SENTENZA N.456
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 12 della legge approvata dall’Assemblea regionale siciliana il 22 settembre 1998, recante "Provvedimenti per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio storico, culturale e linguistico delle comunità siciliane di origine albanese e delle altre minoranze linguistiche. Contributi alle province regionali per la gestione di corsi di laurea. Incremento del contributo di cui all’articolo 1 della legge regionale 4 giugno 1980, n. 52", promosso con ricorso del Commissario dello Stato per la Regione Siciliana, notificato il 29 settembre 1998, depositato in Cancelleria il 9 ottobre 1998 ed iscritto al n. 40 del registro ricorsi 1998.
Udito nell’udienza pubblica del 26 ottobre 1999 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky;
udito l’Avvocato dello Stato Ignazio F. Caramazza per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. — Il Commissario dello Stato per la Regione Siciliana ha proposto questione di legittimità costituzionale in relazione al disegno di legge n. 203, approvato dall’Assemblea regionale siciliana il 22 settembre 1998, recante "Provvedimenti per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio storico, culturale e linguistico delle comunità siciliane di origine albanese e delle altre minoranze linguistiche. Contributi alle province regionali per la gestione di corsi di laurea. Incremento del contributo di cui all’articolo 1 della legge regionale 4 giugno 1980, n. 52". La questione investe, in particolare: gli artt. 1, 2, 4, 5, 6, 7 e 8, per violazione dell’art. 6 della Costituzione; l’art. 3 per violazione dell’art. 6 della Costituzione e dell’art. 4 del d.P.R. 14 maggio 1985, n. 246 (Norme di attuazione dello statuto della Regione Siciliana in materia di pubblica istruzione); e l’art. 12 per violazione dell’art. 12, terzo comma, dello statuto speciale di autonomia (r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455), nonché dell’art. 6 della Costituzione.
Il ricorrente – premesso che il provvedimento legislativo prevede una serie di iniziative intese a promuovere la salvaguardia e il recupero della lingua albanese nonché di quella delle minoranze etniche esistenti in Sicilia, disponendo interventi finanziari a favore delle scuole materne e prevedendo l’obbligo dei Comuni e di altre istituzioni pubbliche e private di realizzare attività didattiche e di studio e approfondimento storico-culturale di tali realtà etniche minoritarie – osserva che le norme impugnate, con il riferimento alla lingua delle minoranze etniche e al suo insegnamento, nonché con la previsione della facoltà del bilinguismo negli atti pubblici e dell’uso della lingua locale nelle attività pubbliche degli enti locali, si pongono in contrasto con l’art. 6 della Costituzione, che affida alla Repubblica, e quindi allo Stato, la tutela delle minoranze linguistiche. La materia trattata nelle norme impugnate non sarebbe riconducibile a nessuna delle attribuzioni costituzionali riconosciute dagli artt. 14 e 17 dello statuto e l’intervento regionale sarebbe intempestivo dal momento che è in corso di esame al Senato (già approvato dalla Camera) il disegno di legge n. 3366 (Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche), contenente una normativa generale e di indirizzo, in attuazione della quale soltanto le Regioni potranno adottare misure idonee a promuovere e tutelare i caratteri storico-culturali di quelle minoranze esistenti nel rispettivo territorio.
Censure specifiche sono poi mosse all’art. 3 del disegno di legge siciliano, il quale, prevedendo l’obbligo dell’insegnamento della lingua e della cultura di dette minoranze, si porrebbe in violazione del d.P.R. n. 246 del 1985 e della riserva allo Stato in esso prevista per la determinazione dei programmi scolastici; e all’art. 12, che, affidando all’Assessore regionale ai beni culturali e ambientali l’adozione del regolamento di attuazione, si porrebbe in contrasto anche con l’art. 12, terzo comma, dello statuto di autonomia, che attribuisce al governo regionale nel suo complesso la competenza a emanare i regolamenti.
2. — Successivamente all’instaurazione del giudizio, il Presidente della Regione Siciliana ha promulgato la legge impugnata come legge regionale 9 ottobre 1998, n. 26 – pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana n. 52 del 14 ottobre 1998 – omettendone gli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 12.
All’udienza pubblica l’Avvocatura generale dello Stato ha chiesto che sia dichiarata cessata la materia del contendere.
Considerato in diritto
Il Commissario dello Stato per la Regione Siciliana ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 e 12 della legge approvata dall’Assemblea regionale siciliana il 22 settembre 1998, recante "Provvedimenti per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio storico, culturale e linguistico delle comunità siciliane di origine albanese e delle altre minoranze linguistiche. Contributi alle province regionali per la gestione di corsi di laurea. Incremento del contributo di cui all’articolo 1 della legge regionale 4 giugno 1980, n. 52", per violazione degli artt. 6 della Costituzione, 4 del d.P.R. n. 246 del 1985 e 12, terzo comma, dello statuto speciale di autonomia.
Successivamente alla instaurazione del giudizio, come accennato nella premessa in fatto, la deliberazione legislativa è stata promulgata come legge regionale 9 ottobre 1998, n. 26, con l’omissione di tutte le disposizioni impugnate dal Commissario dello Stato.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il potere di promulgazione del Presidente della Regione si esercita in modo unitario e una volta per tutte rispetto al testo legislativo e quindi, essendo esso ormai esaurito in riferimento alla legge in esame, è preclusa la possibilità di una successiva autonoma promulgazione delle disposizioni impugnate. Risultando il presente giudizio ormai privo di oggetto, ricorrono i presupposti per dichiarare la cessazione della materia del contendere.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara cessata la materia del contendere in relazione al ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 1999.
Giuliano VASSALLI, Presidente
Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore
Depositata in cancelleria il 23 dicembre 1999.