ORDINANZA N. 581
ANNO 2000REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 26 della legge 27 dicembre 1977, n. 968 (Principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia), nonché degli artt. 16 e 18, secondo comma della legge della Regione Emilia–Romagna 15 febbraio 1994, n. 8 (Disposizioni per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio dell’attività venatoria), promosso con ordinanza emessa il 23 luglio 1999 dal Giudice di pace di Bologna nel procedimento civile vertente tra Boni Anna e la Provincia di Bologna, iscritta al n. 41 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell'anno 2000.
Visti gli atti di intervento della Regione Emilia–Romagna e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 29 novembre 2000 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.
Ritenuto che nel corso di un giudizio di risarcimento del danno causato da un cinghiale nei confronti di un’autovettura il Giudice di pace di Bologna, con ordinanza del 23 luglio 1999 (pervenuta alla cancelleria di questa Corte in data 24 gennaio 2000), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 26 della legge 27 dicembre 1977, n. 968 (Principi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia), nonché degli artt. 16 e 18, secondo comma, della legge della Regione Emilia–Romagna 15 febbraio 1994, n. 8 (Disposizioni per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio dell’attività venatoria), in riferimento agli artt. 3, primo comma, 32, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione;
che, ad avviso del rimettente, nella giurisprudenza di legittimità si afferma il principio secondo cui in caso di danni a persone e/o a cose causati da animali selvatici non sia applicabile l’art. 2052 cod. civ. e il conseguente regime di inversione dell’onere della prova, bensì l’art. 2043 cod. civ., il che comporterebbe l’applicazione della regola generale per cui incombe al danneggiato di provare, tra l’altro, la colpa della pubblica amministrazione;
che, pertanto, mentre il conduttore di attività agricola sarebbe esentato dal provare la responsabilità della pubblica amministrazione per ottenere il risarcimento del danno prodotto da animali selvatici, il singolo danneggiato dagli stessi animali, invece, dovrebbe fornire tale prova;
che questa diversa disciplina sarebbe priva di ragionevolezza, atteso che il presente momento storico è caratterizzato da una massiccia immissione di animali selvatici, specie nei parchi naturali, con forte incremento di incidenti stradali e danni a terzi;
che la normativa sopra citata, nella parte in cui «non prevede la risarcibilità dei danni causati da animali selvatici a persone e/o a cose, alla stessa stregua della risarcibilità prevista e disciplinata per i danni alla produzione agricola», violerebbe il principio di uguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.), nonché la tutela della salute (art. 32, primo comma, Cost.) e quella della proprietà privata (art. 42, secondo comma, Cost.);
che nel presente giudizio di legittimità costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilità o, in subordine, per l’infondatezza della questione;
che è intervenuto il Presidente della Giunta regionale pro–tempore della Regione Emilia–Romagna, chiedendo analogamente che la questione sia dichiarata inammissibile e infondata.
Considerato che, in ordine alle eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa erariale e dalla Regione intervenuta, principalmente appuntate sulla genericità ed indeterminatezza della prospettazione del giudice a quo, questa Corte ritiene che le stesse siano prive di fondamento, in quanto dal contesto della motivazione del provvedimento di rimessione è possibile evincere le disposizioni che il giudice a quo intende censurare, individuandole nell'art. 26 della legge n. 968 del 1977 (come sostituiti dalle omologhe disposizioni della legge 11 febbraio 1992, n. 157 dettante "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio") e negli artt. 16 e 18, secondo comma, della legge della Regione Emilia–Romagna 15 febbraio 1994, n. 8 (nel suo testo originario), essendo questo il complesso di norme che regolano il regime di accertamento e di ristoro dei pregiudizi alla produzione agricola derivanti dagli animali selvatici;
che, pertanto, occorre esaminare nel merito la prospettata violazione, da parte della normativa così individuata, del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost. nel non prevedere la risarcibilità dei danni causati da animali selvatici a persone e/o a cose alla stessa stregua (e in particolare con lo stesso regime probatorio) di quello previsto dalle disposizioni citate per i danni alla produzione agricola, vulnus che sarebbe per il rimettente ancor più evidente alla luce dell'interpretazione giurisprudenziale di legittimità che ritiene applicabile alla specie il regime ordinario di responsabilità aquiliana ex art. 2043 cod. civ. anziché quello di cui all'art. 2052 dello stesso codice;
che, ad avviso di questa Corte, l'esigenza di una parità di trattamento tra le situazioni di fatto – che si assumono analoghe – di chi patisce un danno alla produzione agricola e di chi invece vede danneggiata la propria persona o i propri beni dalla fauna selvatica non sussiste, atteso che non solo sono differenti le predette due fattispecie, ma la ratio della normativa denunciata risiede nella specificità della protezione offerta in relazione ai danni subiti dalle produzioni agricole a causa della fauna selvatica; il legislatore ha cioè inteso approntare una peculiare tutela all'agricoltura indennizzando gli effetti negativi ad essa derivanti dalla presenza di quegli animali sul territorio, presenza che nell'attuale contesto storico sociale è ritenuta meritevole di protezione nel quadro di un armonico equilibrio ambientale;
che, considerata la natura speciale della indennizzabilità prevista dalle disposizioni censurate, queste norme non possono essere estese oltre i casi espressamente previsti; né la loro irragionevolezza può essere ricollegata all'interpretazione della giurisprudenza di legittimità sull'art. 2052 cod. civ., secondo cui questa disposizione è applicabile solo in presenza di danni provocati da animali domestici con esclusione di quelli selvatici, per i quali si applica invece l'art. 2043 cod. civ.; giurisprudenza che trova la sua giustificazione nella diversità delle situazioni poste a raffronto, atteso lo "stato di naturale libertà che caratterizza la fauna selvatica";
che, in ordine alle ulteriori censure relative agli artt. 32 e 42 della Costituzione, ritiene questa Corte che la possibilità di tutela generale ex art. 2043 cod. civ. escluda la configurabilità dei lamentati vizi;
che, pertanto, la questione sollevata deve ritenersi, sotto ogni profilo, manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 26 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) nonché degli artt. 16 e 18 , secondo comma, della legge della Regione Emilia–Romagna 15 febbraio 1994, n. 8 (Disposizioni per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio dell’attività venatoria) sollevata, in riferimento agli artt. 3, 32, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice di pace di Bologna, con l'ordinanza di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il15 dicembre 2000.
Fernando SANTOSUOSSO, Presidente e RedattoreDepositata in cancelleria il 29 dicembre 2000.