Sentenza n. 401/99

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 401

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.  Renato GRANATA, Presidente

- Prof.  Giuliano VASSALLI   

- Prof.  Francesco GUIZZI   

- Prof.  Cesare MIRABELLI    

- Prof.  Fernando SANTOSUOSSO  

- Avv.  Massimo VARI   

- Dott.  Cesare RUPERTO  

- Dott.  Riccardo CHIEPPA  

- Prof.  Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.  Valerio ONIDA   

- Prof.  Carlo MEZZANOTTE   

- Avv.  Fernanda CONTRI   

- Prof.  Guido NEPPI MODONA  

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof. Annibale MARINI   

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 313 del codice civile e 56, quarto comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori), promossi con due ordinanze emesse il 9 febbraio e il 1° giugno 1998 dalla Corte d'appello - sezione minorenni di Torino sui reclami proposti da Spektor Pavel e da Bocale Matteo ed altri, iscritte ai nn. 393 e 784 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 23 e 73, prima serie speciale, dell'anno 1998.

 Udito nella camera di consiglio del 28 aprile 1999 il Giudice relatore Fernanda Contri.

Ritenuto in fatto

1. - La Corte d’appello di Torino, sezione per i minorenni, investita dell’esame di un reclamo avverso il decreto del Tribunale per i minorenni di Torino con il quale, ai sensi dell’art. 44, primo comma, lettera b) della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori), era stata disposta l’adozione di una minore da parte del marito della madre della stessa, ha sollevato, con ordinanza del 9 febbraio 1998, in riferimento agli artt. 3, 24 e 30 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 313 del codice civile, in quanto richiamato dall’art. 56 della legge citata, nella parte in cui non contempla anche il genitore dell’adottando tra i soggetti legittimati a proporre reclamo alla corte d’appello avverso il decreto del tribunale per i minorenni di adozione in casi particolari.

La Corte rimettente premette in fatto che la minore, nata nella Repubblica Federativa Russa, risulta essere figlia di genitori divorziati, uno residente in detto Stato straniero, l’altra residente in Italia ed unitasi in nuove nozze con un cittadino italiano; che il coniuge della madre, avvalendosi dell’art. 44, primo comma, lettera b), della legge 4 maggio 1983, n. 184, ha presentato domanda di adozione della minore; che il Tribunale per i minorenni di Torino, acquisita una dichiarazione notarile - resa nella Federazione Russa - con la quale il padre dell’adottanda aveva prestato il proprio “consenso per la vita di sua figlia ….. in Italia con sua madre che ha sposato un cittadino italiano”, ha emesso il decreto di adozione sul presupposto della esistenza del consenso-assenso di entrambi i genitori dell’adottanda; che il padre della minore, ricevuta la notifica del provvedimento, ha presentato, mediante lettera raccomandata, reclamo avverso tale decisione, dichiarando di “opporsi” all’adozione; che il Procuratore generale presso la Corte d’appello, espresso il proprio parere favorevole all’accoglimento del gravame sul presupposto che con l’atto notarile il padre non aveva in realtà prestato alcun consenso all’adozione e rilevato che l’art. 313 del codice civile non include il genitore dell’adottando tra i soggetti legittimati a proporre reclamo, ha chiesto al giudice di valutare se rimettere gli atti alla Corte costituzionale, ravvisando nella indicata esclusione la violazione dei principi costituzionali della tutela piena dei diritti (art. 24, primo comma) e dell’eguaglianza, nella sua proiezione processuale, tra le parti del procedimento.

La Corte rimettente afferma di dover preliminarmente verificare la legittimazione del padre dell’adottanda a proporre reclamo, il quale tuttavia dovrebbe essere dichiarato inammissibile, poiché i genitori non risultano compresi tra i soggetti legittimati all'impugnazione ai sensi dell’art. 313 del codice civile.

