Ordinanza n. 260/2000

 ORDINANZA N. 260

ANNO 2000

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria  FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 51, secondo comma, numero 2 e numero 7, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), nel testo introdotto dall’art. 18 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), promosso con ordinanza emessa il 21 dicembre 1998 dalla Commissione tributaria provinciale di Caltanissetta, iscritta al n. 202 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 1999.

 Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 10 maggio 2000 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto che, con ordinanza emessa il 21 dicembre 1998, pervenuta a questa Corte il 22 marzo 1999, la Commissione tributaria provinciale di Caltanissetta ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 24 e 53 della Costituzione, dell’art. 51, secondo comma, numero 2 e numero 7, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), nel testo introdotto dall’art. 18 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale);

che le disposizioni denunciate definiscono alcuni dei poteri che possono essere esercitati dagli uffici dell’imposta sul valore aggiunto “per l’adempimento dei loro compiti” di controllo delle dichiarazioni presentate e dei versamenti eseguiti dai contribuenti, di accertamento e riscossione delle imposte o maggiori imposte dovute, di vigilanza sull’osservanza degli obblighi stabiliti dalla legge;

che, specificamente, il numero 2 del secondo comma dell’art. 51 prevede che gli uffici possono “invitare i soggetti che esercitano imprese, arti o professioni, indicandone il motivo, a comparire di persona o a mezzo di rappresentanti per esibire documenti e scritture (…) o per fornire dati, notizie e chiarimenti rilevanti ai fini degli accertamenti nei loro confronti anche relativamente alle operazioni annotate nei conti, la cui copia sia stata acquisita a norma del numero 7) del presente comma, ovvero rilevate a norma dell'articolo 52, ultimo comma, o dell’articolo 63, primo comma”; che “i singoli dati ed elementi risultanti dai conti sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 54 e 55 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili (…); e che “le richieste fatte e le risposte ricevute devono essere verbalizzate a norma del sesto comma dell’art. 52”;

che, a sua volta, il numero 7 dello stesso comma prevede che gli uffici possono “richiedere, previa autorizzazione dell’ispettore compartimentale delle tasse ed imposte indirette sugli affari ovvero, per la Guardia di finanza, del comandante di zona, alle aziende e istituti di credito per quanto riguarda i rapporti con i clienti (...), copia dei conti intrattenuti con il contribuente con la specificazione di tutti i rapporti inerenti o connessi a tali conti comprese le garanzie prestate da terzi; ulteriori dati e notizie di carattere specifico relativi agli stessi conti possono essere richiesti – negli stessi casi e con le medesime modalità – con l’invio alle aziende e istituti di credito (…) di questionari redatti su modello conforme a quello approvato con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro del tesoro”; e che “la richiesta deve essere indirizzata al responsabile della sede o dell’ufficio destinatario che ne dà notizia immediata al soggetto interessato (...)”;

che il remittente premette che gli avvisi di rettifica di cui è giudizio sono fondati su accertamenti effettuati dall’ufficio in applicazione dei citati numeri 2 e 7 dell’art. 51, secondo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, con riguardo in particolare ad operazioni evidenziate dai conti correnti bancari – le cui schede sono state acquisite previa autorizzazione del comandante di zona della guardia di finanza – e riferite a prestazioni imponibili anche per effetto della mancata offerta di prova contraria da parte del contribuente;

che, secondo il medesimo remittente, le citate modalità di acquisizione, affidate alla valutazione di organi dell’amministrazione finanziaria, non apparirebbero assicurare al contribuente la dovuta imparzialità, anche in considerazione della presunzione (di riferibilità ad operazioni imponibili) prevista dalla citata disposizione dell’art. 51, secondo comma, numero 2;

che il giudice a quo dubita che le disposizioni impugnate siano in contrasto con gli articoli 3, 24 e 53 della Costituzione, perché la menzionata specifica regolamentazione, dettata per gli esercenti imprese, arti e professioni, non troverebbe adeguato riscontro in altre identiche situazioni; perché non verrebbe assicurata al contribuente, anche nella fase della acquisizione degli estratti dei conti, la possibilità di un effettivo esercizio della difesa, a nulla rilevando la previsione della “notizia immediata” che della richiesta è data al soggetto interessato; e perché, a parte il già rilevato difetto di imparzialità, il sistema di acquisizione in via meramente presuntiva di “operazioni imponibili” non apparirebbe rispettoso, con riferimento alle attività professionali, del principio del concorso alle spese pubbliche in ragione della effettiva capacità contributiva;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata;

