Sentenza n. 164/2000

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SENTENZA N. 164

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionalità dell'art. 20, comma 2–bis, della legge della Regione Umbria 17 maggio 1994, n. 14 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) come modificato dall'art. 2 della legge regionale 19 luglio 1996, n. 18 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), promosso con ordinanza emessa il 30 settembre 1998 dal Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria sul ricorso proposto dal Consorzio “Azienda faunistico–venatoria Pietramelina” contro l'amministrazione provinciale di Perugia ed altre, iscritta al n. 895 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell'anno 1998.

Visto l'atto di costituzione della Regione Umbria;

udito nell'udienza pubblica dell'11 aprile 2000 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;

udito l'avvocato Giovanni Tarantini per la Regione Umbria.

Ritenuto in fatto

1.— Nel corso di un giudizio diretto all'annullamento del provvedimento di rinnovo della concessione per la gestione di una azienda faunistico–venatoria, limitatamente all’importo dell’indennità dovuta dal concessionario ai proprietari dei terreni inclusi coattivamente nel territorio dell’azienda, il Tribunale amministrativo regionale dell'Umbria, con ordinanza del 30 settembre 1998, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, comma 2–bis, della legge della Regione Umbria 17 maggio 1994, n. 14 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) come modificato dall'art. 2 della legge regionale 19 luglio 1996, n. 18 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) in riferimento agli artt. 3, 42, secondo comma, e 44, primo comma, della Costituzione.

Premette il rimettente che le aziende faunistico–venatorie sono previste dall'art. 16 della legge statale 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) che consente alle Regioni di autorizzarne l’istituzione per “prevalenti finalità naturalistiche“.

L'art. 20 della legge regionale umbra n. 14 del 1994 prevede che le Province hanno il potere di rilasciare le concessioni per aziende faunistico–venatorie la cui estensione non può essere inferiore a trecento ettari; che in esse possono esservi inclusi anche i terreni dei proprietari e conduttori che non vi abbiano aderito, purché la superficie relativa non superi il massimo del cinque per cento di quella totale dell'azienda. Nei territori inclusi vige il divieto assoluto di caccia ed operano le garanzie e le procedure di rimborso dei danneggiamenti arrecati dalla fauna selvatica alla produzione agricola, con oneri derivanti a carico dell'azienda. Inoltre ai proprietari o conduttori dei terreni inclusi va riconosciuta una indennità pari a quattro volte il reddito dominicale, che deve essere corrisposta dal titolare della concessione entro il 31 gennaio di ciascun anno. Osserva il rimettente che la misura dell'indennità sarebbe sproporzionata rispetto alla esiguità del vincolo imposto ai proprietari e ai conduttori dei terreni inclusi, tenuto conto che in tali ambiti la legge regionale non consente l'attività venatoria e riconosce il diritto del proprietario o del conduttore al risarcimento dei danni causati dalla selvaggina. Di contro, in capo ai soggetti da ultimo indicati, incomberebbero soltanto i vincoli (particolarmente lievi) inerenti alla protezione della fauna selvatica. Ora, l'inclusione di un terreno nell'azienda faunistico–venatoria non ne diminuirebbe la redditività e anzi potrebbe essere vantaggiosa, per cui l'indennità si configurerebbe come un arricchimento esente da imposte.

Ciò premesso, la disposizione censurata violerebbe l'art. 3 della Costituzione, sia sotto il profilo dell'uguaglianza, sia per quello del ragionevole equilibrio negli aspetti patrimoniali che ispira le disposizioni civilistiche in materia di rapporti di vicinato, di servitù coattive e di acquisto della proprietà per accessione.

Sarebbero altresì violati gli artt. 42, secondo comma, e 44, primo comma, della Costituzione con specifico riferimento al principio della funzione sociale della proprietà che comporterebbe la necessità di mantenere entro i limiti dell'equità e della ragionevolezza l’indennizzo dovuto al titolare di una proprietà parzialmente incisa.

Quanto alla rilevanza, il rimettente osserva che la disposizione impugnata non lascia margini alla discrezionalità nel trattamento del caso di specie.