Il giudice rimettente sostiene quindi che, data la pari rilevanza, ai fini della pronuncia di adozione, delle manifestazioni di volontà dell’adottante e del genitore dell’adottando, nell’ambito di una disciplina nella quale l’interesse del minore costituisce in ogni caso elemento prioritario e preminente, e che, data la conseguente parità di potenziale interesse alla impugnazione del provvedimento del tribunale minorile, la esclusione del genitore dai soggetti legittimati al reclamo sembrerebbe violare il principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione.

Tale disparità di trattamento appare, ad avviso del giudice a quo, irragionevole ed ingiustificata, in quanto il genitore naturale, il quale nella procedura di adozione deve prestare il proprio consenso, costituente espressione di un diritto ma anche di un dovere, è titolare di una posizione soggettiva rilevante costituzionalmente ai sensi dell’art. 30 della Costituzione, che non è invece riconosciuta agli altri soggetti pur legittimati all’impugnazione dall’art. 313 del codice civile; l’esclusione risulta poi ancor più irragionevole se viene comparata con la diversa disciplina che regola il reclamo avverso i provvedimenti di cui all’art. 330 del codice civile, anch’essi resi in una procedura di volontaria giurisdizione ed incidenti sul mero esercizio della potestà genitoriale e non sullo status del minore, come nell’adozione.

Neppure può sostenersi, ad avviso della Corte rimettente, che la mancata previsione della legittimazione al reclamo sia stata dettata da esigenze di snellezza della procedura, dal momento che la stessa riguarda status familiari; ciò perché una tale esigenza avrebbe giustificato, semmai, la previsione della inoppugnabilità del provvedimento e non una limitazione della legittimazione al reclamo.

Richiamata criticamente la motivazione della sentenza della Corte di cassazione 10 giugno 1987, n. 5049, la Corte d’appello osserva che il ridotto rilievo sostanziale accordato dal legislatore alla manifestazione di volontà del genitore, che non potrebbe comunque contrastare la pronuncia di adozione, non giustifica in alcun modo una tale “contrazione di poteri processuali”, che appare evidente nel caso esaminato, nel quale il genitore non era stato neppure sentito; osserva peraltro la Corte rimettente che anche il genitore che sia stato sentito ed abbia espresso parere contrario all'adozione può avere interesse all’impugnazione, sia per contestare la valutazione data dal Tribunale in merito alla pretesa irragionevolezza del dissenso, sia in generale per contestare che l’adozione corrisponda agli interessi del minore; con una iniziativa processuale quindi “non solo oggetto di diritto, ma costituzionalmente doverosa ex art. 30 della Costituzione”.

La Corte d’appello conclude quindi che l’art. 313 del codice civile si porrebbe quale ingiustificata eccezione nell’ambito di una normativa ispirata a principi di rilevanza costituzionale, in quanto il genitore, pur in un sistema nel quale appare preminente l’interesse del minore, non può mai considerarsi carente di interesse e di legittimazione.

2. - La stessa Corte d’appello di Torino, sezione per i minorenni, con altra ordinanza in data 1° giugno 1998, ha sollevato identica questione di legittimità costituzionale dell’art. 56, quarto comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori), in relazione all’art. 313 del codice civile, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 30 della Costituzione.

La Corte rimettente, investita della decisione di due distinti reclami presentati dai genitori di un minore per il quale il Tribunale per i minorenni di Torino aveva pronunciato decreto di adozione ai sensi dell’art. 44, primo comma, lettera c) della legge 4 maggio 1983, n. 184, osserva che, per potersi pronunciare sul merito di tali impugnazioni, deve preliminarmente esaminarne l’ammissibilità, condizione che a suo avviso deve ritenersi esclusa secondo il combinato disposto dell’art. 56 della legge citata e dell’art. 313 del codice civile, poiché tali norme non comprendono i genitori del minore adottando tra i soggetti legittimati al reclamo alla corte d’appello. Osserva sul punto che nessuna distinzione viene operata dalla legge tra il genitore dell’adottato maggiorenne e quello dell’adottato minore di età, essendo stata prevista come unica differenza tra le due situazioni quella riguardante la ripartizione di competenza tra gli organi giudiziari, tribunale ordinario e corte d’appello nel primo caso, tribunale per i minorenni e sezione per i minorenni della corte d'appello nel secondo.

