ORDINANZA N. 233
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 55 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CEE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), promosso con ordinanza emessa il 27 maggio 1998 dal Pretore di Roma, sezione distaccata di Tivoli, iscritta al n. 692 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 1998.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 28 aprile 1999 il Giudice relatore Valerio Onida.
Ritenuto che, con ordinanza emessa il 27 maggio 1998, pervenuta a questa Corte il successivo 7 settembre, il Pretore di Roma, sezione distaccata di Tivoli, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, primo e secondo comma, e 79 della Costituzione, dell’art. 55 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CEE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio);
che il remittente premette di trovarsi a giudicare, fra l’altro, su un’imputazione relativa a condotta già punita come contravvenzione dall’art. 25, primo comma, del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 (Attuazione delle direttive CEE n. 75/442 relativa ai rifiuti, n. 76/403 relativa allo smaltimento dei policlorodifenili e n. 78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi), riguardo alla quale, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 22 del 1997, si sarebbe verificata una ipotesi di successione di leggi penali disciplinata in generale dall’art. 2 del codice penale;
che peraltro, secondo il giudice a quo, esso dovrebbe fare applicazione dell’art. 55, comma 3, del predetto d.lgs. n. 22 del 1997, a norma del quale "per i procedimenti penali pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto l’autorità giudiziaria, se non deve pronunziare decreto di archiviazione o sentenza di proscioglimento, dispone la trasmissione degli atti agli enti indicati al comma 1 [Provincia o Comune] ai fini dell’applicazione delle sanzioni amministrative", disposizione che, a suo avviso, non si applicherebbe solo ai casi di abolitio criminis, ma anche a quelli di riformulazione della fattispecie, pur sempre penalmente rilevante, o di nuova determinazione della sanzione penale, come si evincerebbe dal riferimento a procedimenti penali suscettibili di definizione nel merito con sentenza di proscioglimento, e dal fatto che altrimenti la norma sarebbe inutile, in quanto non farebbe che dichiarare effetti già desumibili dalle norme generali sulla successione di leggi penali nel tempo;
che, ad avviso del remittente, detta disposizione, in forza della quale il giudice, non sussistendo i presupposti per il proscioglimento o l’archiviazione, dovrebbe limitarsi ad una pronuncia di sostanziale "non liquet", trasmettendo gli atti all’autorità amministrativa, introdurrebbe di fatto, surrettiziamente, una "forma sui generis di amnistia generalizzata", al di fuori dei presupposti di competenza e di procedimento stabiliti dall'art. 79 della Costituzione, che risulterebbe così violato;
che, inoltre, sempre ad avviso del remittente, il richiamo testuale ai "procedimenti penali", interpretabile nel senso che ci si riferisca solo ai giudizi ancora pendenti nella fase delle indagini preliminari, darebbe luogo ad un ulteriore dubbio di costituzionalità, per violazione dell’art. 3, primo e secondo comma, della Costituzione, in quanto identiche fattispecie, anche quanto al tempo di consumazione, riceverebbero diverso trattamento in dipendenza del fatto casuale che si sia o meno superata la fase delle indagini preliminari, il che manifesterebbe un vizio di palese arbitrarietà e disuguaglianza immotivata di trattamento di casi uguali;
che, a dire del giudice a quo, la questione prospettata sarebbe rilevante perchè il giudice sarebbe chiamato a fare applicazione del citato art. 55, comma 3, sul presupposto che esso si riferisca ai procedimenti penali in genere, anche dunque a quelli pervenuti nella fase strettamente processuale, mentre, in diversa ipotesi, l’esclusione della sua applicazione nella fase processuale costituisce proprio l’oggetto di una delle specifiche doglianze mosse con la proposizione della questione medesima;
che é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per l’infondatezza della questione, sul rilievo che l’art. 55 del d.lgs. n. 22 del 1997 fu introdotto per evitare gli effetti altrimenti derivanti dalla depenalizzazione di talune fattispecie se non accompagnata dalla previsione di una disciplina transitoria, e cioé per evitare che le condotte depenalizzate, tenute nel vigore della legge precedente, non possano essere punite come illeciti amministrativi.
Considerato che il remittente afferma di dover giudicare su una condotta costituente ancora reato, in ordine alla quale assume essersi verificata una successione di leggi penali nel tempo, ma non indica quale sia la norma sopravvenuta (presumibilmente contenuta nello stesso decreto legislativo n. 22 del 1997) che prevede tuttora come reato detta condotta: il che configura già un difetto di motivazione sulla rilevanza;
che, in ogni modo, il giudice a quo incorre in un manifesto equivoco là dove attribuisce alla disposizione impugnata - dettata nell’ambito dell’art. 55 del decreto legislativo, con chiaro ed univoco riferimento alle ipotesi di depenalizzazione di condotte in precedenza costituenti reato, e oggi trasformate in illeciti amministrativi - il significato di imporre al giudice, qualora non pervenga ad un provvedimento di archiviazione o a una pronuncia di proscioglimento, di trasmettere gli atti all’autorità amministrativa anche nelle ipotesi nelle quali il fatto contestato non costituisca oggi illecito amministrativo, ma sia tuttora previsto come reato;
che a tale interpretazione, manifestamente erronea ed irragionevole, prospettata dal remittente non dà alcun conforto il riferimento della norma a eventuali provvedimenti di archiviazione o pronunce di proscioglimento adottati dal giudice penale, previsione con la quale il legislatore ha, all’evidenza, voluto evitare la rimessione all’autorità amministrativa di contestazioni di illeciti depenalizzati non aventi consistenza in linea di fatto, mentre negli altri casi la norma assolve alla funzione di regolare in via transitoria la successione fra la norma penale e quella che configura l’illecito amministrativo, evitando che condotte, tenute nel vigore della norma incriminatrice, e successivamente depenalizzate, risultino prive di ogni sanzione;
che pertanto in nessun modo si può sostenere l’applicabilità della disposizione impugnata in ipotesi - come quella che secondo il remittente ricorrerebbe nella specie - di successione di norme entrambe incriminatrici, onde difetta palesemente la rilevanza della questione sollevata;
che, per di più, il giudice a quo solleva una questione in parte contraddittoria, perchè, da un lato, assume l’illegittimità della norma impugnata per contrasto con l’art. 79 della Costituzione; dall’altro lato, evocando l’art. 3 della Costituzione sul presupposto che il richiamo testuale ai "procedimenti penali" comporti irrragionevolmente l’applicabilità della stessa ai soli procedimenti nella fase delle indagini, sembra chiederne l’estensione ai procedimenti, come quello avanti ad esso pendente, prevenuti alla fase del dibattimento;
che dunque, sotto molteplici profili, e principalmente per difetto assoluto di rilevanza, la questione sollevata si appalesa manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 55 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CEE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), sollevata, in riferimento agli articoli 3, primo e secondo comma, e 79 della Costituzione, dal Pretore di Roma, sezione distaccata di Tivoli, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 1999.
Renato GRANATA, Presidente
Valerio ONIDA, Redattore
Depositata in cancelleria l’11 giugno 1999.