2.— Si è costituita in giudizio la Regione dell'Umbria, in persona del Presidente della Giunta regionale pro­tempore, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

Si rileva che l'inclusione dei terreni per i quali non sia stato prestato il consenso dai proprietari risponde all'esigenza di garantire la continuità dei territori dell'azienda faunistico–venatoria. Ciò avviene sia per il perseguimento delle finalità naturalistiche e faunistiche sia perché, ove non fosse possibile ricorrere all'inclusione coattiva, sorgerebbero gravi difficoltà per la costituzione ed il rinnovo delle aziende in aree dove la proprietà fondiaria è molto frammentata ed il consenso volontario di tutti i proprietari dei fondi è di difficile conseguimento. Va anche considerato in proposito che la costituzione di un'azienda faunistico–venatoria può avvenire nei ristretti limiti territoriali previsti dalle leggi statali e regionali e, nella specie, l'ambito territoriale utilizzabile non può superare il 12% di tutto il territorio regionale.

Al vantaggio del concessionario corrisponde lo svantaggio del proprietario o del conduttore del fondo incluso che deve tollerare la presenza, lo stanziamento ed il passaggio della fauna selvatica immessa dal primo che, a parte gli eventuali danni, creano una servitù, spesso duratura, che diminuisce il valore commerciale del bene.

Secondo la Regione, quindi, sarebbe stato individuato un criterio di calcolo dell'indennità che, oltre ad eliminare passate incertezze, non sarebbe irragionevole, bensì conforme al criterio di proporzionalità.

3.— In prossimità dell’udienza, la Regione umbra ha depositato memorie insistendo nelle conclusioni precisate nell’atto di costituzione.

Considerato in diritto

1.— Il Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 42, secondo comma, e 44, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, comma 2–bis, della legge regionale umbra 17 maggio 1994, n. 14 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) come modificato dall'art. 2 della legge regionale 19 luglio 1996, n. 18 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) nella parte in cui riconosce una indennità pari a quattro volte il reddito dominicale da corrispondere dal titolare della concessione ai proprietari o conduttori dei terreni inclusi, senza il consenso di costoro, nel territorio dell’azienda faunistico–venatoria atteso che, in tale ambito, l’attività venatoria non è consentita ed è riconosciuto altresì il diritto del proprietario o del conduttore dei fondi predetti al risarcimento dei danni causati dalla selvaggina.

Osserva il rimettente che la disposizione censurata violerebbe il principio di uguaglianza sotto il profilo del ragionevole equilibrio nei rapporti patrimoniali che ispira le disposizioni civilistiche in materia di rapporti di vicinato, di servitù coattive e di acquisto della proprietà per accessione. Sarebbero inoltre violati i principi costituzionali sulla funzione sociale della proprietà privata.

2.— La questione non è fondata.

Giova premettere che le aziende faunistico–venatorie, già note al legislatore statale in quanto previste dall’art. 36 della legge n. 968 del 1977, sono state ridisciplinate dalla nuova legge quadro sulla caccia dell’11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), che, all’art. 16, demanda alle regioni l’autorizzazione e la regolamentazione delle stesse, dirette a perseguire “prevalenti finalità naturalistiche e faunistiche” e sempre che siano correlate all’adozione di precisi “programmi di conservazione e di ripristino ambientale al fine di garantire l’obiettivo naturalistico e faunistico”.

L’art. 20 della legge regionale dell’Umbria n. 14 del 1994 attribuisce alle Province il potere di rilasciare le concessioni quinquennali per l’istituzione di aziende faunistico–venatorie, la cui estensione non può essere inferiore a trecento ettari. Stabilisce inoltre che possono esservi inclusi anche i terreni dei proprietari e conduttori che non vi abbiano aderito, purché la superficie relativa non superi il massimo del cinque per cento di quella totale dell’azienda. Nei territori inclusi vige “il divieto assoluto di caccia” ed “operano le garanzie e le procedure di rimborso dei danneggiamenti arrecati dalla fauna selvatica alla produzione agricola”, il cui onere è a carico dell’azienda.

La legge umbra riconosce inoltre ai proprietari o conduttori dei territori inclusi una indennità e fissa l’ammontare della stessa in quattro volte il reddito dominicale, che il titolare della concessione deve corrispondere “entro il 31 gennaio di ciascun anno”.