Il giudice a quo osserva che l’esclusione dei genitori del minore dal novero dei legittimati al reclamo non può ritenersi frutto di un difetto di coordinamento tra leggi successive, dal momento che l’art. 313 del codice civile è stato riformato dall’art. 65 della stessa legge 4 maggio 1983, n. 184.

La Corte rimettente sottolinea poi che la qualità di genitore di un minore individua una posizione di diritto-dovere, riconosciuta sia dalla legge ordinaria (artt. 147 e 261 del codice civile) che dallo stesso art. 30 della Costituzione. Il superiore interesse del minore, che trova considerazione nel secondo comma del citato art. 30, può portare ad una serie di limitazioni dei diritti e dei doveri dei genitori, previste dalla legge ordinaria, quali la decadenza dalla potestà di cui all’art. 330 del codice civile, le limitazioni all’esercizio della potestà di cui ai successivi artt. 333 e seguenti, l’attribuzione in via esclusiva dell’esercizio della potestà ad uno solo dei genitori, di cui agli artt. 155 e 317-bis dello stesso codice; limitazioni peraltro non definitive e che possono cessare in ragione dell’evoluzione dei rapporti del minore con i suoi genitori. Nei casi anzidetti, secondo la Corte d'appello di Torino, sarebbe comunque sempre assicurata la tutela giurisdizionale, nel doppio grado di merito, del genitore, la quale tutela si esprime nel diritto di essere sentito, in quello di essere parte del procedimento ed infine in quello di impugnare i provvedimenti davanti al giudice di secondo grado.

Nell’ipotesi del provvedimento più grave di affievolimento dei diritti dei genitori, quale quello della dichiarazione dello stato di adottabilità del minore, la legge 4 maggio 1983, n. 184 ha previsto una capillare ed articolata tutela giurisdizionale del genitore, che si sostanzia nell’obbligo della sua audizione nella fase preliminare del procedimento, nella possibilità di reclamo alla corte d’appello per i provvedimenti temporanei emanati ai sensi dell’art. 10 della legge citata, nella facoltà di proporre opposizione al decreto di adottabilità ai sensi dell’art. 17 ed infine nel diritto di appellare la decisione del tribunale davanti alla sezione per i minorenni della corte d’appello e nel ricorso per cassazione avverso la decisione del giudice di secondo grado.

Al contrario, nel procedimento di cui agli artt. 44 e segg. della legge 4 maggio 1983, n. 184, che incide sulla situazione del minore in maniera ben più profonda e durevole di quanto non avvenga nelle procedure di affievolimento dell’esercizio della potestà, la tutela giurisdizionale dei genitori del minore si esaurisce nella loro necessaria audizione da parte del tribunale e nella manifestazione del loro assenso o diniego di assenso; nel caso poi di genitori che non sono nell’esercizio della loro potestà, il tribunale potrebbe superare il loro stesso dissenso ritenendolo contrario all’interesse del minore, senza che tale valutazione sia dagli stessi reclamabile alla corte d’appello.

Ad avviso del rimettente non sarebbe dunque possibile al genitore del minore proporre reclamo avverso il provvedimento di adozione del figlio in casi particolari, né per prospettare un interesse del minore in senso contrario alla richiesta adozione, né per dedurre vizi del procedimento, come la mancata audizione dei soggetti che devono esprimere il loro consenso o il loro assenso, né, infine, per far valere la mancanza degli stessi presupposti di cui all’art. 44 legge citata, lettere a), b) o c).

