SENTENZA N. 403
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 379, terzo comma, del codice di procedura civile in relazione agli artt. 14 e 17 della legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura), 59 e 60 del d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916 (Disposizioni di attuazione e coordinamento della legge 24 marzo 1958, n. 195, concernente la costituzione ed il funzionamento del Consiglio superiore della magistratura e disposizioni transitorie), promosso con ordinanza emessa l'11 dicembre 1997 dalla Corte di cassazione nel procedimento disciplinare nei confronti di Giordano Pietro e Colella Paolo, iscritta al n. 481 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1998.
Visto l'atto di costituzione di Giordano Pietro e Colella Paolo nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 6 luglio 1999 il Giudice relatore Fernanda Contri;
udito l'avvocato Giovanni Giacobbe per Giordano Pietro e Colella Paolo e l'avv. dello Stato Enrico Arena per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un giudizio avente ad oggetto l’impugnazione proposta dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione avverso la sentenza del Consiglio superiore della magistratura – sezione disciplinare, con la quale i magistrati Pietro Giordano e Paolo Colella erano stati assolti dall’addebito loro ascritto, la Corte di cassazione – sezioni unite civili, con ordinanza dell'11 dicembre 1997, ha sollevato, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 379, terzo comma, del codice di procedura civile nella parte in cui, nei procedimenti disciplinati dagli artt. 14 e 17 della legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura) e dagli artt. 59 e 60 del d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916 (Disposizioni di attuazione e coordinamento della legge 24 marzo 1958, n. 195, concernente la costituzione ed il funzionamento del Consiglio superiore della magistratura e disposizioni transitorie), non prevede che la disposizione non si applica nel caso in cui il ricorso sia stato proposto dal pubblico ministero.
La norma denunciata (art. 379, terzo comma, cod. proc. civ.) stabilisce che alle udienze civili della Corte di cassazione il pubblico ministero espone oralmente le sue conclusioni motivate dopo che gli avvocati delle parti hanno svolto le loro difese; mentre nel quarto comma dello stesso articolo è detto che non sono ammesse repliche, ma ai difensori è consentito, nella stessa udienza, presentare brevi osservazioni scritte sulle conclusioni del Procuratore generale.
Nel giudizio a quo le parti private avevano sollevato questione di legittimità costituzionale della disposizione in esame nonché degli artt. 14 e 17 della legge n. 195 del 1958 e degli artt. 59 e 60 del d.P.R. n. 916 del 1958 che, nel configurare nel giudizio disciplinare riguardante i magistrati il ruolo del Procuratore generale presso la Corte di cassazione quale parte, e nel determinare l’ordine degli interventi davanti alla Corte di cassazione – sezioni unite civili, violerebbero gli artt. 3, 24, 101, 105 e 107 Cost., ma il collegio ha considerato la questione rilevante e non manifestamente infondata nella sola parte in cui essa investe l’art. 379, terzo comma, cod. proc. civ. limitatamente alla violazione dell'art. 24 Cost..
Il giudice a quo osserva che l’art. 379 cod. proc. civ., nei commi secondo e terzo, da un lato regola l’esercizio del diritto di difesa delle parti nell’udienza davanti alla Corte di cassazione, dall’altro quello del pubblico ministero presso la Corte di intervenire e concludere in tutte le udienze civili, secondo quanto dispongono l’art. 76 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario) e l’art. 70, secondo comma, cod. proc. civ.; dal momento però che l’art. 14 della legge n. 195 del 1958 e gli artt. 59 e 60 del d.P.R. n. 916 del 1958 hanno attribuito il potere di impugnare davanti alle sezioni unite civili della Corte di cassazione i provvedimenti del Consiglio superiore della magistratura – sezione disciplinare, sia al Ministro di grazia e giustizia che al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, nei casi in cui il ricorso è proposto dal secondo, quest’organo viene ad assumere la qualità di parte del giudizio, ciò che determinerebbe una incompatibilità logica e giuridica con la disposizione sospettata di incostituzionalità.
