ORDINANZA N. 362
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di ammissibilità del conflitto tra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera del 16 dicembre 1998 della Camera dei deputati relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi nei confronti di Stefania Ariosto, promosso dal Tribunale di Como con ricorso depositato il 25 gennaio 1999 ed iscritto al n. 109 del registro ammissibilità conflitti.
Udito nella camera di consiglio del 9 giugno 1999 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.
Ritenuto che, nel corso di un procedimento penale a carico del deputato Vittorio Sgarbi per il reato di diffamazione, il Tribunale di Como ha sollevato, con ordinanza emessa il 20 gennaio 1999, conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati in relazione alla delibera del 16 dicembre 1998, con la quale é stato dichiarato che i fatti per i quali é in corso detto procedimento riguardano opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari, e, come tali, insindacabili, a norma dell'art. 68, primo comma, della Costituzione;
che il Collegio ricorrente ha premesso che il deputato Sgarbi era stato tratto a giudizio con decreto del Giudice per l'udienza preliminare 29 gennaio 1997, per rispondere del reato di cui agli artt. 595 cod.pen., 30, commi 4 e 5, della legge 6 agosto 1990, n. 223, a seguito di talune dichiarazioni rese nel corso del programma televisivo Sgarbi Quotidiani, trasmesso sulla rete televisiva Canale 5, nei giorni 28 maggio, 10 e 11 giugno 1996, con le quali si riteneva che avesse offeso la reputazione di Stefania Ariosto, attribuendole una serie di fatti determinati, in particolare accusandola "di avere vissuto in maniera parassitaria, per molti anni alla corte di uomini ricchi e potenti e di aver tratto in tal modo i mezzi per vivere senza lavorare; di aver svolto la professione di antiquario con scarse competenze, scorrettamente ed affermando il falso in relazione al valore di due inginocchiatoi, di una statua romana e di un libro d'ore; di essere piena di debiti e di giocare in tutti i Casinò del mondo avendo rapporti con gli usurai; di avere rapporti sconvenienti con la televisione avendo beneficiato di una intervista definita marchetta del TG1; definendola inoltre con disprezzo con il termine "pentita" in relazione alla qualità di testimone assunta in un procedimento penale ed accusandola di avere, in quella sede, dichiarato il falso"; apostrofandola, inoltre, con tono ritenuto arrogante e violento accompagnato ripetutamente da frasi volgari;
che, nel corso del dibattimento, il deputato Sgarbi, dopo aver reso spontanee dichiarazioni contestando nel merito l’accusa formulata nei suoi confronti, aveva sostenuto che le opinioni da lui espresse nel corso delle trasmissioni televisive di cui si trattava dovevano considerarsi manifestazione della sua attività di parlamentare lato sensu considerata, con la conseguenza che l’autorità giudiziaria non avrebbe potuto procedere nei suoi confronti in relazione ad esse, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;
che, con ordinanza del 21 novembre 1997, lo stesso Tribunale ricorrente, che non condivideva l’assunto difensivo, aveva disposto la trasmissione degli atti alla Camera dei deputati, affinchè valutasse la sussistenza della insindacabilità delle espressioni per le quali si procedeva, sulla base della procedura prevista dall’art. 2, comma 11, del decreto-legge 10 maggio 1996, n. 253, in vigore all’epoca dei fatti, e da ritenersi applicabile malgrado la mancata conversione in legge, attenendo la valutazione sulla esistenza di una causa di non punibilità al diritto sostanziale. Contestualmente, lo stesso Tribunale aveva disposto la sospensione del dibattimento, in attesa della decisione della Camera, che avrebbe dovuto deliberare entro novanta giorni: peraltro, non essendo intervenuta entro detto termine la deliberazione, il procedimento era stato ripreso alle udienze del 20 ottobre 1998 e del 17 dicembre 1998. All’inizio di quest’ultima udienza, era pervenuta la comunicazione della delibera parlamentare del 16 dicembre 1998, che, respingendo la motivata, contraria proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere, aveva dichiarato la insindacabilità delle opinioni espresse dal deputato Sgarbi;
che, ad avviso del Tribunale di Como, la propria sfera di attribuzioni, costituzionalmente garantita, sarebbe stata illegittimamente menomata dalla predetta decisione della Camera dei deputati. Al riguardo, il Collegio ribadisce che le affermazioni contestate al deputato Sgarbi sembrano non avere contenuto politico, ma piuttosto trascendere su di un piano di mero dileggio e di insulto personale nei confronti della Ariosto, ed essere del tutto svincolate sia da considerazioni di carattere politico, sia da connessioni con il dibattito parlamentare, anche ove si voglia ritenere che le vicende in cui é stata coinvolta la signora Ariosto abbiano avuto una notevole rilevanza pubblica;
che, infine, il Collegio ritiene che le modalità di estrinsecazione delle opinioni del deputato Sgarbi ed i termini da lui adoperati sono assolutamente estranei all’esercizio delle funzioni parlamentari, sia pure latamente intese.
Considerato che, nella presente fase del giudizio, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la Corte é chiamata a deliberare, senza contraddittorio, se il ricorso sia ammissibile, esistendo i presupposti di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza, restando impregiudicata ogni ulteriore decisione, anche in punto di ammissibilità;
che il Tribunale di Como é legittimato a sollevare il conflitto, in quanto organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene nell'ambito delle funzioni giurisdizionali da esso esercitate, in conformità al principio, ripetutamente affermato dalla Corte, secondo il quale i singoli organi giurisdizionali, svolgendo le loro funzioni in posizione di piena indipendenza, costituzionalmente garantita, sono legittimati ad essere parti nei conflitti costituzionali di attribuzione;
che, del pari, secondo la costante giurisprudenza della Corte, la Camera dei deputati, in relazione alla definizione dell'ambito di applicabilità dell'art. 68, primo comma, della Costituzione rispetto ad un proprio componente, é legittimata ad essere parte in un conflitto, in quanto organo cui spetta dichiarare definitivamente la volontà del potere che rappresenta;
che, quanto all'oggetto del conflitto, il Tribunale di Como lamenta, conformemente a quanto richiesto dall'art. 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953, la lesione della propria sfera di attribuzioni costituzionalmente garantita, in conseguenza dell'esercizio, ritenuto illegittimo, da parte della Camera dei deputati, del potere di dichiarare l'insindacabilità delle opinioni espresse da un proprio membro a norma dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile, ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione proposto dal Tribunale di Como nei confronti della Camera dei deputati con il ricorso indicato in epigrafe;
dispone:
a. che la cancelleria della Corte dia comunicazione della presente ordinanza al Tribunale di Como, ricorrente;
b. che, a cura del ricorrente, il ricorso e la presente ordinanza siano notificati alla Camera dei deputati, in persona del suo Presidente, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione, per essere depositati nella cancelleria della Corte entro il termine di venti giorni dalla notificazione, secondo l'art. 26, terzo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1999.
Renato GRANATA, Presidente
Riccardo CHIEPPA, Redattore
Depositata in cancelleria il 22 luglio 1999.