Secondo il giudice a quo la mancata previsione del reclamo da parte dei genitori non rispetterebbe il precetto di cui all’art. 24 della Costituzione, negandosi il diritto ad un esame della questione da parte del giudice di secondo grado, pur in considerazione dell’orientamento secondo il quale la Costituzione non prevederebbe la necessità del doppio grado di merito; se poi si seguisse l’orientamento espresso dalla già richiamata sentenza della Corte di cassazione n. 5049 del 10 giugno 1987, secondo il quale nelle procedure di adozione in casi particolari il genitore non sarebbe parte in senso processuale, la violazione dell’art. 24 della Costituzione risulterebbe evidente, dal momento che un soggetto titolare di una situazione di diritto–dovere sarebbe privato della stessa possibilità di difendersi di fronte alla domanda di adozione del proprio figlio da parte di un terzo.

La Corte rimettente osserva infine che la norma impugnata crea una evidente disparità di trattamento tra i genitori del minore e gli adottanti, poiché solo questi ultimi, quantunque titolari di una mera posizione di aspettativa e non ancora investiti di alcun diritto soggettivo, sono compresi tra i soggetti indicati dall’art. 313 del codice civile; tale esclusione di alcune parti dal potere di proporre reclamo non potrebbe neppure giustificarsi in base alla considerazione che la procedura di adozione in casi particolari tutela il minore nelle ipotesi in cui i genitori manchino o si disinteressino del figlio, essendo questa una mera petizione di principio e comunque essendo questo l’oggetto della valutazione di merito.

Considerato in diritto

1. - La Corte d’appello di Torino, sezione per i minorenni, con due distinte ordinanze di analogo contenuto, prospetta la illegittimità costituzionale dell’art. 56, quarto comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori), in relazione all’art. 313 del codice civile, nella parte in cui non contempla anche il genitore dell’adottando tra i soggetti legittimati ad impugnare il decreto di adozione in casi particolari; ad avviso della Corte rimettente, tale esclusione determinerebbe la violazione degli artt. 3, 24 e 30 della Costituzione sotto diversi profili: per la ingiustificata disparità di trattamento tra il genitore dell’adottando, titolare di una posizione soggettiva di rilevanza costituzionale ma non legittimato al reclamo, e l’adottante, non ancora investito di alcuna posizione di diritto soggettivo e purtuttavia legittimato ad impugnare; per la irragionevole diversità di disciplina dei poteri d’impugnativa del genitore nei procedimenti di adozione in casi particolari, di adozione legittimante ed in quelli che incidono sulla potestà dei genitori di cui agli artt. 330 e segg. cod. civ., poiché soltanto rispetto ai primi è esclusa la legittimazione del genitore al reclamo, nonostante sia comune a tali categorie di procedimenti la natura di volontaria giurisdizione e il principio della prioritaria valutazione dell’interesse del minore; perché il genitore dell’adottando sarebbe ingiustificatamente privato della tutela giurisdizionale rispetto ad un provvedimento che incide non solo sulla potestà genitoriale ma anche sullo status del proprio figlio; infine, per la considerazione che la mancata previsione del potere di impugnazione da parte del genitore dell’adottando non sarebbe coerente con la posizione di rilevanza costituzionale attribuita al medesimo.

Poiché le due ordinanze sollevano una identica questione, può disporsi la riunione dei giudizi affinché siano decisi con un’unica sentenza.

2. - La questione non è fondata nei sensi appresso indicati.

3. - L’art. 56 della legge n. 184 del 1983 disciplina le forme dell’adozione in casi particolari, stabilendo all’ultimo comma che si applicano gli artt. 313 e 314 del codice civile, ferma restando la competenza del tribunale per i minorenni e della sezione per i minorenni della corte di appello. Le citate norme di rinvio dispongono, a loro volta, in ordine alle forme dell’adozione di persone maggiori di età: in particolare, il secondo comma dell’art. 313 prevede la possibilità di impugnare il decreto del tribunale che decide di far luogo o non far luogo alla adozione di maggiorenne, attribuendo il relativo potere all’adottante, al pubblico ministero e all’adottando.

