ORDINANZA N. 164
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 57 e 58, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), promossi con ordinanze emesse il 4 giugno 1997 dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, seconda sezione, ed il 19 giugno 1998 (n.2 ordinanze) dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, rispettivamente iscritte al n. 845 del registro ordinanze 1997 ed ai nn. 761 e 762 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50 prima serie speciale dell'anno 1997 e n. 42 prima serie speciale dell'anno 1998.
Visto l'atto di costituzione del Comune di Montebelluna nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 13 aprile 1999 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;
udito l'Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio instaurato da un dipendente del Comune di Montebelluna per l’annullamento, previa sospensione, del provvedimento di rigetto della domanda di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, seconda sezione, con ordinanza del 4 giugno 1997, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 57 e 58, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), in riferimento agli articoli 3, 5, 39, 97 e 128 della Costituzione, e che detta norma, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, é stata altresì impugnata dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, con due ordinanze in data 19 giugno 1998, di contenuto sostanzialmente identico, pronunziate nel corso di altrettanti giudizi promossi da due psicologhe, dirigenti di primo livello dell'Azienda sanitaria locale (ASL) della provincia di Bergamo, per l’annullamento, previa sospensione, degli atti di rigetto delle domande di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale;
che, secondo le ordinanze di rimessione, le disposizioni impugnate, stabilendo che <<il rapporto di lavoro a tempo parziale può essere costituito relativamente a tutti i profili professionali appartenenti alle varie qualifiche o livelli dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ad esclusione del personale militare, di quello delle Forze di Polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco>> (art. 1, comma 57) e prevedendo le modalità della trasformazione del rapporto, configurerebbero <<un diritto ovvero una facoltà>> del dipendente alla trasformazione del rapporto, senza tenere conto delle esigenze delle pubbliche amministrazioni;
che, ad avviso di entrambi i Tar, la disciplina della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale non sarebbe ragionevole, in quanto potrebbe determinare un’improvvisa riduzione del personale occorrente per garantire la funzionalità dei servizi e, in violazione del principio di buon andamento, priverebbe la pubblica amministrazione del potere di direzione e di pianificazione dell’organizzazione dei propri uffici, non permettendole di preordinare le misure necessarie ad evitare le eventuali disfunzioni derivanti dall’incentivazione del rapporto di lavoro part-time, in contrasto con lo scopo di razionalizzazione, ammodernamento e responsabilizzazione avuti di mira dalla più recente legislazione sul pubblico impiego;
che, secondo i giudici a quibus, la pubblica amministrazione <<viene a trovarsi in balìa dei propri dipendenti>> e, inoltre, le norme impugnate potrebbero determinare situazioni irragionevoli e potenzialmente discriminatorie, in difetto della previsione di un potere di verifica delle situazioni personali e/o di servizio;
che, secondo il Tar per il Veneto, le norme denunciate violerebbero altresì sia l'autonomia organizzativa degli enti locali, sia quella loro attribuita in sede di contrattazione collettiva, entrambe costituzionalmente garantite (artt. 5, 39 e 128 della Costituzione);
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, é intervenuto in tutti e tre i giudizi con distinti atti, di contenuto pressochè identico, eccependo l’infondatezza della questione;
che, secondo la difesa erariale, la disciplina del part-time costituisce parte di un più ampio disegno di riforma del pubblico impiego, diretto a ridurre la spesa pubblica, e, quindi, le norme denunciate possono costituire oggetto del sindacato di legittimità costituzionale soltanto sotto il profilo della ragionevolezza;
che, ad avviso dell’interveniente, nel giudizio di ragionevolezza assumerebbero pregnante importanza le disposizioni secondo le quali: gli organici del personale sono costituiti anche da dipendenti il cui numero complessivo é quantificato avendo riguardo al limite complessivo del monte ore lavorative; possono essere banditi concorsi per posti part-time; per taluni settori non é consentito l’accesso indiscriminato a tale tipo di rapporto; il contingente del personale che può essere destinato al tempo parziale non può superare il limite del venticinque per cento dell’organico complessivo ed é possibile ovviare alle eventuali carenze di organico sia mediante il ricorso ai processi di mobilità, sia utilizzando i risparmi di spesa per nuove assunzioni, in quanto esse dimostrerebbero che é stato definito un sistema rispettoso dei principi costituzionali che si assumono lesi;
