ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALEcomposta dai signori Giudici:
- Cesare MIRABELLI, Presidente
- Francesco GUIZZI
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Cesare RUPERTO
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 10, comma 2 della legge della Regione Siciliana 15 settembre 1997, n. 35 (Nuove norme per l'elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale), promossi con ordinanze emesse il 12 novembre 1999 (n. 2 ordinanze), il 25 gennaio (n. 3 ordinanze) e il 22 febbraio 2000 dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, rispettivamente iscritte ai nn. 751 e 752 del registro ordinanze 1999 ed ai nn. 196, 197, 198 e 254 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 4, 19, 21, prima serie speciale, dell'anno 2000.
Visti gli atti di costituzione di Gaetano Cancemi e di Vito Manuele, nonché gli atti di intervento della Regione Siciliana;
udito nell'udienza pubblica del 20 giugno 2000 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;
uditi gli avvocati Andrea Scuderi per Gaetano Cancemi, Sergio Agrifoglio per Vito Manuele e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per la Regione Siciliana.
Ritenuto che il Tribunale amministrativo per la Sicilia - sezione staccata di Catania - prima sezione- nel corso di diversi procedimenti instaurati per l’annullamento delle deliberazioni dei consigli comunali di sei comuni della Sicilia recanti approvazione della mozione di sfiducia nei confronti dei sindaci in carica, con sei ordinanze del 12 novembre 1999, 25 gennaio e 22 febbraio 2000, di contenuto pressoché identico, ha sollevato questione di costituzionalità dell’art. 10, comma 2, della legge della Regione Siciliana 15 settembre 1997, n. 35 (Nuove norme per l’elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale) per contrasto con gli articoli 1, 48 e 97 della Costituzione;
che la norma impugnata, ad avviso dei giudici rimettenti, stabilendo che l’approvazione della mozione di sfiducia da parte del consiglio comunale comporta la cessazione dalla carica del sindaco direttamente eletto dal corpo elettorale comunale, violerebbe il principio della sovranità popolare, poiché, all’interno del sistema elettorale vigente nella Regione Siciliana, nel quale l’elettore - secondo il meccanismo del voto c.d. disgiunto - ha facoltà di attribuire il voto anche ad un candidato sindaco non collegato alla lista da lui prescelta, si verrebbe a creare un rapporto diretto fra il corpo elettorale ed il sindaco, che proprio la mozione di sfiducia altererebbe ingiustificatamente;
che la disposizione impugnata, secondo il Tar per la Sicilia, contrasterebbe anche con l’art. 97 della Costituzione, consentendo che la mozione di sfiducia venga utilizzata quale strumento di condizionamento nei confronti dell’esecutivo, con ripercussioni negative sul “valore della stabilità delle istituzioni pubbliche”, secondo il quale “il patto tra corpo elettorale ed organi eletti” deve esplicarsi nei tempi prefissati, “senza interruzioni che si ripercuotono in termini di inefficienza e deresponsabilizzazione dei soggetti investiti da cariche pubbliche”;
che, sempre secondo il giudice a quo, la disciplina contestata neanche potrebbe trovare fondamento nella legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni), dato che, in quest'ultima, a differenza che in quella impugnata, l’istituto della sfiducia consiliare al Presidente della Regione sarebbe connesso ad un sistema elettorale nel quale l’elettore “opera una scelta nella lista dei candidati da eleggere al Consiglio, che deve coincidere con la scelta del Presidente della Giunta alla cui carica è eletto il capolista”, creandosi così un “necessario collegamento” fra i due organi, che “deve permanere durante la legislatura e può essere superato soltanto attraverso una nuova consultazione elettorale originata dalla mozione di sfiducia”;
che in quattro dei sei giudizi di costituzionalità è intervenuto il Presidente della Regione Siciliana, difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha eccepito l’inammissibilità della questione in quanto la scelta dello strumento di controllo sull’operato del sindaco ha carattere politico, e, come tale, è riservata alla discrezionalità del legislatore, mentre, nel merito, ne ha dedotto l’infondatezza, rilevando che la relazione fiduciaria fra il sindaco ed il consiglio comunale trova “il suo fondamento nella corretta attuazione di quegli indirizzi che il consiglio ha approvato all’inizio del mandato e che hanno la base nel programma che gli elettori stessi hanno avallato eleggendo un particolare sindaco”;
che, secondo la difesa regionale, il meccanismo del voto disgiunto “comporta proprio la possibilità che vi sia in consiglio una maggioranza contrapposta al sindaco, come anche che vi sia una situazione di equilibrio fra consiglieri eletti in altre liste”, con la conseguenza che il sindaco “dovrà assicurarsi la governabilità in consiglio proprio perché gli elettori non gliela hanno garantita con il sistema del voto disgiunto”, e che l’art. 97 della Costituzione non sarebbe violato, in quanto detta disposizione non è riferibile al comune come ente politico, e comunque la mozione di sfiducia sarebbe rivolta “a sanzionare la mancata attuazione degli indirizzi politici in base ai quali gli elettori hanno eletto il sindaco”;
che, ad avviso della difesa regionale, nel vigente sistema elettorale siciliano sindaco e consiglio comunale costituiscono “interdipendente espressione di sovranità popolare”, con la conseguenza che, in caso d’incompatibilità insuperabile fra i due organi, l’esigenza fondamentale della governabilità viene assicurata sia dallo strumento delle dimissioni del sindaco, sia da quello della sfiducia consiliare, con conseguente ricorso a nuove elezioni;
che si è costituito in giudizio Vito Manuele, ricorrente in uno dei giudizi principali quale sindaco del Comune di Leonforte, ricordando che la attuale disciplina regionale consente la rimozione del sindaco ad opera del consiglio comunale “escludendo la necessità di motivazione alcuna”, senza possibilità di sindacato giurisdizionale e quindi con violazione, a suo avviso, degli articoli 1, 24, 48, 97 e 113 della Costituzione;
che si è altresì costituito Gaetano Cancemi, ricorrente in uno dei giudizi principali quale sindaco del Comune di Avola, svolgendo argomentazioni a favore dell’accoglimento della questione di costituzionalità.