che, in relazione alla censura di violazione dell’art. 3 della Costituzione, la difesa del Presidente del Consiglio afferma che le disposizioni impugnate non sarebbero discriminatorie, poiché, nel consentire all’amministrazione l’acquisizione di copia dei conti e nell’abilitare a porre le relative risultanze a fondamento degli accertamenti, esse concernono con la stessa ampiezza, con ragionevole previsione, tutti i soggetti passivi dell’IVA; e che del resto disposizioni del tutto corrispondenti sono contenute nell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, in materia di accertamento delle imposte sui redditi, nei confronti di tutti i contribuenti soggetti a tali tributi;

che, in relazione all’art. 24 della Costituzione, l’Avvocatura erariale osserva che, sotto il profilo procedimentale, il contribuente avrebbe sempre la possibilità di far valere in sede amministrativa e poi in sede giurisdizionale eventuali vizi dell’acquisizione dei conti, con conseguente loro inutilizzabilità probatoria; mentre sotto il profilo sostanziale la norma introdurrebbe una mera presunzione relativa suscettibile di prova contraria, e ragionevolmente ancorata a presupposti di fatto;

che, infine, in relazione all’art. 53 della Costituzione, non sussisterebbe alcuna lesione del principio di capacità contributiva, posto che attraverso l’acquisizione dei conti e l’utilizzazione degli elementi da essi emergenti l’amministrazione potrebbe accertare, nell’equilibrato bilanciamento fra interesse pubblico alla percezione dei tributi e diritto del contribuente alla prova della effettività del suo debito di imposta, la sussistenza e la dimensione delle operazioni imponibili, assunte quali indici della capacità contributiva.

Considerato che le disposizioni denunciate, anche superando limitazioni previste dalla precedente legislazione, consentono all’amministrazione finanziaria di acquisire, mediante richieste alle aziende di credito, di cui è data notizia agli interessati, la documentazione relativa ai conti intrattenuti dal contribuente con dette aziende, al fine di verificare l’esistenza di operazioni imponibili, e stabiliscono una presunzione solo relativa di imponibilità delle operazioni risultanti dai conti, suscettibile di essere vinta dalla dimostrazione, da parte del contribuente, che di dette risultanze si è tenuto conto nelle dichiarazioni o che esse non si riferiscono ad operazioni imponibili;

che questa Corte ha già chiarito come lo stabilire se e in che misura si debba proteggere il cosiddetto segreto bancario sia rimesso alle scelte discrezionali del legislatore, il quale è tenuto ad un non irragionevole apprezzamento dei fini di utilità sociale e di giustizia sociale di cui agli articoli 41, secondo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione, e non potrebbe spingersi fino a fare di tale segreto un ostacolo all’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà, primo fra tutti quello di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva (sentenza n. 51 del 1992);

che la censura di violazione del principio di eguaglianza è formulata dal remittente senza alcuna indicazione delle situazioni asseritamente analoghe che sarebbero sottoposte a differente disciplina;

che, al contrario, norme sostanzialmente analoghe a quelle denunciate sono previste ai fini dell’accertamento, nei confronti di tutti i contribuenti, delle imposte sui redditi (cfr. art. 32, primo comma, numeri 2 e 7, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, come modificati, anch’essi, dal medesimo art. 18 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, che ha modificato le disposizioni oggetto delle odierne censure);

che, quanto alla censura di violazione dell’art. 24 della Costituzione, essa non ha fondamento, essendo il contribuente tempestivamente informato delle richieste di acquisizione delle copie dei conti, e potendo egli esercitare pienamente, già in sede amministrativa, e quindi in sede giurisdizionale, il suo diritto a fornire documenti, dati, notizie e chiarimenti idonei a dimostrare che le risultanze dei conti non sono in contrasto con le dichiarazioni presentate o che esse non riguardano operazioni imponibili (art. 51, secondo comma, numero 2, del d.P.R. n. 633 del 1972);

che il valore presuntivo assegnato dalla legge alle risultanze dei conti, con presunzione sempre suscettibile di prova contraria, si fonda ragionevolmente sul carattere oggettivo di dette risultanze, relative a rapporti facenti capo al contribuente;

che nemmeno sussiste, pertanto, alcun contrasto con il principio di capacità contributiva, di cui all’art. 53 della Costituzione;

che, in definitiva, la questione proposta si palesa, sotto ogni profilo, manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 51, secondo comma, numero 2 e numero 7, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), come modificato, da ultimo, dall’art. 18 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l’attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonché per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 24 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Caltanissetta con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in cancelleria il 6 luglio 2000.