ORDINANZA N. 142
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare MIRABELLI, Presidente
- Francesco GUIZZI
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Cesare RUPERTO
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 4, della legge 19 novembre 1990, n. 341 (Riforma degli ordinamenti didattici universitari), come modificato dall’art. 17, comma 116, della legge 15 maggio 1997, n. 127 (Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo), promossi con ordinanze emesse il 3 e il 4 dicembre 1998 dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, il 19 dicembre 1997 e il 21 ottobre 1998 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, il 3 dicembre 1998 dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, il 28 ottobre e l’11 febbraio 1998, il 19 e il 15 dicembre 1997, il 25 novembre 1998, il 15 e il 1° dicembre 1997, il 15, il 19 e il 1° (n. 2 ordinanze) dicembre 1997, il 28 gennaio 1998, il 1°, il 19 e il 15 dicembre 1997, il 29 ottobre 1997 e il 5 novembre 1997 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, rispettivamente iscritte ai nn. 254, 255, 359, 439, 456, 599, 603, 610, 632, 649, 665, 691, 692, 703, 732, 733, 734 del registro ordinanze 1999, e ai nn. 4, 18, 19, 20, 21 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 19, 25, 37, 38, 43, 44, 47, 48, 50, 51 e 52, prima serie speciale, dell’anno 1999 e nn. 3, 5 e 6, prima serie speciale, dell’anno 2000.
Visti gli atti di costituzione di Domenico Cicero e di Valentina Damiata nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 22 marzo 2000 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.
Ritenuto che il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con diciannove ordinanze di identico contenuto (R.O. nn. 359, 439, 599, 603, 610, 632, 649, 665, 691, 692, 703, 732, 733 e 734 del 1999, R.O. nn. 4, 18, 19, 20 e 21 del 2000), ha sollevato, in riferimento agli artt. 33 e 34 della Costituzione e per violazione del “principio costituzionale della riserva di legge”, questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 4, della legge 19 novembre 1990, n. 341 (Riforma degli ordinamenti didattici universitari), come modificato dall’art. 17, comma 116, della legge 15 maggio 1997, n. 127 (Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo), che ha attribuito al Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica il potere di determinare la limitazione degli accessi a taluni corsi universitari;
che il rimettente ritiene la questione rilevante, anche nella fase cautelare, trattandosi di giudizi promossi da studenti non ammessi all’immatricolazione al primo anno dei corsi, per i quali le università hanno stabilito un numero massimo di iscrizioni e l’amministrazione ha dettato il decreto ministeriale 21 luglio 1997, n. 245 (Regolamento recante norme in materia di accessi all’istruzione universitaria e di connesse attività di orientamento);
che, secondo tutte le ordinanze di rimessione, in base agli artt. 33 e 34 della Costituzione sussisterebbe una riserva relativa di legge in materia di diritto allo studio, anche universitario, come affermato da una consolidata giurisprudenza amministrativa, poiché l’art. 33, secondo comma, della Costituzione, stabilisce espressamente che “la Repubblica detta le norme generali sull’istruzione e istituisce scuole di ogni ordine e grado”, e l’art. 34, primo comma, sancisce che “la scuola è aperta a tutti”;
che nelle ordinanze si osserva che la previsione costituzionale di una riserva relativa di legge in una determinata materia non preclude al legislatore ordinario di demandare ad altre fonti la disciplina della materia stessa, ma ciò è possibile, come precisato dalla giurisprudenza costituzionale, soltanto previa determinazione, da parte del legislatore medesimo, di una serie di precetti idonei a vincolare e indirizzare la normazione secondaria, o, comunque, previa individuazione delle linee essenziali della disciplina;
che la disposizione censurata, al contrario, conferisce al Ministro il potere di determinare la limitazione degli accessi all’istruzione universitaria, senza alcuna previa fissazione dei principi generali della disciplina, attribuendo al Ministro stesso il compito di definire, con l’ausilio di altro organo della pubblica amministrazione, il Consiglio universitario nazionale, i criteri generali per la regolamentazione dell’accesso;
che la violazione del principio della riserva di legge comporterebbe in tal modo anche la violazione del principio della tutela del diritto allo studio, di cui agli artt. 33 e 34 della Costituzione;
che in tutti i giudizi di fronte alla Corte costituzionale (ad eccezione di quello iscritto al R.O. n. 665 del 1999) è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l’inammissibilità o l’infondatezza della questione;
che, con tre ordinanze di rimessione di identico tenore (R.O. nn. 254, 255 e 456 del 1999), anche il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 4, della legge 19 novembre 1990, n. 341, come modificato dall’art. 17, comma 116, della legge 15 maggio 1997, n. 127, per violazione dei medesimi parametri costituzionali;
che, precisata la rilevanza della questione, il giudice rimettente osserva che la sentenza n. 383 del 1998 della Corte costituzionale, con la quale analoga questione è stata respinta in relazione all’istituzione del numero chiuso per l’accesso a taluni corsi di laurea, non avrebbe del tutto sgombrato il campo dai dubbi di incostituzionalità della norma esaminata, perché il potere attribuito al Ministro è stato in concreto esercitato anche per corsi universitari per i quali non sembrano rinvenibili nell’ordinamento idonee norme legislative a supporto del regolamento ministeriale adottato;
che anche in questi giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata;
che nei giudizi di cui al R.O. nn. 254 e 255 del 1999 si sono costituite le parti private, ricorrenti nei giudizi a quibus, chiedendo l’accoglimento della questione per violazione degli artt. 3, 34, 70 e 76 della Costituzione, in particolare sostenendo che, al di fuori dei titoli accademici cui la sentenza della Corte costituzionale n. 383 del 1998 si riferisce, la disposizione impugnata istituirebbe un potere ministeriale svincolato da adeguati criteri di esercizio, in violazione del principio costituzionale della riserva di legge, nonché del principio costituzionale dell’autonomia universitaria, in quanto quest’ultima si troverebbe vincolata a regolamenti del potere esecutivo.
Considerato che tutte le ordinanze prospettano una stessa questione, concernente la medesima disposizione, e che pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti;
che, successivamente alle ordinanze di rimessione, è sopravvenuta la legge 2 agosto 1999, n. 264 (Norme in materia di accessi ai corsi universitari) che disciplina (artt. 1 e 2) la programmazione a livello nazionale e di singole università degli accessi ai corsi di laurea e di diploma universitario che richiedono una limitazione nel numero degli studenti per esigenze formative, dettando (art. 3) principi e criteri ai quali le autorità amministrative devono attenersi per la determinazione del numero dei posti relativi ai medesimi corsi, e che in particolare (art. 5) dispone, con disciplina transitoria, la sanatoria delle posizioni degli studenti ammessi ai corsi negli anni accademici precedenti in virtù di ordinanze cautelari emesse dai giudici amministrativi o comunque ammessi dagli atenei;
che, essendo così mutato il quadro normativo, delle nuove disposizioni deve essere valutata l’incidenza nei giudizi che hanno dato origine alla presente questione di costituzionalità;
che, pertanto, gli atti devono essere restituiti ai giudici rimettenti per una nuova valutazione della rilevanza della questione medesima.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
ordina la restituzione degli atti ai Tribunali amministrativi regionali del Lazio e per la Sicilia.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 maggio 2000.
Cesare MIRABELLI, Presidente
Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore
Depositata in cancelleria il 16 maggio 2000.