Ordinanza n. 269/99

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ORDINANZA N.269

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 309, commi 5 e 10, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 26 ottobre 1998 dalla Corte di cassazione, iscritta al n. 140 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell’anno 1999.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 25 maggio 1999 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto che la Corte di cassazione, sesta sezione penale, con ordinanza emessa il 26 ottobre 1998, pervenuta a questa Corte il 24 febbraio 1999, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 13 e 24 della Costituzione, dell’art. 309, commi 5 e 10, cod. proc. pen. (Riesame delle ordinanze che dispongono una misura coercitiva), nella parte in cui non prevede un termine perentorio per l’inoltro all’autorità giudiziaria procedente dell’avviso relativo alla presentata richiesta di riesame;

che la Corte remittente premette di non poter condividere l’interpretazione dell’art. 309, comma 5, cod. proc. pen. offerta da questa Corte nella sentenza n. 232 del 1998, secondo la quale il termine di cinque giorni stabilito per la trasmissione degli atti al tribunale del riesame decorre dal momento in cui la richiesta di riesame perviene alla cancelleria del medesimo tribunale, e non dal momento in cui all’autorità procedente perviene l’avviso della avvenuta presentazione di tale richiesta;

che il giudice a quo ritiene che l’esistenza di una fase, nell’ambito del procedimento di riesame – quella cioé intercorrente fra la presentazione della richiesta di riesame e la ricezione da parte dell’autorità procedente dell’avviso relativo –, non assistita, quanto ai tempi di adempimento, da sanzione processuale, appaia in contrasto con gli articoli 13 e 24 della Costituzione, perchè pregiudicherebbe il diritto ad una difesa efficace e tempestiva in materia di libertà personale;

che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, riportandosi all’atto di intervento già depositato nel giudizio, avente lo stesso oggetto, promosso con la ordinanza della stessa Corte di cassazione emessa in data 9 giugno 1997, iscritta al n. 674 del registro ordinanze del 1997 – e definito con la sentenza di questa Corte n. 232 del 1998 –, in cui si chiedeva di dichiarare infondata la questione.

Considerato che questa Corte, investita di identica questione, la ha dichiarata, con la sentenza n. 232 del 1998, non fondata sulla base di una ricostruzione del sistema normativo in esame, alla luce dei principi costituzionali relativi alla garanzia giurisdizionale in materia di libertà personale, nel senso che il termine perentorio di cinque giorni per la trasmissione degli atti al tribunale del riesame decorre dal momento in cui perviene, alla cancelleria del medesimo, la richiesta di riesame, e che dunque entro tale termine si deve collocare anche l’"immediato avviso" che deve esserne dato all’autorità procedente affinchè essa provveda alla tempestiva trasmissione degli atti;

che il collegio remittente dichiara di non condividere detta interpretazione, riproponendo pertanto la questione sulla base di una diversa ricostruzione del sistema, che condurrebbe tuttavia, secondo lo stesso giudice a quo, a ritenere violati i principi costituzionali evocati, per la mancanza di una sanzione processuale che assista la fase della trasmissione all’autorità procedente dell’avviso della avvenuta presentazione della richiesta di riesame;

che peraltro, successivamente alla pronuncia dell’ordinanza di rimessione, le sezioni unite della stessa Corte di cassazione, cui la questione interpretativa era stata rimessa da un’altra sezione, hanno invece accolto, con la sentenza 18 gennaio 1999, n. 25, l’interpretazione adottata da questa Corte nella sentenza n. 232 del 1998, rilevando come essa sia stata esplicitamente dichiarata l’unica compatibile con i principi costituzionali, e sia stata adottata sulla base della consolidata premessa per cui, tra più possibili interpretazioni della norma, occorre dare la preferenza a quella conforme a Costituzione;

che pertanto, dopo la predetta pronuncia delle sezioni unite della Corte di cassazione, la controversia interpretativa sul dies a quo della decorrenza del termine per la trasmissione degli atti al tribunale del riesame può ritenersi, allo stato, risolta nel senso dell’accoglimento dell’interpretazione adottata da questa Corte, alla cui luce la questione ora nuovamente sollevata risulta manifestamente non fondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 309, commi 5 e 10, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli articoli 13 e 24 della Costituzione, dalla Corte di cassazione con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 giugno 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Valerio ONIDA, Redattore

Depositata in cancelleria il 23 giugno 1999.