Poiché nella regolamentazione dell’impugnazione mediante mero rinvio al codice civile l’art. 56 della legge n. 184 del 1983 si limita a precisare che rimane ferma la competenza del giudice specializzato, occorre verificare se nel silenzio della legge la norma di rinvio trovi applicazione letterale ovvero se vi sia spazio per una diversa interpretazione che consenta di superare i prospettati dubbi di legittimità costituzionale dell’impugnato art. 56, derivanti appunto dalla omessa menzione dei genitori dell’adottando tra i soggetti legittimati al reclamo.

4. - Anteriormente alla emanazione della legge n. 184 del 1983, l’art. 313 del codice civile disciplinava le forme del provvedimento del tribunale relativo all’adozione tradizionale; tale istituto fu in parte modificato dalla legge 5 giugno 1967, n. 431, recante «Modifiche al titolo VIII del libro I del codice civile “Dell’adozione” ed inserimento del nuovo capo III con il titolo “Dell’adozione speciale”» che ne lasciò tuttavia inalterata la natura e le caratteristiche, affiancando ad esso l’adozione speciale di minori; l’adozione tradizionale, denominata comunemente ordinaria, manteneva integri i diritti e i doveri dell’adottato nei confronti della sua famiglia d’origine, poteva pronunciarsi a favore sia di minori che di maggiorenni, era fondata sul consenso dell’adottante e dell’adottando e richiedeva l’assenso dei genitori dell’adottando e del coniuge dell’adottante e dell’adottando. L’adozione speciale presupponeva invece la situazione di abbandono dei minori e la dichiarazione dello stato di adottabilità: per effetto di essa l’adottato acquistava lo stato di figlio legittimo degli adottanti, con la conseguente cessazione dei rapporti dell’adottato verso la famiglia d’origine.

L’adozione “ordinaria” era pronunciata dal tribunale ordinario con decreto non motivato, contro il quale non era previsto alcun reclamo, ancorché esso fosse comunque generalmente ammesso dalla giurisprudenza, ai sensi dell’art. 739 cod. proc. civ., mentre l’adozione speciale era dichiarata dal tribunale per i minorenni, attraverso una complessa procedura, che prevedeva la possibilità di proporre opposizioni e reclami.

La legge n. 184 del 1983 ha abrogato le disposizioni sull’adozione speciale, introducendo una nuova disciplina dell’adozione dei minori, ed ha trasformato l’adozione ordinaria in adozione di maggiorenni, la quale continua ad essere regolamentata dalle norme del codice civile, come modificate dalla stessa legge n. 184; tra tali modifiche, vi è appunto la previsione del potere di impugnazione di cui al secondo comma dell’art. 313, relativa alla disciplina dell’adozione di maggiorenni.

5. - Gli orientamenti giurisprudenziali in tema di legittimazione dei genitori dell’adottando all’impugnazione dei provvedimenti emanati nel procedimento di adozione in casi particolari denotano l’insussistenza di una interpretazione univoca della norma. Mentre i giudici di merito per lo più ammettono il reclamo, la Corte di cassazione ha invece offerto interpretazioni diverse della norma in esame: con alcune pronunce negando ai genitori dell’adottando la legittimazione al reclamo, sulla base di una interpretazione letterale del testo della norma, la cui chiarezza ed inequivocabilità non consentirebbe di ricercare se la volontà del legislatore sia stata eventualmente diversa da quella manifestamente resa; con altre decisioni per contro affermando che entrambi i genitori del minore sono legittimati al reclamo nella qualità di rappresentanti del minore.

Ad avviso di questa Corte, una lettura adeguatrice della norma in esame impone di includere i genitori del minore tra i soggetti legittimati all’impugnazione e di pervenire quindi ad una interpretazione conforme a Costituzione.

