ORDINANZA N. 236
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 63, comma 2, della legge 29 dicembre 1990, n. 428 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee - legge comunitaria per il 1990), promossi con due ordinanze emesse il 7 luglio 1998 dal Pretore di Padova nei procedimenti civili vertenti tra Luciano Belluco ed altra e Raffaella Bregolin e Ministero delle politiche agricole, iscritte ai nn. 685 e 686 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 1998.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 maggio 1999 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky.
Ritenuto che con due identiche ordinanze del 7 luglio 1998 il Pretore di Padova ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 63, comma 2, della legge 29 dicembre 1990, n. 428 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee - legge comunitaria per il 1990), in riferimento all’art. 3 della Costituzione;
che, ad avviso del rimettente, la norma impugnata, ricompresa nella più generale disposizione dell’art. 63 della legge n. 428 del 1990 che appresta gli strumenti sanzionatori connessi alla disciplina in tema di prelievo di corresponsabilità sui cereali (disciplina contenuta essenzialmente nel regolamento CEE n. 2727/75 del Consiglio del 29 ottobre 1975 e successive modifiche e integrazioni, e svolta in dettaglio dai decreti interministeriali 13 giugno 1989, n. 242 e 23 luglio 1990, n. 228), in quanto stabilisce una sanzione amministrativa pecuniaria di importo non inferiore a quattro e non superiore a venti (recte: quaranta) milioni di lire per i soggetti esonerati dall’obbligo del prelievo che omettono di informare, secondo i modi e i tempi prescritti dalla normativa, gli organi di controllo dell’attività svolta, sarebbe ingiustificatamente sfavorevole rispetto ad altre ipotesi considerate nello stesso art. 63;
che, in particolare, il giudice rimettente censura la norma per violazione del principio di uguaglianza, attraverso il raffronto a) da un lato, con la previsione del comma 1 dell’art. 63, che stabilisce la sanzione amministrativa da due a venti milioni di lire per chi, tenuto all’obbligo del prelievo, ometta di effettuarlo, e b) dall’altro, con la sanzione, risultante dal combinato disposto dei commi 3 e 4 del citato art. 63, stabilita per i soggetti, tenuti al prelievo, che lo acquisiscano ma che ne omettano il tempestivo versamento, effettuando tuttavia quest’ultimo entro il trentesimo giorno dalla scadenza prevista (sanzione amministrativa pecuniaria stabilita dal comma 3 tra dieci e duecento milioni di lire, ridotta di quattro volte ai sensi del comma 4);
che l’anzidetta duplice differenziazione appare al giudice a quo in contrasto con il principio costituzionale invocato, giacchè risulta più severamente sanzionato un comportamento illecito di carattere formale e concernente "fattispecie residuali e di apparente limitato interesse per il mercato", rispetto a condotte produttive di un effettivo danno per gli interessi finanziari dello Stato;
che alla stregua di tali rilievi il giudice rimettente prospetta il dubbio di costituzionalità del citato art. 63, comma 2, della legge n. 428 del 1990, "nella parte in cui prevede una sanzione determinata nel minimo in misura superiore all’art. 63, 1° comma, della legge medesima e, comunque, ove prevede una sanzione più elevata rispetto al combinato disposto di cui agli artt. 63, 3° comma, e 63, 4° comma";
che é intervenuto in entrambi i giudizi così promossi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per una declaratoria di inammissibilità o comunque di infondatezza delle questioni sollevate.
Considerato che le ordinanze sollevano, con identiche argomentazioni, la medesima questione, e che pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica pronuncia;
che le suddette ordinanze di rimessione non contengono alcun cenno circa la descrizione delle fattispecie concrete oggetto dei giudizi che il giudice rimettente é chiamato a decidere, limitandosi a prospettare una presunta censura di disarmonia tra la disposizione impugnata e quelle assunte a termini di raffronto;
che l’accennata lacuna espositiva non consente a questa Corte di valutare la rilevanza della questione sollevata;
che, ai fini del rilievo che precede, vale in particolare la considerazione che nell’ambito della stessa norma sottoposta al controllo di costituzionalità sono incluse due differenti ipotesi, in relazione ai diversi soggetti esonerati dall’obbligo del prelievo che in essa sono considerati (rispettivamente, le imprese di trasformazione di cereali per conto del produttore-utilizzatore, e i "piccoli produttori": v. gli artt. 2 e 12 del decreto ministeriale 13 giugno 1989, n. 242, cui la norma fa espresso rinvio) e inoltre che la successione delle fonti secondarie integrative della (oggi non più operante) normativa del regolamento comunitario (dapprima con l’abrogazione del decreto ministeriale n. 242 del 1989 a opera del decreto ministeriale n. 228 del 1990, e poi con la disposta "reviviscenza" del primo a causa del rinvio ricettizio ad esso da parte della norma impugnata: v. il decreto ministeriale 24 maggio 1991) presenta, ratione temporis, talune possibili cesure quanto all’efficacia della normativa nel tempo; considerazioni, queste, che rendono particolarmente stringente l’onere di fornire una adeguata motivazione sull’applicabilità della norma denunciata nei giudizi principali, e dunque sulla rilevanza del dubbio di costituzionalità sollevato;
che, essendo stato disatteso l’obbligo di fornire adeguata motivazione circa la rilevanza (art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87), la questione sollevata deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 63, comma 2, della legge 29 dicembre 1990, n. 428 ((Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee - legge comunitaria per il 1990), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Padova, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 1999.
Renato GRANATA, Presidente
Gustavo ZAGREBELSKY, Redattore
Depositata in cancelleria l’11 giugno 1999.