La Corte di cassazione ritiene che detta situazione di incompatibilità tra la posizione di soggetto legittimato al ricorso e quella del pubblico ministero nella discussione davanti alla Corte stessa non possa trovare soluzione attraverso una interpretazione che dichiari inapplicabile l’art. 379, terzo comma, cod. proc. civ., ai giudizi promossi dal Procuratore generale; secondo il giudice a quo, infatti, l’ordinamento conosce almeno un altro caso nel quale il giudizio davanti alla Corte di cassazione è promosso dal Procuratore generale, quello disciplinato dall’art. 56, secondo e terzo comma, del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore), che attribuisce a detto organo la legittimazione a ricorrere contro le decisioni del Consiglio nazionale forense; secondo il rimettente la compresenza nell’ordinamento di norme quali quelle richiamate pone dunque un problema che va risolto attraverso il bilanciamento di parametri costituzionali.
Sempre secondo la Corte rimettente, il dovere del Procuratore generale presso la Corte di cassazione di intervenire e concludere in tutte le udienze civili e il suo esercizio, come configurato dal terzo comma dell’art. 379 cod. proc. civ., trovano la loro ragion d’essere nella peculiare esigenza che il pubblico ministero contribuisca alla funzione nomofilattica propria della Corte e quindi all’attuazione del valore costituzionale dell’uniforme applicazione della legge (artt. 3 e 111, secondo comma, Cost.); non può considerarsi in contrasto con tali valori e funzioni la norma che consente al Procuratore generale il potere di provocare il giudizio della Corte attraverso la proposizione del ricorso ma, quando ciò avviene, la norma denunciata si pone in contrasto con l’art. 24 Cost., dal momento che consente al Procuratore generale di esporre oralmente le sue conclusioni dopo che le parti nei cui confronti ha proposto ricorso hanno già esposto le loro difese, e quindi in una posizione processuale privilegiata rispetto a quella delle altre parti del giudizio.
2. – Si sono costituite nel giudizio di legittimità costituzionale le parti private del giudizio a quo, chiedendo alla Corte di voler dichiarare l’illegittimità costituzionale della norma impugnata, che a loro giudizio si porrebbe in contrasto, oltre che con l’art. 24 Cost., anche con l’art. 3 Cost., dato che essa, nel procedimento disciplinare riguardante i magistrati, viene a creare in capo al Procuratore generale ricorrente una posizione ingiustificatamente privilegiata rispetto a quella delle altre parti.
Le parti private, riproponendo le questioni già sollevate davanti al giudice a quo, chiedono inoltre alla Corte di esercitare il potere di estensione di ufficio dell’ambito della questione sollevata, ovvero di sollevare attraverso l’autorimessione questione incidentale di legittimità costituzionale, al fine di dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’intero sistema normativo risultante, oltre che dall’art. 379 cod. proc. civ., dagli artt. 14 e 17 della legge n. 195 del 1958, dagli artt. 59 e 60 del d.P.R. n. 916 del 1958 e dall’art. 27 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 (Guarentigie della magistratura), nella parte in cui attribuiscono anche al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, oltre che al Ministro di grazia e giustizia, sia la titolarità dell’azione disciplinare riguardante i magistrati che il potere di impugnare le decisioni del Consiglio superiore della magistratura – sezione disciplinare davanti alle sezioni unite della Corte di cassazione.
3. – E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo alla Corte di dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale.
Preliminarmente l’Avvocatura ha richiamato la giurisprudenza della Corte di cassazione - sezioni unite civili, che ha sempre ritenuto manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 379 cod. proc. civ., sul presupposto che la norma, vietando le repliche ma consentendo agli avvocati delle parti di presentare, alla stessa udienza, brevi osservazioni per iscritto alle conclusioni del pubblico ministero, non comporta alcuna illegittima limitazione del diritto di difesa, ma tende, al contrario, ad assicurare il concreto esercizio di tale diritto fino al termine della discussione.
