Sentenza n. 197/2000

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SENTENZA N. 197

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI 

- Fernando SANTOSUOSSO 

- Massimo VARI 

- Cesare RUPERTO 

- Riccardo CHIEPPA 

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI 

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK 

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 39 della legge della Regione Siciliana 29 dicembre 1980, n. 145 (Norme sull’organizzazione amministrativa e sul riassetto dello stato giuridico ed economico del personale dell’Amministrazione regionale), promosso con ordinanza emessa il 25 febbraio 1999 dal Pretore di Ragusa, iscritta al n. 236 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell’anno 1999.

Visto l’atto di intervento della Regione Siciliana;

udito nella camera di consiglio dell’8 marzo 2000 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.

Ritenuto in fatto

1.1. - Il Pretore di Ragusa, nel procedimento civile tra alcuni ex componenti del Comitato direttivo del Consorzio per l’area di sviluppo industriale della Provincia di Ragusa e il Consorzio stesso, con ordinanza depositata in data 26 febbraio 1999, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 39 della legge della Regione Siciliana 29 dicembre 1980, n. 145 (Norme sull’organizzazione amministrativa e sul riassetto dello stato giuridico ed economico del personale dell’Amministrazione regionale), per violazione dell’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che il diritto all’assistenza legale, riconosciuto ai dipendenti che siano soggetti a procedimenti di responsabilità civile, amministrativa o penale in conseguenza di fatti ed atti connessi all’espletamento del servizio e dei compiti d’ufficio, nel caso di esito a loro favorevole, sia esteso ai "funzionari o amministratori" per fatti e atti connessi all’esercizio delle loro funzioni pur in assenza di un rapporto di dipendenza.

1.2. - Il remittente premette di aver disposto con decreto ingiuntivo a carico del citato Consorzio il rimborso delle spese legali sostenute dagli ex amministratori per la loro difesa innanzi al Tribunale di Ragusa in un procedimento che li vedeva imputati per fatti commessi nell’esercizio di funzioni inerenti alla loro qualità di amministratori e che si era concluso con la loro piena assoluzione.

Contro il decreto – prosegue il giudice a quo – aveva proposto opposizione il Consorzio, obiettando che la norma in virtù della quale gli opposti reclamavano il rimborso della parcella, cioè l’art. 39 della legge della Regione Siciliana 29 dicembre 1980, n. 145, in combinazione con l’art. 19 del d.P.R. 16 ottobre 1979, n. 509 (Approvazione della disciplina del rapporto di lavoro del personale negli enti pubblici), prevederebbe tale diritto solo per i dipendenti, non anche per gli amministratori della Regione Siciliana, né sussisterebbero i presupposti per una estensione analogica, come invece ritenuto dalle controparti sulla scorta di una giurisprudenza del giudice amministrativo e contabile.

1.3. - Il remittente mostra di condividere la tesi secondo la quale non vi sarebbe spazio per una estensione analogica della disciplina, in quanto l’omessa previsione normativa non corrisponderebbe ad un vuoto legislativo, bensì alla insussistenza di un diritto degli amministratori regionali.

Il giudice a quo ritiene d’altra parte che nell’espressione "dipendenti", utilizzata dalla legge regionale, non possono essere ricomprese figure soggettive quali gli amministratori, sia per il pericolo di innescare "una reazione a catena incontrollabile", sia perché la figura di dipendente e quella di amministratore sarebbero ben differenziate, la prima essendo "uno status, l’altra una qualità".

Ad avviso del Pretore di Ragusa, la diversità strutturale fra le due figure soggettive non basterebbe però a giustificare la disparità di trattamento "fra il dipendente e il funzionario o amministratore non dipendente", che sarebbe pertanto irragionevole. La ratio della norma censurata, infatti, non andrebbe rinvenuta nel vincolo di subordinazione, ma nell’imputabilità dell’operato del dipendente all’Ente per il quale ha agito; una ratio che non escluderebbe, quindi, l’amministratore.

2. - Si è costituito in giudizio il Presidente della Regione Siciliana, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l’infondatezza della questione.

L’Avvocatura si chiede innanzitutto perché mai il giudice a quo, nel dispositivo dell’ordinanza di remissione, abbia esteso il dubbio di legittimità costituzionale alla mancata previsione dei "funzionari", che ricadrebbero pacificamente nella categoria dei "dipendenti".

Quanto agli amministratori, l’Avvocatura osserva che essi non sarebbero legati all’ente di appartenenza da un rapporto di lavoro subordinato, né sarebbero gravati da un obbligo di esclusività delle prestazioni. L’imputabilità all’ente dell’operato non sarebbe l’unica ratio della disciplina, trovando essa fondamento concorrente nell’obbligo di fedeltà e di prestazione esclusiva caratteristico del rapporto di lavoro subordinato.

