibrio ambientale;

 

che, pertanto, la questione sollevata deve ritenersi sotto ogni profilo, manifestamente infondata.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2052 del codice civile sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Giudice di pace di Ceva con l'ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 2000.

 

Fernando SANTOSUOSSO, Presidente e Redattore

 

Depositata in cancelleria il 4 gennaio 2001.