L’Avvocatura, rilevato che ciò che caratterizza la fattispecie portata all’esame della Corte è dato dalla circostanza che il pubblico ministero riveste la qualità di parte ricorrente, osserva che dalla lettura degli artt. 70 e 72 cod. proc. civ. non pare emergere una distinzione nell’ambito del processo tra il pubblico ministero interveniente necessario ed il pubblico ministero che promuove l’azione, essendo indubbio che tale organo è comunque una parte sui generis, non soltanto perché pubblica e non privata, ma soprattutto perché ha il compito di “vegliare sull’osservanza della legge e sulla pronta e regolare amministrazione della giustizia” (art. 73, primo comma, dell’Ordinamento giudiziario) e che quindi, anche nell’ambito del giudizio di impugnazione in materia disciplinare, essa opera non per fini propri ma a tutela del superiore interesse al rispetto delle leggi.
La struttura della discussione delineata nell’art. 379 cod. proc. civ., osserva infine l’Avvocatura, pur risultando modellata sull’estraneità del pubblico ministero rispetto alle parti del giudizio, prevede per la discussione davanti alla Corte di cassazione una sequenza temporale che non ha un particolare significato quando il pubblico ministero riveste la qualità di parte ricorrente.
4. – Le parti private, in prossimità dell’udienza, hanno depositato una memoria con la quale hanno ribadito e sviluppato gli argomenti già illustrati a sostegno delle conclusioni precedentemente rese; a loro avviso il Procuratore generale presso la Corte di cassazione viene ad essere investito di due funzioni incompatibili l’una con l’altra, quella di tutore imparziale della legge e quella di parte del giudizio disciplinare, indipendentemente dalla circostanza che nei singoli casi egli sia o no il ricorrente o il controricorrente; ciò determinerebbe la violazione degli artt. 3, 24 e 107 della Costituzione. La ragione di questa “anomalia istituzionale” va ricercata nella violazione, da parte del legislatore ordinario, dell’art. 107 Cost., e precisamente nel fatto che, mentre la norma costituzionale prevede che l’azione disciplinare spetta esclusivamente al Ministro di grazia e giustizia, le leggi ordinarie hanno esteso indebitamente tale potere anche al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, che è anche membro di diritto del Consiglio superiore della magistratura; si sarebbe in tal modo determinato un cumulo di competenze in capo allo stesso organo, con la conseguente illegittimità costituzionale non solo dell’art. 379, terzo comma, cod. proc. civ., ma di tutte le norme che regolano la materia.
Considerato in diritto
1. - La Corte di cassazione - sezioni unite civili, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 379, terzo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui - nei giudizi relativi alle impugnazioni delle sentenze della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, regolati dagli artt. 14 e 17 della legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura) e dagli artt. 59 e 60 del d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916 (Disposizioni di attuazione e coordinamento della legge 24 marzo 1958, n. 195, concernente la costituzione ed il funzionamento del Consiglio superiore della magistratura e disposizioni transitorie) - si applica anche allorché il ricorso venga proposto dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione; secondo la Corte rimettente la norma, consentendo al pubblico ministero di esporre oralmente le sue conclusioni dopo che le altre parti hanno già esposto le loro argomentazioni, pone l'organo titolare dell'azione disciplinare ex art. 14 della legge n. 195 del 1958 in una posizione processuale di vantaggio, tale da violare il diritto di difesa delle altre parti garantito dall’art. 24 della Costituzione, perché queste ultime, nel corso della discussione finale e prima quindi della decisione del giudice in camera di consiglio, non sarebbero messe in condizione di poter adeguatamente replicare alle conclusioni motivate del pubblico ministero.
2. - La questione, nei termini in cui viene prospettata nell’ordinanza della Corte rimettente, non è fondata.