Negare la loro legittimazione a proporre reclamo contrasterebbe con la tutela costituzionale del diritto di azione, spettante a soggetti che in quanto esercenti la potestà genitoriale non possono non essere contraddittori necessari nel procedimento di adozione in casi particolari.

A tal fine è opportuno sottolineare che l’art. 313 cod. civ., benché modificato proprio dalla legge n. 184 del 1983, è comunque una norma dettata espressamente per l’adozione di maggiorenni ed è quindi destinata ad operare in relazione ad un procedimento nel quale l’adottando ha piena capacità processuale, in quanto dispone del libero esercizio dei diritti che si fanno valere nel detto giudizio; la mancata indicazione dei genitori dell’adottando tra i soggetti legittimati all’impugnazione si spiega quindi agevolmente proprio in base alla considerazione che l’adozione disciplinata dal codice civile riguarda esclusivamente soggetti maggiori di età, ai quali pertanto è riconosciuto un autonomo potere di impugnazione. La diversa natura dell’adozione in casi particolari determina invece la necessità di adattare la previsione stessa alle caratteristiche di tale procedimento; questo infatti concerne i minori, i quali, essendo privi della capacità di agire, non possono stare in giudizio se non rappresentati dai genitori che esercitano la potestà ovvero dal tutore.

E’ allora evidente che se nell’adozione di maggiorenni la legittimazione al reclamo spetta all’adottando, in quanto provvisto di piena e autonoma capacità processuale, nell’adozione in casi particolari il soggetto legittimato al reclamo deve intendersi non già l’adottando, perché minore, bensì chi eserciti la potestà genitoriale.

Né appare utile al riguardo la distinzione tra l’esercizio dell’azione iure proprio e quella in nomine minoris. Il fondamento della rappresentanza legale risiede nella assoluta incapacità del minore di esercitare i propri diritti, sì che la cura degli interessi di quest’ultimo è completamente affidata ai genitori, ovvero al tutore; essi tuttavia non si limitano ad esprimere e rappresentare la volontà di un soggetto incapace, bensì esercitano la potestà genitoriale in base ad una propria valutazione circa l’utilità e la convenienza per il minore dell’atto o del negozio da compiere. Mentre nella rappresentanza volontaria il rappresentato conferisce a un terzo il potere di spendere il proprio nome, delimitandone le facoltà, in quella legale è invece il legislatore a conferire tale potere-dovere, senza alcuna limitazione che non sia il perseguimento dell’interesse stesso del minore.

Occorre ora considerare che l’art. 57, numero 2), della legge in oggetto impone espressamente al tribunale di verificare “se l’adozione realizza il preminente interesse del minore” ed è opportuno sottolineare che tale finalità può raggiungersi solo attraverso un procedimento che sia esente da vizi sia di merito che di natura formale o processuale; pertanto, il genitore che proponga reclamo può dedurre qualunque motivo a sostegno dell’impugnazione, dal momento che ogni vizio del procedimento può costituire un ostacolo alla realizzazione dell’interesse del minore, nell’ambito del quale interesse deve comprendersi anzitutto quello diretto ad ottenere che la pronuncia sia emanata a seguito di un corretto svolgimento del giudizio. L’impugnazione con la quale si lamenti l’ingiustizia sostanziale del provvedimento e quella con la quale si deduca un error in procedendo non possono mai dirsi estranee all'interesse del minore.

Per quanto sin qui affermato deve concludersi che nel procedimento di adozione in casi particolari la legittimazione all’impugnazione spetta ai genitori dell’adottando, purché non decaduti dall’esercizio della potestà, per far valere qualunque vizio del procedimento che possa essere ostativo alla concreta ed effettiva realizzazione dell’interesse del minore.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 56, quarto comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori), in relazione all’art. 313 del codice civile, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24 e 30 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Torino, sezione per i minorenni, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 ottobre 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 29 ottobre 1999.