Dall’esame dei lavori preparatori alla legislazione regionale umbra (deliberazione della Giunta Regionale del 27 febbraio 1996, n. 1077 e atti allegati) si ricava la ratio sia dell’istituto dell’inclusione coattiva dei fondi sia della determinazione del “quantum” dell’indennità in contestazione. La prima consiste nell’agevolare la costituzione delle aziende faunistico–venatorie «in aree dove la proprietà è molto frammentata e il consenso volontario di tutti i proprietari o conduttori dei fondi è di difficile conseguimento»; la seconda risiede nell’individuare «con precisione la determinazione dell’indennità» onde «evitare l’incertezza verificatasi in passato e il relativo contenzioso».

3.— Orbene, dall’esame delle fonti normative sopra citate, si evince che il proprietario o il conduttore del fondo incluso se da un lato è tenuto a subire un vincolo al suo diritto (nel dover tollerare la presenza, lo stanziamento ed il passaggio della fauna dell’azienda nel suo territorio) in nome del superiore interesse pubblico alla tutela ambientale e faunistica, che comporta una diminuzione del valore commerciale del bene, dall’altro riceve, a compenso di detto sacrificio, – a parte il disposto divieto di caccia in deroga a quanto previsto dall’art. 842 cod. civ. – un indennizzo a carico del concessionario e l’eventuale risarcimento dei danni ai suoi fondi a causa della fauna selvatica.

Come risulta dai lavori preparatori sopra citati e come è esattamente osservato dalla Regione costituita, la previsione dell’indennità si pone quale prestazione sinallagmatica al sacrificio imposto al proprietario o al conduttore del fondo, tenendo conto dei vantaggi che la previsione dell’istituto dell’inclusione coattiva offre ai soggetti interessati alla costituzione dell’azienda faunistico–venatoria. Senza i territori inclusi, infatti, non sarebbe possibile costituire l’azienda, e così rimarrebbero frustrate le finalità ambientali perseguite dal legislatore statale e regionale, nonché l'interesse venatorio. L’insieme delle proposizioni che precedono, quindi, porta a ritenere che il criterio indicato dalla disposizione censurata non sia in contrasto con i principi di ragionevolezza e di proporzionalità insiti nell’art. 3 della Costituzione.

4.— La norma denunciata è ritenuta dal giudice a quo contrastante altresì con gli artt. 42, secondo comma e 44, primo comma, della Costituzione perché il principio della funzione sociale della proprietà previsto in tali articoli comporterebbe che fosse contenuto entro i limiti dell’equo e del ragionevole il corrispettivo o l’indennizzo dovuto al titolare di una proprietà parzialmente incisa per il soddisfacimento di interessi ritenuti prevalenti dal legislatore.

La censura, limitata alla misura dell’indennità per i vincoli di cui non si contesta la legittimità, non è fondata.

Ed invero, come ha già affermato questa Corte (sentenza n. 391 del 1989), la funzione sociale della proprietà può giustificare per l’interesse pubblico anche ragionevoli limiti ablatori di certe utilità economiche, purché non assumano carattere espropriativo (nel qual caso, peraltro, la questione di legittimità si porrebbe in relazione al terzo comma dell’art. 42 Cost., non richiamato nell’ordinanza di rimessione).

In ogni caso, poiché l’interesse faunistico non è estraneo alla presente fattispecie né al principio della funzione sociale della proprietà, può richiamarsi quanto affermato nella sentenza ora citata, secondo cui «per quanto attiene (…) alla normazione conformativa del contenuto dei diritti di proprietà allo scopo di assicurarne la funzione sociale, la riserva di legge stabilita dall’art. 42 Cost. può trovare attuazione anche in leggi regionali, nell’ambito, si intende, delle materie indicate dall’art. 117».

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 2–bis, della legge della Regione Umbria 17 maggio 1994, n. 14 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) come modificato dall'art. 2 della legge regionale 19 luglio 1996, n. 18 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), sollevata dal Tribunale amministrativo regionale dell’Umbria, in riferimento agli artt. 3, 42, secondo comma, e 44, primo comma, della Costituzione, con l’ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 maggio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 31 maggio 2000.