Il procedimento disciplinare riguardante i magistrati è regolato dagli artt. 14 e 17 della legge n. 195 del 1958 e dalle norme di attuazione emanate con il d.P.R. n. 916 del 1958; l’art. 14, n. 1) della legge citata prevede che l’azione disciplinare possa essere esercitata, oltre che dal Ministro di grazia e giustizia, anche dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione “nella sua qualità di Pubblico ministero presso la sezione disciplinare del Consiglio superiore”; l’art. 17, terzo comma, della stessa legge stabilisce che “contro i provvedimenti in materia disciplinare, è ammesso ricorso alla sezioni unite della Corte suprema di cassazione. Il ricorso ha effetto sospensivo del provvedimento impugnato”; infine, l’art. 60 del d.P.R. n. 916 del 1958 prevede che “il ricorso previsto nell’art. 17, ultimo comma, della legge, può essere proposto alle sezioni unite civili della Corte suprema di cassazione dal Ministro per la grazia e giustizia, dal Procuratore Generale presso la stessa Corte e dall’incolpato entro sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento disciplinare in copia integrale”.
Una volta instauratosi il giudizio di impugnazione, il processo davanti alla Corte di cassazione si svolge secondo le regole generali e in modo tale da consentire il pieno dispiegarsi del diritto di difesa nel contraddittorio di tutte le parti. Il procedimento davanti alle sezioni unite è regolato dalle norme del Libro II, Titolo III, Capo III del codice di procedura civile, che disciplinano, tra l’altro, la forma ed il contenuto del ricorso (art. 366 cod. proc. civ.), la possibilità per la controparte di presentare il controricorso (art. 370 cod. proc. civ.) e l’eventuale ricorso incidentale, cui il ricorrente può a sua volta resistere con il suo controricorso (art. 371 cod. proc. civ.), ed ancora la facoltà per tutte le parti di presentare memorie prima dell’udienza di discussione (art. 378 cod. proc. civ.) ed infine, per le parti private, di presentare alla stessa udienza brevi osservazioni scritte sulle conclusioni orali del pubblico ministero (art. 379, quarto comma, cod. proc. civ.).
3. – Nel quadro complessivo delle disposizioni del codice di procedura civile che regolano il processo davanti alla Corte di cassazione, considerata la scansione temporale e logica degli atti difensivi che precedono l’udienza, l’ordine della discussione finale, ed in particolare il fatto che il pubblico ministero presso la Corte, anche quando riveste il ruolo di ricorrente, concluda all'udienza dopo che gli avvocati delle parti private hanno illustrato le loro difese, non comporta alcuna violazione del diritto di difesa costituzionalmente garantito dall’art. 24 Cost.
Tale diritto può dispiegarsi pienamente nei modi previsti dalla vigente legge, senza che dall’ordine degli interventi possa derivare alcun pregiudizio alla difesa delle parti; infatti, vertendo la discussione solo sulle difese già proposte, non è consentito alle parti, e perciò anche al pubblico ministero, portare alla cognizione del giudice fatti o motivi nuovi e diversi da quelli trattati, onde l'assoluta irrilevanza, sotto il profilo del parametro costituzionale invocato, dell'ordine della discussione orale; QQva infatti sottolineato che le conclusioni motivate del pubblico ministero, così come le difese svolte dagli avvocati delle parti, hanno una funzione semplicemente illustrativa delle posizioni già assunte negli atti precedenti, secondo uno schema nel quale il principio del contraddittorio è pienamente rispettato.
Il diritto di difesa, anche nei casi quali quello esaminato dal giudice a quo, può quindi compiutamente essere esercitato, una volta osservate le norme sopra illustrate, contenute nel Libro II, Titolo III, Capo III cod. proc. civ., tanto più che le osservazioni scritte (di cui è consentito il deposito ex art. 379, quarto comma, cod. proc. civ.) costituiscono l’ultimo atto inserito nel fascicolo processuale e configurano un mezzo non inidoneo per portare a conoscenza del giudice le considerazioni difensive delle parti private sulle conclusioni orali del pubblico ministero.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 379, terzo comma, del codice di procedura civile sollevata in riferimento all’art. 24 della Costituzione dalla Corte di cassazione – sezioni unite civili, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 ottobre 1999.
Renato GRANATA, Presidente
Fernanda CONTRI, Redattore
Depositata in cancelleria il 29 ottobre 1999.