Considerato in diritto

1. — Il Pretore di Ragusa dubita della legittimità costituzionale dell’articolo 39 della legge della Regione Siciliana del 29 dicembre 1980, n. 145, per violazione dell’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che il diritto all’assistenza legale, riconosciuto ai dipendenti che siano soggetti a procedimenti di responsabilità civile, amministrativa o penale in conseguenza di fatti ed atti connessi all’espletamento del servizio e dei compiti di ufficio, sia esteso agli amministratori (i funzionari, diversamente da quanto il giudice remittente mostra di ritenere, sono anch’essi dipendenti) per fatti e atti connessi all’esercizio delle loro funzioni pur in assenza di un rapporto di dipendenza.

Secondo il giudice a quo non sussisterebbero i presupposti per una interpretazione analogica della norma in questione, ma sarebbe evidente la irragionevole disparità di trattamento tra le due categorie di soggetti considerate, una volta rinvenuta la ratio della norma non tanto nel vincolo di subordinazione, quanto nell’imputabilità dell’operato del soggetto all’ente per il quale ha agito.

2. — La questione non è fondata.

Il remittente, nel soffermarsi sulla diversità di significato giuridico dei termini "dipendente" e "amministratore", respinge l’ipotesi che la disposizione censurata sia suscettibile di estensione analogica dall’una all’altra figura. Nondimeno ritiene che la ratio della previsione dell’art. 39 di tenere indenne la persona "processata ingiustamente per la sua attività di dipendente" sia da ricercare nella imputabilità sostanziale dell’operato di tale persona all’ente per il quale ha agito; caratteristica, questa, riscontrabile, a suo avviso, anche nell’attività gestoria dell’amministratore.

Anche a voler accedere alla non incontrovertibile ricostruzione dogmatica del giudice a quo in tema di imputazione degli atti, si deve rilevare che, così argomentando, egli seleziona un profilo di presunta assimilabilità delle due figure e lo pone come esclusivo ai fini dell’apprezzamento della portata prescrittiva della ratio. Svaluta quindi ogni altro elemento al quale il legislatore possa aver attribuito rilievo nello stabilire per i dipendenti un trattamento diverso e più favorevole rispetto agli amministratori. Deve invece osservarsi che, per una corretta impostazione del giudizio costituzionale di eguaglianza, occorre aver presenti tutti gli elementi giuridicamente rilevanti delle fattispecie poste a raffronto e verificare se essi siano riconducibili ad una ratio unitaria. Solo nel caso in cui una siffatta verifica dia esito positivo sarebbe infatti possibile censurare come discriminatoria la scelta diversificatrice del legislatore.

Ebbene, nel caso di specie vi è sicuramente un profilo rilevante che, nell’ambito dell’organizzazione dell’ente di appartenenza, investe la posizione del dipendente e non anche quella dell’amministratore: il rapporto di subordinazione. Mettere le proprie energie lavorative a disposizione del datore di lavoro, assumere quest’ultimo, oltre all’obbligo della retribuzione, i rischi e i corrispondenti oneri di protezione per tutto ciò che viene fatto dal lavoratore nello svolgimento della prestazione oggetto del rapporto, sono i tratti che caratterizzano il lavoro dipendente; tratti immediatamente percepibili allorché ci si riferisca alle qualifiche funzionali meno elevate, ma che non vengono meno quando, come nel caso degli alti funzionari o dei dirigenti, il lavoro richieda prestazioni professionali che, per qualità, comportino livelli di autonomia decisionale e poteri di gestione anche prossimi a quelli dell’amministratore. Si tratta sempre di conferire all’ente di appartenenza le proprie energie lavorative, ciò che non avviene per gli amministratori, la cui immedesimazione organica con l’ente si basa su un rapporto, variamente configurato in dottrina, ma che comunque non è di lavoro subordinato.

Anche nelle ipotesi in cui, esaminando isolatamente il contenuto delle attività alle quali sono chiamati dipendenti e amministratori, le due figure possono apparire più vicine, residua sempre un elemento differenziale sul quale è ben possibile al legislatore, senza superare i limiti della sua discrezionalità, costruire una disciplina diversificata in materia di indennizzabilità degli oneri di difesa sopportati dai dipendenti, per il caso in cui si trovino sottoposti ad un procedimento, all’esito del quale siano dichiarati esenti da responsabilità.

Se dunque si esaminano tutti i profili rilevanti delle fattispecie poste a raffronto, è agevole comprendere che nella disciplina di cui al censurato art. 39 della legge regionale n. 145 del 1980 non è riscontrabile alcunché di arbitrario, rientrando appieno nella discrezionalità del legislatore limitare il previsto beneficio ai soli dipendenti ovvero estenderlo anche agli amministratori.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 39 della legge della Regione Siciliana 29 dicembre 1980, n. 145 (Norme sull’organizzazione amministrativa e sul riassetto dello stato giuridico ed economico del personale dell’Amministrazione regionale), sollevata, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, dal Pretore di Ragusa con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 giugno 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Depositata in cancelleria il 16 giugno 2000.