Ordinanza n. 572/2000
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ORDINANZA N. 572

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 656, commi 5, 8 e 9, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 1 della legge 27 maggio 1988, n. 165 (Modifiche all’articolo 656 del codice di procedura penale ed alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni), promossi con ordinanze emesse il 30 luglio 1999 e il 27 ottobre 1999 dal Tribunale di Genova nei procedimenti di esecuzione nei confronti di T. Q. C. H. e D. A., iscritte ai nn. 592 e 729 del registro ordinanze 1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 1999 e n. 3, prima serie speciale, dell’anno 2000.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 15 novembre 2000 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

 Ritenuto che il Tribunale di Genova, con due ordinanze di analogo tenore emesse il 30 luglio 1999 ed il 27 ottobre 1999 nel corso di distinti procedimenti di esecuzione penale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 656, commi 5, 8 e 9, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 1 della legge 27 maggio 1998, n. 165 (Modifiche all’articolo 656 del codice di procedura penale ed alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni), per contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 112 della Costituzione, nella parte in cui prevede (comma 5 dell’art. 656 cod. proc. pen.) la consegna al condannato dell’ordine di carcerazione e del decreto di sospensione di tale ordine, in luogo della loro notificazione ai sensi degli artt. 148 ss. cod. proc. pen.; e, per contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione, nella parte in cui non prevede (commi 8 e 9 dell’art. 656 cod. proc. pen.) che la condizione di irreperibilità o di latitanza del condannato costituisca, rispettivamente, causa di revoca della sospensione dell’ordine di esecuzione delle pene detentive e causa ostativa della sospensione stessa;

 che il rimettente premette, in punto di fatto, che, dopo il passaggio in giudicato di una sentenza di condanna a pena detentiva, il pubblico ministero — in ossequio al nuovo testo dell’art. 656 cod. proc. pen., introdotto dalla citata legge n. 165 del 1998 — aveva emesso ordine di esecuzione della pena e decreto di sospensione della medesima, disponendo la consegna di entrambi gli atti al condannato;

 che la consegna era risultata peraltro impossibile, non essendo stato il condannato reperito neppure in esito ad ulteriori ricerche;

 che il pubblico ministero aveva quindi promosso un procedimento di esecuzione, chiedendo ad esso giudice rimettente, in via principale, di disporre, sulla base di una interpretazione estensiva del comma 8 dell’art. 656 cod. proc. pen., la revoca dell’ordine di sospensione, considerando l’irreperibilità del condannato come equivalente alla mancata presentazione dell’istanza indicata nel medesimo comma 8; e, in via subordinata, di sollevare questione di legittimità costituzionale della nuova normativa;

 che — ad avviso del giudice a quo — mentre la richiesta principale del pubblico ministero non potrebbe essere accolta alla luce del chiaro dettato dell’art. 656, comma 8, cod. proc. pen., meritevole di considerazione risulterebbe, invece, quella subordinata;

 che l’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., nuovo testo, stabilisce, in effetti, che l’ordine di esecuzione della pena detentiva ed il decreto di sospensione della stessa — che il pubblico ministero è tenuto ad emettere simultaneamente nei casi ivi previsti — debbano essere consegnati personalmente al condannato: la «consegna», prescritta dalla norma, non potrebbe essere difatti intesa nel senso di «notificazione» — così da legittimare il ricorso alle articolate procedure di cui agli artt. 148 ss. cod. proc. pen. — ostando a tale interpretazione sia il dato testuale che i lavori preparatori della legge n. 165 del 1998;

 che, così congegnata, la disposizione violerebbe tuttavia la Carta costituzionale sotto due profili: da un lato, perché determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra imputato e condannato, essendo previsto per il primo (che pure può giovarsi della presunzione costituzionale di non colpevolezza) un regime più flessibile e meno «garantito» di quello stabilito per il secondo, sia in rapporto alla disciplina delle notificazioni che a quella dell’eseguibilità della misura della custodia cautelare in carcere; dall’altro lato, perché precluderebbe l’attività del pubblico ministero volta a dare esecuzione alle sentenze, attività che costituisce parte integrante dell’obbligo di esercizio dell’azione penale sancito dall’art. 112 della Costituzione;

 che una ulteriore compromissione del principio di uguaglianza deriverebbe, poi — secondo il giudice rimettente — dalla mancata previsione, nei commi 8 e 9 dell’art. 656 cod. proc. pen., della irreperibilità e della latitanza del condannato, rispettivamente, come causa di revoca del decreto di sospensione e come causa ostativa della sua emissione: in tal modo, infatti, la condizione di irreperibilità o di latitanza — impedendo l’esecuzione della sentenza — godrebbe di un trattamento «privilegiato» rispetto a quella dei condannati che, in quanto radicati nel territorio per ragioni di lavoro o familiari, risultino agevolmente rintracciabili dalle forze di polizia, e quindi costretti ad attivare le procedure contemplate dall’art. 656 cod. proc. pen. al fine di evitare la carcerazione;

 che, da ultimo, la disciplina complessiva posta dall’art. 656 cod. proc. pen. colliderebbe anche con l’art. 27, terzo comma, della Costituzione, consentendo al condannato irreperibile di sottrarsi all’esecuzione della pena mentre decorre il relativo termine di prescrizione (nella specie, di breve durata), onde la pena stessa non potrebbe esplicare né la sua funzione rieducativa, né quelle di diversa natura;

 che nei giudizi di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la declaratoria di non fondatezza delle questioni.

 Considerato che, a fronte della sostanziale identità delle questioni, dev’essere disposta la riunione dei relativi giudizi;

 che, successivamente alle ordinanze di rimessione, è stato emanato il decreto-legge 24 novembre 2000, n. 341 (Disposizioni urgenti per l’efficacia e l’efficienza dell’Amministrazione della giustizia), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 275 del 24 novembre 2000, il cui art. 10 ha modificato l’art. 656, comma 5, secondo periodo, cod. proc. pen., sostituendo — negli stessi termini proposti dal petitum del Tribunale rimettente — le parole (riferite all’ordine di esecuzione della pena detentiva ed al decreto di sospensione della stessa) «sono consegnati», con le altre «sono notificati»;

 che, pertanto, va disposta la restituzione degli atti al giudice rimettente perché valuti se, a seguito della intervenuta modifica legislativa della disposizione denunciata, la questione di legittimità costituzionale sollevata sia tuttora rilevante nei procedimenti a quibus.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 riuniti i giudizi,

 ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Genova.

Così deciso, in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 2000.

Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in cancelleria il 21 dicembre 2000.