Considerato che il Tribunale amministrativo per la Sicilia - sezione staccata di Catania - prima sezione - dubita della legittimità costituzionale dell’art. 10, comma 2, della legge della Regione Siciliana n. 35 del 1997, perché ritiene contrastante con il principio della sovranità popolare e del buon andamento della pubblica amministrazione la previsione che la approvazione di una mozione di sfiducia da parte del consiglio comunale comporti la cessazione dalla carica del sindaco direttamente eletto dal corpo elettorale comunale;
che l’identità della disposizione oggetto della questione di legittimità costituzionale e delle norme costituzionali invocate come parametro, nonché la sostanziale coincidenza delle argomentazioni svolte nelle ordinanze di rimessione, rendono opportuna la trattazione congiunta dei giudizi;
che l’articolo 1 della Costituzione non può dirsi violato dalla norma impugnata in quanto detta disposizione costituzionale, nel prevedere che la sovranità appartiene al popolo, ne dispone l’esercizio nelle forme e nei limiti della Costituzione, cosicché da essa nulla può direttamente desumersi “in ordine alla concreta disciplina delle situazioni giuridiche a favore o a carico dei singoli soggetti” (sentenza n. 109 del 1968);
che la Costituzione, difatti, non impone al legislatore, per quanto attiene alla forma di governo dell’ente locale, la scelta fra modelli astrattamente predefiniti e rigidi nella loro tipicità, bensì gli consente, nell’esercizio della sua discrezionalità, di scegliere forme e strumenti articolati di distribuzione fra i diversi organi del comune della funzione di governo dell’ente locale, onde il principio della elezione diretta del sindaco non comporta necessariamente un rapporto di rigida separazione con il consiglio comunale, bensì è compatibile, secondo la discrezionalità del legislatore, con la previsione che intercorra con il predetto organo rappresentativo un rapporto di coesa collaborazione e di ininterrotto coordinamento;
che non può comunque dirsi in contrasto con il principio che la sovranità appartiene al popolo la previsione che il consiglio comunale, mediante voto di sfiducia, possa far cessare dalla carica il sindaco direttamente eletto, quando, alla approvazione della relativa mozione, consegue non solo la rimozione del sindaco, bensì anche lo scioglimento del consiglio comunale ed il ricorso ad una nuova consultazione popolare, che ristabilisca le forme della necessaria collaborazione fra i due organi di governo del comune;
che la compatibilità di tale procedimento con i principi costituzionali relativi alla forma di governo delle autonomie locali può trovare anche conferma -restando impregiudicata ogni questione relativa ai rapporti tra legislazione ordinaria e norme costituzionali sopravvenute- nella legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1, la quale, modificando gli articoli 121, 122, 123 e 126 della Costituzione, ha stabilito, per quanto attiene ai rapporti fra gli organi della Regione, che qualora il Presidente sia eletto a suffragio diretto dal corpo elettorale regionale, l’istituto della sfiducia consiliare non è precluso, ma alla espressione della sfiducia consegue lo scioglimento del consiglio regionale (art. 126, quarto comma, della Costituzione);
che la disposizione impugnata neppure viola l’art. 97 della Costituzione, non soltanto perché in un sistema nel quale è consentito il voto disgiunto “la governabilità dell’ente locale non è assunta come un valore assoluto” (sentenza n. 107 del 1996), ma anche perché detta previsione non può essere riferita ai rapporti fra gli organi di governo del comune, i quali assumono, relativamente all’ambito proprio dell’ente locale, valenza intrinsecamente politica e quindi non possono essere valutati alla luce di un principio che si riferisce invece all’attività dell'amministrazione, che si svolge "senza distinzione di parti politiche, al fine del perseguimento delle finalità pubbliche obbiettivate dall'ordinamento" (sentenza n. 453 del 1990);
che infine la censura di costituzionalità della norma impugnata formulata dal Tribunale in riferimento all’art. 48 della Costituzione è priva di qualsiasi pur minima motivazione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità dell’art. 10, comma 2, della legge della Regione Siciliana 15 settembre 1997, n. 35 (Nuove norme per l’elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale), sollevata, in riferimento agli articoli 1, 48 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 luglio 2000.
Cesare MIRABELLI, Presidente
Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore
Depositata in cancelleria il 19 luglio 2000.