ORDINANZA N. 346
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare MIRABELLI, Presidente
- Francesco GUIZZI
- Massimo VARI
- Cesare RUPERTO
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge 5 giugno 1989, n. 219 (Nuove norme in tema di reati ministeriali e di reati previsti dall'articolo 90 della Costituzione), promosso, in un procedimento penale, con ordinanza emessa il 9 dicembre 1999 dal Tribunale di Roma, iscritta al n. 93 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 2000.
Visto l'atto di costituzione di uno degli imputati nel procedimento a quo;
udito nell'udienza pubblica del 4 luglio 2000 il Giudice relatore Guido Neppi Modona;
uditi gli avvocati Carlo Federico Grosso e Gustavo Pansini per la parte costituita.
Ritenuto che con ordinanza emessa il 9 dicembre 1999 il Tribunale di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27, secondo comma, 111 della Costituzione e 9 della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1 (Modifiche degli articoli 96, 134 e 135 della Costituzione e della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, e norme in materia di procedimenti per i reati di cui all'articolo 96 della Costituzione), questione di legittimità costituzionale della legge 5 giugno 1989, n. 219 (Nuove norme in tema di reati ministeriali e di reati previsti dall'articolo 90 della Costituzione), nella parte in cui non prevede l'incompatibilità del collegio per i reati ministeriali ad emettere il decreto che dispone il giudizio;
che nell'udienza del 9 dicembre 1999 il rimettente - premesso che procede per il reato di corruzione continuata commesso nel luglio 1991 nei confronti di imputati rinviati a giudizio con decreto del collegio per i reati ministeriali del 24 luglio 1998 - ha sollevato, a seguito di eccezione della difesa, la questione di costituzionalità sul presupposto che dalla declaratoria di illegittimità costituzionale deriverebbe la nullità del decreto che ha disposto il giudizio e, quindi, la regressione del giudizio alla fase dell'udienza preliminare;
che il rimettente ritiene che il legislatore costituzionale, probabilmente a causa della lunga procedura di approvazione della legge, non aveva tenuto conto della imminente entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, e si era perciò limitato a istituire, con l'art. 7 della legge costituzionale n. 1 del 1989, un collegio che aveva le stesse funzioni del giudice istruttore nel codice di procedura penale del 1930, senza che si ponesse, quindi, alcun problema di competenza o di incompatibilità;
che, secondo il giudice a quo, tale sistema è stato sovvertito a seguito dell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale e della scomparsa della figura del giudice istruttore, nonché delle sentenze con le quali la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 34 cod. proc. pen. tutte le volte in cui non era prevista l'incompatibilità del giudice che in precedenza avesse espresso valutazioni di merito sulla medesima regiudicanda;
che nell'attuale disciplina la previsione che il collegio per i reati ministeriali svolga funzioni inquirenti, sia pure con la garanzia della formazione collegiale del giudice, e possa poi decidere del rinvio a giudizio, è in contrasto con il principio costituzionale dell'imparzialità del giudice;
che ad avviso del Tribunale rimettente, tuttavia, il contrasto non discende dalle disposizioni della legge costituzionale n. 1 del 1989, bensì dalla disciplina dettata dalla legge n. 219 del 1989 o, meglio, dalla interpretazione che di essa ha dato la Corte di cassazione;
che infatti, secondo il Tribunale, la legge costituzionale - che all'art. 9, comma 4, dispone che dopo l'autorizzazione dell'assemblea il procedimento continui «secondo le norme vigenti» - e la legge ordinaria - che all'art. 3, comma 1, si limita a ribadire quella disposizione - indurrebbero a ritenere che la richiesta di rinvio a giudizio debba essere rivolta al giudice dell'udienza preliminare;
che peraltro la Corte di cassazione, con giurisprudenza costante, ha ritenuto che competente a proseguire il procedimento sia il collegio per i reati ministeriali, escludendo che detta funzione spetti al giudice dell'udienza preliminare del tribunale ordinario;
che a parere del giudice a quo la legge n. 219 del 1989, interpretata alla stregua del diritto vivente, viola i principi costituzionali di eguaglianza (art. 3 Cost.) e di presunzione di non colpevolezza (art. 27, secondo comma, Cost.), comportando una diminuzione di garanzia per gli imputati giudicati in udienza preliminare dal collegio di cui all'art. 7 della legge costituzionale n. 1 del 1989, «in quanto impedisce loro di esercitare il diritto di chiedere e di ottenere, in modo imparziale, l'applicazione della pena o il giudizio abbreviato», nonché il principio del giusto processo (art. 111 Cost.), in quanto il collegio per i reati ministeriali ha funzioni di pubblico ministero e di giudice;
che si è costituito in giudizio l'ex ministro imputato nel procedimento a quo, concludendo per l'accoglimento della questione;
che nella memoria di costituzione la difesa della parte rileva che la legge costituzionale n. 1 del 1989, istituendo lo speciale collegio costituito presso ciascuna sede di Corte di appello (art. 7), ha inteso giurisdizionalizzare e rafforzare, attraverso la previsione della collegialità, esclusivamente le garanzie del procedimento ministeriale nella fase istruttoria, assegnando a un organo collegiale la delicata funzione di preventivo "filtro giurisdizionale" della notitia criminis;
