ORDINANZA N. 434
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 5 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 (Approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 15 gennaio 1998 dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia sul ricorso proposto da Dotti Lucia contro l'INPDAP ed altri, iscritta al n. 330 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell'anno 1998.
Visto l'atto di costituzione di Dotti Lucia;
udito nella camera di consiglio del 27 ottobre 1999 il Giudice relatore Cesare Ruperto.
Ritenuto che nel corso di un giudizio - promosso dalla erede testamentaria di un dipendente pubblico, deceduto in attività di servizio, onde ottenere il pagamento dell’indennità di buonuscita spettante a quest'ultimo, liquidata invece dal convenuto INPDAP a favore dei fratelli del de cuius, non viventi a carico di lui -, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia - Milano, con ordinanza emessa il 15 gennaio 1998, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 (Approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato), «nella parte in cui non prevede che il dipendente dello Stato possa disporre per testamento dell’indennità di buonuscita, nel caso in cui il medesimo deceda in servizio lasciando i parenti che la legge indica come astratti beneficiari dell’indennità stessa, ma nei cui confronti non aveva al momento del decesso alcun obbligo alimentare»;
che, secondo il rimettente, alla stregua delle affermazioni contenute nella sentenza n. 106 del 1996 - con la quale questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittima la succitata disposizione, nella parte in cui esclude che, nell’assenza delle persone ivi indicate, l’indennità di buonuscita formi oggetto di successione per testamento o, in mancanza, per legge -, il «peculiare carattere dimidiato fra il profilo retributivo e quello previdenziale» dell’indennità di buonuscita consente di giustificare la deroga al principio della libera disponibilità mortis causa del beneficio soltanto in presenza di persone nei cui confronti il de cuius aveva obblighi alimentari e non anche in presenza di soggetti (quali, nella specie, il fratello e la sorella) che non dipendevano economicamente da lui;
che, pertanto, la denunciata norma si pone in contrasto - sempre secondo il rimettente - con gli artt. 3 e 36 Cost., data l’irragionevole disparità di trattamento rispetto a quanto disposto per il settore privato dall’art. 2122 cod. civ., che - nello stabilire una riserva legale di destinazione a favore dei parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo solo se viventi a carico del prestatore di lavoro - prevede un diverso regime di trasmissibilità dell’indennità di buonuscita nel caso di premorienza del lavoratore ancora in servizio, cui viene attribuita una più ampia facoltà di disporne per testamento;
che si è costituita la parte privata, ricorrente nel giudizio a quo, la quale ha concluso per la declaratoria d’illegittimità costituzionale.
Considerato che, con sentenza n. 243 del 1997 (ignorata dal rimettente) - ribadito che ogni forma di devoluzione anomala dell’indennità di buonuscita, in deroga ai princìpi della successione mortis causa esclusivamente a favore di determinati soggetti, può trovare razionale fondamento e giustificazione nella funzione previdenziale del trattamento, concorrente alla natura retributiva dello stesso, solo in considerazione del fatto che come destinatarie di questo siano indicate persone integrate nel nucleo familiare del defunto, dalla cui retribuzione esse ricevevano un sostentamento venuto a cessare, in tutto o in parte, dopo la sua morte (cfr. in tal senso, sentenza n. 106 del 1996 ed ordinanza n. 153 del 1998) -, questa Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, secondo comma, della legge 8 marzo 1968, n. 152 «nella parte in cui prevede che, nell’assenza delle persone ivi indicate, i collaterali non viventi a carico del de cuius siano preferiti agli eredi testamentari e, in mancanza di questi, agli eredi legittimi»;
che, in quella sede, la Corte - in ragione della generale portata delle considerazioni svolte in ordine all’ingiustificata previsione di vocazioni anomale prive di un razionale fondamento legato alla prioritaria tutela di esigenze di solidarietà familiare - ha anche dichiarato, in via conseguenziale, l’illegittimità costituzionale dell'art. 5 del d.P.R. n. 1032 del 1973, proprio «nella parte in cui non prevede che, nel caso di morte del dipendente statale in attività di servizio, l’indennità di buonuscita competa, nell’assenza degli altri soggetti ivi indicati, ai fratelli ed alle sorelle del de cuius solo a condizione che gli stessi vivessero a carico di lui»;
che pertanto la disposizione, così come denunciata, non vive più nell'ordinamento giuridico e, dunque, la sollevata questione dev'essere dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 (Approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost., dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia - Milano, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costitu-zionale, Palazzo della Consulta, l'11 novembre 1999.
Giuliano VASSALLI, Presidente
Cesare RUPERTO, Redattore
Depositata in cancelleria il 23 novembre 1999.