ORDINANZA N. 105
ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Cesare MIRABELLI, Presidente
- Francesco GUIZZI
- Fernando SANTOSUOSSO
- Massimo VARI
- Cesare RUPERTO
- Riccardo CHIEPPA
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 540, comma 1, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 30 settembre 1998 dal Tribunale di Catanzaro nel procedimento penale a carico di Vallone Paolo, iscritta al n. 858 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 1998.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 22 marzo 2000 il Giudice relatore Cesare Ruperto.
Ritenuto che il Tribunale di Catanzaro - dopo aver pronunciato, nel corso d’un giudizio di primo grado, la condanna dell’imputato alla pena inflitta ed al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite - ha sollevato, con ordinanza del 30 settembre 1998, emessa a scioglimento della formulata riserva di provvedere sull’istanza delle parti civili per la concessione della provvisoria esecuzione del capo di sentenza concernente gli interessi civili, questione di legittimità costituzionale dell’art. 540, primo comma, del codice di procedura penale, «limitatamente all’inciso "quando ricorrono giustificati motivi"»;
che, secondo il rimettente, la norma denunciata, subordinando alla ricorrenza di «giustificati motivi» la provvisoria esecuzione del capo della sentenza riguardante la condanna al risarcimento dei danni od alle restituzioni pronunciata in primo grado dal giudice penale, contrasta:
a)con l’art. 3 della Costituzione, per l’irragionevole disparità di trattamento rispetto al danneggiato che, avendo esercitato l’azione risarcitoria o restitutoria nel processo civile, fruisce del regime di incondizionata provvisoria esecutività delle sentenze civili di primo grado previsto dall’art. 282 del codice di procedura civile, come novellato dall’art. 33 della legge 26 novembre 1990, n. 353;
b) con l’art. 24 della Costituzione, per la conseguente limitazione della tutela degli interessi civili nel processo penale, rispetto a quella ottenibile nel processo civile;
che, per il giudice a quo, la sottolineata diversità di disciplina non potrebbe trovare giustificazione - contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 94 del 1996 - in una minore frequenza delle impugnazioni riguardanti i soli interessi civili nel processo penale, perché tale ipotesi (specificamente prevista dagli artt. 573 e 574, primo comma, cod. proc. pen.) comunque non potrebbe essere sottratta alla comparazione con i casi simili in un sindacato di costituzionalità condotto alla stregua dell’art. 3 Cost., e neppure nell’asserita estraneità al processo penale dell’esigenza di scoraggiare impugnazioni meramente dilatorie dei capi di sentenza concernenti gli interessi civili, perché - al contrario - la finalità deflattiva di tali impugnazioni ricorrerebbe e si prospetterebbe anche in questa evenienza;
che, quanto alla rilevanza della questione, il Tribunale osserva che, non essendo stati nella specie prospettati dalle parti interessate né comunque risultando altrimenti i «giustificati motivi» richiesti dalla norma denunciata, l’accoglimento delle prospettate censure di costituzionalità impedirebbe il rigetto dell’istanza di provvisoria esecuzione proposta dalle parti civili;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di manifesta infondatezza della questione, già dichiarata infondata con la sentenza della Corte n. 94 del 1996.
Considerato che questa Corte, con la sentenza n. 94 del 1996, ha già dichiarato infondata identica questione, in primo luogo evidenziando (alla stregua della propria giurisprudenza) la discrezionalità riservata al legislatore nel modulare le condizioni di accesso all’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali nei diversi tipi di giudizi, con il solo limite della non irrazionale predisposizione degli strumenti di tutela, senza che l’art. 282 cod. proc. civ. possa assumere il valore di "precetto inderogabile" rispetto al quale debbano necessariamente modellarsi le altre previsioni normative concernenti il regime di esecutività delle pronunce; in secondo luogo, escludendo che la denunciata norma violi l’art. 3 Cost., per le fondamentali ragioni che: a) una volta compiuta dall’interessato - in piena autonomia e previa valutazione comparativa dei vantaggi e degli svantaggi connessi, come consentito dal codice di procedura penale - la scelta di ottenere tutela risarcitoria o restitutoria nel processo penale, invece che nel processo civile, non è dato sfuggire agli effetti che da tale opzione conseguono, per via della struttura e della funzione del giudizio penale, alle quali l’azione civile deve necessariamente adattarsi, in ragione delle esigenze di pubblico interesse sottese all’accertamento del fatto reato, dal quale scaturiscono insieme le conseguenze di carattere penale e civile, ferma la presunzione di non colpevolezza dell’imputato, ai sensi dell’art. 27, secondo comma, Cost., sino al passaggio in giudicato della condanna penale; b) la finalità di scoraggiare impugnazioni meramente dilatorie, perseguibile attribuendo la provvisoria esecutività a tutte le sentenze di primo grado, appare bensì coerente con il nuovo modello strutturale del giudizio civile, ma risulta estranea alla dinamica del gravame nel processo penale, data l’improbabilità, nella realtà effettuale, di un pur possibile appello dell’imputato con riguardo al solo capo di condanna concernente il risarcimento del danno;
che il rimettente non prospetta nuovi profili della già esaminata questione, ma si limita a criticare alcune argomentazioni marginalmente svolte nella citata sentenza, delle quali non ha colto il senso, che è quello di sottolineare come - nel quadro della necessaria conformazione dell’azione civile esercitata nel processo penale alla struttura e funzione di quest’ultimo - l’esigenza di scoraggiare, attraverso la soppressione dell’effetto sospensivo dell’appello, impugnazioni meramente dilatorie, si manifesta con diversa evidenza e peso nel processo civile rispetto al processo penale, dove l’imputato ha la possibilità di perseguire il suo eventuale intento dilatorio con l’appello dell’intera sentenza di condanna penale; per cui non irragionevole è da ritenersi la scelta del legislatore di differenziare il regime dell’esecutività delle sentenze di primo grado di condanna al risarcimento dei danni od alle restituzioni, a seconda della loro pronuncia nel processo penale od in quello civile;
che non sussistono dunque ragioni per mutare l’avviso espresso con la citata sentenza n. 94 del 1996 e, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 540, primo comma, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Catanzaro con l’ordinanza di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 aprile 2000.
Cesare MIRABELLI, Presidente
Cesare RUPERTO, Redattore
Depositata in cancelleria il 18 aprile 2000.