Ordinanza n. 135/2000

ORDINANZA N. 135

ANNO 2000

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI 

- Cesare RUPERTO 

- Riccardo CHIEPPA 

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK 

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 171 del codice di procedura penale promosso con ordinanza emessa il 26 febbraio 1999 del Pretore di Livorno nel procedimento penale a carico di Chistoni Nara iscritta al n. 251 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 119, prima serie speciale, dell’anno 1999.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 aprile 2000 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che il Pretore di Livorno ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 171 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede come causa di nullità della notificazione la mancata osservanza della disposizione dettata dall’art. 157, comma 7, dello stesso codice, la quale ultima a sua volta stabilisce che, ove manchi il destinatario della notifica e non siano reperite persone idonee a ricevere la copia dell’atto, l’ufficiale giudiziario deve tornare nuovamente nei luoghi indicati nei commi 1 e 2 dello stesso articolo e procedere ad una rinnovata ricerca dell’imputato;

che a tal proposito il Giudice a quo lamenta la circostanza che l’espletamento di tali formalità sarebbe rimesso all’arbitrio dell’ufficiale giudiziario, obbligando il giudice ad un uso strumentale della previsione dettata dall’art. 485 del codice di rito, così da rendere la disciplina oggetto di impugnativa “irragionevole di per sé”, sottolineandosi pure come la mancata previsione della nullità di cui qui si tratta impedirebbe di applicare l’art. 185, comma 2, cod. proc. pen., e cioè di porre le spese a carico dell’ufficiale giudiziario responsabile della omissione;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Considerato che, come emerge dalla Relazione al Progetto preliminare del nuovo codice di rito, il legislatore delegato ha inteso prevedere, innovando la precedente disciplina, il duplice accesso da parte dell’ufficiale giudiziario al fine di assecondare la consegna a mani proprie dell’atto da notificare, considerata la verosimile assenza del destinatario dell’atto dal luogo di abitazione nel corso della giornata, per attendere alle ordinarie occupazioni, e la mera eventualità circa la presenza di persone idonee a ricevere l’atto medesimo in luogo dell’imputato;

che, tuttavia, contrariamente all’assunto del Giudice a quo, non può affatto affermarsi che l’adempimento delle formalità prescritte sia rimesso all’arbitrio dell’ufficiale giudiziario, giacché, al contrario, l’espletamento del doppio accesso rappresenta per quell’organo uno specifico obbligo giuridico, la cui inadempienza lo può esporre a sanzioni disciplinari o, eventualmente, anche penali (art. 328 cod.pen.);

che, inoltre, è del tutto evidente come non ogni irregolarità processuale debba condurre alla sanzione della nullità, specie ove si consideri che la legge di delega sul nuovo codice di procedura penale ha, nella sua direttiva di esordio, espressamente sancito il criterio della “massima semplificazione nello svolgimento del processo con eliminazione di ogni atto o attività non essenziale”, mentre, nella direttiva n. 9, dedicata al tema che qui interessa, ha ulteriormente rimarcato la specifica esigenza della “semplificazione del sistema delle notificazioni, con possibilità di adottare anche nuovi mezzi di comunicazione”;

che l’insistito richiamo del legislatore delegante alla semplificazione delle forme non può, dunque, non corrispondere ad una omologa e rigorosa limitazione delle cause di nullità ai soli vizi di “forma” che corrispondano ad altrettanti difetti di “sostanza”;

che a tal proposito deve infatti sottolinearsi come, al di là del doppio accesso, stia la reale garanzia offerta dal procedimento di deposito dell’atto presso la Casa comunale, con affissione del relativo avviso alla porta della casa di abitazione e con ulteriore comunicazione dell’avvenuto deposito a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, garanzie, queste, alle quali si coniuga l’ulteriore presidio offerto dall’art. 485 cod.proc.pen. – del quale lo stesso Giudice a quo ha fatto pure applicazione – in base al quale la citazione a giudizio deve essere rinnovata, quando è provato o appare probabile che l’imputato, nelle ipotesi ivi previste, non ne abbia avuto effettiva conoscenza;

che nessun rilievo assume, infine, l’assunto secondo il quale la mancata previsione della nullità oggetto di censura impedirebbe al giudice, a norma dell’art. 185, comma 2, cod.proc.pen., di porre le spese a carico dell’ufficiale giudiziario responsabile della omissione, giacché non è certo un siffatto fenomeno conseguenziale a poter fungere, in sé, da causa giustificatrice della introduzione di un vizio di rilevanza tale da determinare l’applicazione della più grave sanzione processuale in ordine all’intero procedimento di notificazione;

che pertanto, non sussistendo la pretesa irragionevolezza, la questione proposta deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 171 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Livorno con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 maggio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in cancelleria il 10 maggio 2000.