Ordinanza n. 9/2000

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ORDINANZA N. 9

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof. Annibale MARINI

- Dott. Franco BILE

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2120, ottavo comma, del codice civile, 4, sesto comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), 2, comma 7, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare) e dell'art. 26 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 (Approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 26 maggio 1998 dal TAR per la Sicilia sez. staccata di Catania sul ricorso proposto da Di Gesu Giuseppe contro l'INPDAP, iscritta al n. 779 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1998.

  Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 24 novembre 1999 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

  Ritenuto che, nel corso di un giudizio amministrativo - promosso da un avvocato dello Stato, in possesso della prescritta anzianità di servizio, avverso il provvedimento dell’INPDAP di rigetto dell’istanza vòlta ad ottenere (per destinarla all’acquisto della prima casa di abitazione per la figlia) la liquidazione di una anticipazione sul trattamento di fine rapporto, pari alla misura del 70% -, il TAR per la Sicilia, sezione distaccata di Catania, con ordinanza emessa il 26 maggio 1998, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2120 cod. civ., dell’art. 26 [settimo comma] del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 (Approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato), dell’art. 4 [sesto comma] della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), dell’art. 2, comma 7, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), "nella parte in cui escludono i pubblici dipendenti dal beneficio della concessione dell’anticipazione nella misura massima del 70% sul trattamento di fine rapporto, ricorrendo i casi tipici individuati dall'art. 2120 del codice civile, ed in particolare dal comma 8, lett. b), beneficio riconosciuto ai soli lavoratori dipendenti del settore privato";

  che il rimettente afferma l'infondatezza della domanda, in ragione sia dell’esplicito divieto sancito dal combinato disposto dei censurati artt. 4 della legge n. 297 del 1982 e 26, settimo comma, del d.P.R. n. 1032 del 1973, sia dell'impossibilità di applicare nella fattispecie quanto previsto dall'art. 2, comma 5, della legge n. 335 del 1995, il quale, relativamente ai dipendenti pubblici in servizio alla data del 1° gennaio 1996, demanda alla contrattazione collettiva le modalità di omogeneizzazione con i privati del trattamento di fine rapporto;

  che, secondo il rimettente, l’esclusione dal detto beneficio dei pubblici dipendenti é, innanzitutto, lesiva degli artt. 2, 3 e 36 Cost. perchè ingiustificatamente discriminatoria a loro danno, soprattutto nell’attuale momento caratterizzato dalla linea di tendenza della "privatizzazione" del rapporto, resa evidente nella materia previdenziale proprio dal menzionato art. 2, comma 5, della legge n. 335 del 1995, il quale equipara il trattamento di fine rapporto per i dipendenti pubblici assunti a partire dal 1° gennaio 1996 a quello previsto per i lavoratori privati (con disposizione che, sotto altro aspetto, fa risultare altrettanto discriminatorio e irragionevole il rinvio ad un'ulteriore disciplina - di fonte contrattuale o legislativa - esclusivamente per i dipendenti pubblici in servizio alla predetta data);

  che inoltre - sempre secondo il rimettente - le denunciate norme contrastano con l’art. 47, secondo comma, Cost., in quanto consentono di dare rilevanza e attuazione concreta alla garanzia costituzionale del diritto all'abitazione solo nei confronti dei lavoratori privati, ai quali é assicurata una chance in più rispetto ai pubblici dipendenti;

  che é intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di manifesta infondatezza della sollevata questione.

  Considerato che il rimettente prospetta i suoi dubbi di legittimità costituzionale muovendo dal presupposto che la linea di tendenziale armonizzazione del trattamento di fine rapporto dei lavoratori pubblici e dei lavoratori privati - legislativamente affermata, nel contesto della "privatizzazione" del rapporto di pubblico impiego, dall’art. 2, commi 5-8, della legge n. 335 del 1995 - renda ormai non più giustificabile l’esclusione, per i primi, della possibilità di richiedere l’anticipazione del trattamento medesimo; con conseguente violazione, dunque, del principio di uguaglianza, sia sotto il profilo di una deteriore tutela retributiva e previdenziale sia sotto il profilo di una discriminata attuazione, in concreto, del diritto all’abitazione;

  che, così, esso rimettente - pur riconoscendo che la disciplina del rapporto d’impiego degli Avvocati dello Stato rimane estranea alla contrattazione collettiva - trascura di considerare che tale categoria di dipendenti é stata espressamente sottratta al regime stesso di privatizzazione (v. artt. 2, lettera e), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, e 2, comma 4, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29) e, quindi, mantiene la sua peculiarità ordinamentale;

  che tanto basta per escludere la supposta omogeneità rispetto all'indicato tertium comparationis e, dunque, l'asserita lesione del principio di uguaglianza;

  che, d'altronde, la mancata estensione dell’anticipazione in esame non può di per sè costituire alcun'altra delle prospettate offese al dettato costituzionale, rientrando nella piena discrezionalità del legislatore dimensionare la portata dell’istituto, il quale - come questa Corte ha già avuto occasione di affermare - legittimamente può essere addirittura non previsto affatto (sentenza n. 142 del 1991);

  che, pertanto, la sollevata questione é manifestamente infondata.

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 2120 del codice civile, dell'art. 26 [settimo comma] del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 (Approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato), dell'art. 4 [sesto comma] della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), dell'art. 2, comma 7, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), sollevata - in riferimento agli artt. 2, 3, 36 e 47, secondo comma, della Costituzione - dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia - sezione distaccata di Catania, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 gennaio 2000.

Giuliano VASSALLI, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 12 gennaio 2000.