che di conseguenza, ad avviso della parte, l'autorizzazione a procedere segna, nel disegno della legge costituzionale, l'ultimo momento del regime procedimentale speciale, come è dimostrato dai lavori preparatori;
che la legge n. 219 del 1989, attuativa della legge costituzionale, ha dettato una serie di norme che chiariscono che al collegio è attribuita una funzione - essenziale - di pubblico ministero (cui si connette il potere di disporre d'ufficio l'archiviazione) e una funzione - accessoria - di giudice per le indagini preliminari (competente a disporre l'incidente probatorio, l'archiviazione, la riapertura delle indagini);
che la legge (art. 3, comma 1) ha altresì chiarito che con il ricevimento degli atti provenienti dall'organo politico si conclude definitivamente la fase delle indagini assegnate al collegio e si attiva il rito ordinario;
che pertanto, come la richiesta di emissione del decreto che dispone il giudizio deve essere presentata dal pubblico ministero, così la competenza a celebrare l'udienza preliminare dovrebbe essere riconosciuta al giudice per le indagini preliminari del tribunale ordinario;
che l'opposta interpretazione, che affida al collegio la celebrazione dell'udienza preliminare, comporta o che la possibilità di fruire di patteggiamento e giudizio abbreviato è esclusa per i ministri e per i "laici" concorrenti nel reato a questi attribuito, oppure che nei confronti di tali soggetti i riti alternativi possono essere celebrati da un giudice che ha esercitato funzioni di pubblico ministero;
che, nonostante ciò, il diritto vivente attribuisce la competenza funzionale di giudice dell'udienza preliminare al collegio di cui all'art. 7 della legge costituzionale n. 1 del 1989;
che tale interpretazione conduce a soluzioni inaccettabili dal punto di vista della coerenza dei principi affermati, legittimando un sistema che trascura completamente l'esigenza, ineludibile, che il giudice sia terzo e perciò imparziale;
che, ad avviso della parte costituita, la disciplina denunciata si pone in contrasto con l'attuale testo dell'art. 111 Cost., non potendosi ipotizzare che la Corte ne dichiari «la conformità alla norma costituzionale previgente, ignorando l'attualità del contrasto con la norma modificata»;
che inoltre - in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., «parametri fondanti, a proposito di imparzialità del giudice, il principio del giusto processo», nonché in riferimento all'art. 101 Cost., «che, garantendo l'imparzialità del giudice, postula la passività processuale di costui», - non è rintracciabile nel sistema una valida ragione per riservare ai ministri una posizione di svantaggio nell'esercizio dei propri diritti nel processo;
che la parte conclude che la tutela dei principi costituzionali evocati non potrebbe comunque essere assicurata attraverso il ricorso agli istituti dell'astensione e della ricusazione, in quanto la situazione in esame attiene alla sequenza di funzioni di pubblico ministero e di giudice attribuite alla stessa persona fisica, di modo che, ricorrendo la regola, o comunque l'esigenza, di cui all'art. 34, comma 3, cod. proc. pen., si impone l'adozione di un criterio generale che sancisca tale causa di incompatibilità;
che in sede di discussione i difensori della parte hanno ulteriormente sviluppato le ragioni a sostegno dell'illegittimità costituzionale della disciplina censurata.
Considerato che la questione di costituzionalità sollevata dal Tribunale di Roma, quale giudice del dibattimento, riguarda la mancata previsione dell'incompatibilità del collegio per i reati ministeriali a svolgere la funzione di giudice dell'udienza preliminare e a disporre il rinvio a giudizio dell'imputato;
che, in punto di rilevanza, nell'ordinanza di rimessione si afferma che l'accoglimento della questione determinerebbe la regressione del procedimento in corso alla fase dell'udienza preliminare;
che, come questa Corte ha già rilevato nell'ordinanza n. 36 del 1999, il diritto vivente esclude che i provvedimenti adottati dal giudice che versa in una situazione di incompatibilità siano affetti da nullità, in quanto le cause di incompatibilità non incidono sui requisiti di capacità del giudice, costituendo invece motivo di ricusazione, da far valere nei termini e modi previsti dall'apposita procedura (v. in proposito anche la sentenza n. 473 del 1993);
che il giudice rimettente non chiarisce in base a quale principio o regola processuale l'accoglimento della questione determinerebbe la regressione del procedimento alla fase ormai esaurita dell'udienza preliminare, tanto più che dall’ordinanza di rimessione neppure risulta che la parte abbia tempestivamente attivato, nel corso del procedimento avanti al collegio per i reati ministeriali, la procedura di ricusazione del giudice ritenuto incompatibile;
che il difetto di motivazione sulla rilevanza comporta che la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale della legge 5 giugno 1989, n. 219, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 27, secondo comma, 111 della Costituzione e 9 della legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1, dal Tribunale di Roma, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2000.
Cesare MIRABELLI, Presidente
Guido NEPPI MODONA, Redattore
Depositata in cancelleria il 24 luglio 2000.