ORDINANZA N. 396
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Dott. Renato GRANATA Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI Giudice
- Prof. Francesco GUIZZI "
- Prof. Cesare MIRABELLI "
- Avv. Massimo VARI "
- Dott. Cesare RUPERTO "
- Dott. Riccardo CHIEPPA "
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY "
- Prof. Valerio ONIDA "
- Prof. Carlo MEZZANOTTE "
- Avv. Fernanda CONTRI "
- Prof. Guido NEPPI MODONA "
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 5-bis, comma 7-bis, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito in legge 8 agosto 1992, n. 359, promossi con ordinanze emesse il 13 febbraio (n. 2 ordinanze) e l'11 marzo 1998 dal Tribunale di Potenza, il 9 gennaio 1998 e il 21 novembre 1997 dal Tribunale di Busto Arsizio, il 19 marzo 1998 dal Tribunale di Udine e il 2 giugno 1997 dal Tribunale di Perugia, rispettivamente iscritte ai nn. 593, 594, 595, 637, 638, 693 e 727 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 36, 38, 40 e 41, prima serie speciale, dell'anno 1998.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 25 maggio 1999 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.
Ritenuto che, con tre ordinanze di identico contenuto, due delle quali emesse in data 13 febbraio 1998, l’altra l’11 marzo 1998 (R.O. nn. 593, 594, e 595 del 1998), nel corso di altrettanti procedimenti civili aventi ad oggetto il risarcimento dei danni da c.d. occupazione appropriativa, il Tribunale di Potenza ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art.5-bis, comma 7-bis, della legge 8 agosto 1992, n. 359 (recte: del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, recante "Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica", convertito, con modificazioni, nella detta legge n. 359 del 1992), introdotto dall’art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica);
che, ad avviso del giudice a quo, sarebbe irragionevole, pur nella nuova misura prevista dalla norma in questione a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 369 del 1996, per il suo carattere irrisorio, il quantum del risarcimento, nelle ipotesi di occupazione illegittima della p.a., rispetto al ristoro integrale del danno, donde il contrasto con gli artt. 3, primo comma, 42, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione;
che, sotto altro profilo, la norma denunciata, unificando il parametro assunto ai fini della determinazione del risarcimento dovuto in tutti i casi di occupazione acquisitiva, determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento tra le ipotesi di accessione invertita di suoli agricoli o non edificabili, rispetto ai quali l’indennizzo verrebbe commisurato, ai sensi del comma 4 dell’art. 5-bis, sulla base del valore agricolo medio, e, quindi, secondo un criterio prossimo a quello venale, e le altre, quelle cioè, in cui, in applicazione della norma di cui all’impugnato comma 7-bis, l’ammontare verrebbe ad essere quantificato ad un livello inferiore;
che nei giudizi introdotti con le ordinanze di cui si è riferito, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha preliminarmente eccepito la inammissibilità delle questioni sollevate, osservando che l’assenza, nelle ordinanze di rimessione, di qualsiasi cenno alla natura delle aree della cui occupazione si tratta non consentirebbe la verifica della rilevanza delle questioni stesse nei giudizi a quibus; e, nel merito, ha concluso per la infondatezza escludendo il carattere irrisorio della differenza del quantum risarcitorio rispetto a quello relativo alla indennità di esproprio;
che la medesima questione è stata sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione, con due ordinanze del Tribunale di Busto Arsizio, la prima delle quali emessa il 21 novembre 1997, e pervenuta alla Corte il 14 agosto 1998 (R.O. n. 638 del 1998), l’altra il 9 gennaio 1998, pervenuta alla Corte il 16 settembre 1998 (R.O. n. 727 del 1998), con le quali il Collegio rimettente ha posto in evidenza la ingiustificata parificazione che si verrebbe a creare tra i proprietari di beni legittimamente espropriati e quelli che vengono illecitamente privati di beni per effetto di accessione invertita, il cui diritto non sarebbe adeguatamente tutelato;
che anche il Tribunale di Udine, con ordinanza del 19 marzo 1998 (R.O. n. 693 del 1998), ha impugnato la stessa norma in riferimento agli artt. 3 e 42 della Costituzione, con argomentazioni analoghe a quelle già riferite con riguardo alle altre ordinanze, cui ha aggiunto il rilievo relativo alla lamentata irragionevolezza del discrimine temporale, fissato nella normativa denunciata, tra le occupazioni acquisitive anteriori al 30 settembre 1996, per le quali valgono i criteri di liquidazione del danno introdotti con il comma 7-bis dell’art. 5-bis, e quelle successive a tale data, che sarebbero, invece, soggette al risarcimento integrale del danno;
che nel giudizio introdotto con la ordinanza R.O. n. 693 del 1988, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la infondatezza della questione;
che il Tribunale di Perugia, con ordinanza del 2 giugno 1997, pervenuta alla Corte il 16 settembre 1998 (R.O. n. 727 del 1998), ha denunciato, per contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione, il predetto comma 7-bis, osservando che esso riproduce quasi integralmente il contenuto della disposizione già dichiarata costituzionalmente illegittima con la citata sentenza della Corte costituzionale n. 369 del 1996;
che anche in tale giudizio ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha preliminarmente eccepito la inammissibilità della questione per difetto di rilevanza nel giudizio a quo, nel quale si verte sulla occupazione illegittima di aree non edificabili, mentre la norma in esame sarebbe applicabile solo alle aree edificabili; nel merito, ha concluso per la infondatezza.
Considerato che, avendo ad oggetto le diverse ordinanze di rimessione identiche questioni, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi congiuntamente.
Considerato preliminarmente, che le eccezioni di inammissibilità dedotte dall’Avvocatura generale dello Stato in riferimento alle ordinanze R.O. nn. 593, 594, 595 e 727 del 1998, sono prive di fondamento, in quanto le ordinanze di rimessione contengono una motivazione non implausibile sulla rilevanza delle relative questioni;
che identiche questioni di legittimità costituzionale sono state già dichiarate non fondate dalla Corte con la sentenza n. 148 del 1999 e che non sono stati addotti motivi nuovi e diversi che possano indurre la Corte a modificare il proprio orientamento;
che le questioni sollevate devono essere, pertanto, dichiarate manifestamente infondate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5-bis, comma 7-bis, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359, introdotto dall’art. 3, comma 65, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), sollevate, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 42, secondo comma e 97, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Potenza; agli artt. 3, primo comma, e 42, secondo comma della Costituzione, dal Tribunale di Busto Arsizio e da quello di Perugia; agli artt. 3 e 42 della Costituzione, dal Tribunale di Udine, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 ottobre 1999.
Renato GRANATA, Presidente
Riccardo CHIEPPA, Redattore
Depositata in cancelleria il 22 ottobre 1999.