ORDINANZA N. 236
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare MIRABELLI, Presidente
- Francesco GUIZZI
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1815, secondo comma, del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 20 luglio 1999 dal Pretore di Napoli nel procedimento civile Longobardi Pasquale contro B.N. Commercio e Finanza s.p.a., iscritta al numero 630 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 1999.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 giugno 2000 il Giudice relatore Annibale Marini.
Ritenuto che il Pretore di Napoli, con ordinanza emessa il 20 luglio 1999, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 47 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1815, secondo comma, del codice civile, come modificato dall’art. 4 della legge 7 marzo 1996, n. 108 (Disposizioni in materia di usura), nella parte in cui sanziona con la non debenza di alcun interesse la pretesa di interessi legittimamente pattuiti, ma divenuti successivamente usurari; e, in via subordinata, questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 1815, secondo comma, del codice civile nella parte in cui non sanziona in alcun modo la pretesa di interessi legittimamente pattuiti, ma divenuti successivamente usurari;
che ad avviso del rimettente - il quale è chiamato a decidere su una domanda di condanna al pagamento di interessi di mora convenuti in un contratto di locazione finanziaria - risponderebbe del reato di usura, nella configurazione risultante dal nuovo testo dell’art. 644 del codice penale, non solo chi si fa promettere ma anche chi si fa dare interessi superiori al cosiddetto tasso soglia fissato dall’art. 2, comma 4, della legge n. 108 del 1996 e, in quanto tali, considerati, dalla stessa norma, sempre usurari;
che, conseguentemente, la sanzione civile della non debenza di alcun interesse disposta dall’art. 1815, secondo comma, per l’ipotesi in cui siano convenuti interessi usurari, opererebbe non soltanto nel caso in cui gli interessi siano pattuiti ad un tasso originariamente usurario ma anche in quello in cui essi superino il tasso soglia per effetto di una variazione in diminuzione del predetto tasso, e ciò con riguardo sia ai contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della legge n. 108 del 1996, sia a quelli stipulati successivamente;
che, in tal modo, la norma impugnata si porrebbe in contrasto, innanzitutto, con l’art. 24 della Costituzione, in quanto precluderebbe, per effetto dei decreti ministeriali di determinazione del tasso soglia, la tutela giurisdizionale del diritto, legittimamente sorto, alla percezione degli interessi convenzionali;
che la stessa norma sarebbe, inoltre, lesiva del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, creando una irragionevole ed ingiustificata disparità di trattamento sia tra operatori che abbiano legittimamente concesso finanziamenti a tassi di interesse non usurari, in funzione del dato accidentale della variazione in diminuzione del tasso soglia, non prevedibile nell’an e nel quantum, sia tra posizioni creditorie e debitorie, atteso che il creditore - il quale non dovrebbe necessariamente identificarsi con il soggetto economicamente più forte del rapporto - sarebbe esposto, in caso di diminuzione del tasso soglia, alla sanzione della non debenza di interessi, senza che un successivo aumento della soglia di usurarietà al di sopra del tasso pattuito possa incidere nuovamente sul rapporto;
che la norma impugnata contrasterebbe da ultimo con l’art. 47 della Costituzione, in quanto da un lato ostacolerebbe la concessione del credito a causa del rischio di una sanzione a carico degli operatori finanziari del tutto indipendente da una qualsiasi loro condotta colpevole, dall’altro indurrebbe gli operatori medesimi - i quali, in virtù del meccanismo previsto dalla legge n. 108 del 1996, possono di fatto incidere sulla determinazione del tasso soglia - a mantenere i tassi di interesse ad un livello più alto di quello effettivamente imposto dal mercato;
che qualora, poi, la norma impugnata fosse interpretata nel senso di riferire la sanzione di nullità ivi prevista alle sole pattuizioni con le quali vengono convenuti interessi usurari, escludendo dunque le ipotesi in cui gli interessi divengano usurari a seguito dell’abbassamento del tasso soglia, ugualmente la disposizione si porrebbe - ad avviso del medesimo rimettente - in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto sottoporrebbe a disciplina diversa situazioni identiche (e cioè richieste di interessi superiori al tasso soglia pro tempore vigente) in ragione esclusivamente del dato temporale relativo alla conclusione del contratto;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, per mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di infondatezza di entrambe le questioni prospettate, in via principale e subordinata, dal rimettente;
che, secondo l’Avvocatura, l’art. 1815, secondo comma, cod. civ. dovrebbe trovare applicazione soltanto nei casi in cui sussistano gli estremi del reato di usura il quale richiederebbe che la pattuizione abbia ab origine, e cioè all’atto della sua stipulazione, il carattere dell’usurarietà;
che, in particolare, secondo l’Avvocatura, la mutabilità dei tassi di mercato che, nel corso di un rapporto per sua natura di lunga durata, possono crescere, con vantaggio del debitore, o diminuire, con vantaggio per la banca o l’azienda finanziatrice, renderebbe necessariamente aleatorio il contratto di finanziamento a tasso fisso;
che la tutela offerta dal reato di usura non sarebbe, pertanto, invocabile quando si tratta di sottrarre il debitore non già all’assunzione di impegni sproporzionati al corrispettivo ricevuto, ma ad un rischio economico consapevolmente e liberamente assunto al momento della conclusione del contratto;
che, pertanto, «l’unica soluzione coerente con i principi costituzionali» sarebbe, secondo l’Avvocatura, «quella della inapplicabilità del secondo comma dell’art. 1815 del codice civile alle operazioni stipulate prima della riduzione del tasso soglia ad una misura inferiore ai tassi originariamente convenuti».
Considerato che l’oggetto del giudizio a quo è rappresentato - come si desume dall’ordinanza di rimessione - dalla domanda di condanna al pagamento di interessi convenzionali di mora;
che manca, nell’ordinanza di rimessione, qualsiasi motivazione in ordine all’iter logico in virtù del quale il rimettente ritiene che la norma impugnata - dettata in tema di contratto di mutuo - sia applicabile anche alla convenzione determinativa di interessi moratori, dovuti per il ritardo nell’adempimento di una obbligazione pecuniaria;
che il difetto di motivazione su tale profilo di rilevanza - considerata anche la mancanza di un diritto vivente conforme all’implicito assunto del rimettente - determina la manifesta inammissibilità sia della questione principale che di quella subordinata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1815, secondo comma, del codice civile, come modificato dall’art. 4 della legge 7 marzo 1996, n. 108 (Disposizioni in materia di usura), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24 e 47 della Costituzione, dal Pretore di Napoli con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 giugno 2000.
Cesare MIRABELLI, Presidente
Annibale MARINI, Redattore
Depositata in cancelleria il 22 giugno 2000.