che, secondo l’Avvocatura, la censura riferita agli artt. 5 e 128 della Costituzione é infondata, in quanto l’autonomia organizzativa degli enti locali deve svolgersi e realizzarsi compatibilmente con gli interessi della intera comunità nazionale, quindi anche con quello al risanamento della finanza pubblica;
che, nel giudizio sollevato dal Tar per il Veneto, si é costituito il Comune di Montebelluna, convenuto nel processo principale, svolgendo argomentazioni a conforto delle censure ed eccependo che le disposizioni impugnate pregiudicherebbero il conseguimento degli scopi istituzionali da parte delle pubbliche amministrazioni, soprattutto dei comuni di dimensioni medie o piccole, anche in considerazione del complessivo quadro normativo nel quale esse si inseriscono;
che, ad avviso della parte, le modifiche introdotte successivamente all’ordinanza di rimessione (art. 39, commi 25, 26 e 27, della legge 27 dicembre 1997, n. 449; art. 31, comma 41, della legge 23 dicembre 1998, n. 448) <<hanno l’indubbio merito di tradurre positivamente le doglianze>> sollevate dagli enti locali territoriali, ma conforterebbero i dubbi di legittimità delle norme impugnate, nonostante sia possibile sostenere che l’art. 1, comma 65, della legge n. 662 del 1996 stabilisca l’inapplicabilità dei commi 58 e 59 sia agli enti locali che versano in una situazione deficitaria, sia a quelli che hanno una pianta organica inferiore a cinque unità, e ritenere applicabile la nuova disciplina soltanto successivamente alla <<determinazione dei contingenti dei rapporti di lavoro in relazione ai quali ammettere l’accesso al tempo parziale>>, offrendo in tal modo un’interpretazione che rende le norme immuni dalle censure di legittimità costituzionale.
Considerato che i giudizi hanno ad oggetto le stesse norme, in riferimento a parametri in parte coincidenti, sicchè essi vanno riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia;
che, successivamente alla proposizione da parte del Tar per il Veneto della questione di legittimità costituzionale, sono entrati in vigore: l’art. 39, comma 27, della legge n. 449 del 1997 il quale stabilisce che <<le disposizioni dell’art. 1, commi 58 e 59, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, in materia di rapporto di lavoro a tempo parziale si applicano al personale delle regioni e degli enti locali finchè non diversamente disposto da ciascun ente con proprio atto normativo>>; gli artt. 36, comma 7, e 36-bis, del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 (nel testo modificato dal d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80), i quali, rispettivamente, hanno introdotto la facoltà per le pubbliche amministrazioni di avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa ed hanno previsto che il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi degli enti locali disciplina le dotazioni organiche e le modalità di assunzione degli impieghi; l’art. 8, comma 1, lettera i), del d.lgs. 4 novembre 1997, n. 396, che ha previsto la possibilità di forme sperimentali di contrattazione collettiva, in deroga alle previgenti disposizioni sulla contrattazione collettiva decentrata, anche in ordine all’articolazione flessibile dell’orario di lavoro ed alla diffusione del part-time;
che, in data posteriore a tutte le ordinanze di rimessione, sono entrati in vigore: l’art. 31, comma 41, della legge n. 448 del 1998, secondo il quale <<per quanto riguarda il lavoro a tempo parziale la contrattazione collettiva può individuare particolari modalità applicative, anche prevedendo una riduzione delle percentuali previste per la generalità dei casi e l’esclusione di determinate figure professionali che siano ritenute particolarmente necessarie per la funzionalità dei servizi>>; l’art. 4, della legge 16 giugno 1998, n. 191 che, allo scopo di garantire l’impiego flessibile delle risorse umane, ha previsto che le pubbliche amministrazioni possono avvalersi di forme di lavoro a distanza (cd. telelavoro);
che siffatte disposizioni, sopravvenute alle ordinanze di rimessione, hanno ridefinito la disciplina del rapporto di lavoro a tempo parziale, hanno introdotto nuovi tipi di rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni e nuovi schemi organizzativi, sicchè hanno innovato il complessivo quadro normativo di riferimento;
che si palesa, pertanto, indispensabile il riesame, a cura dei giudici a quibus, della rilevanza delle questioni alla luce delle modificazioni normative sopravvenute.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
ordina la restituzione degli atti al Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, seconda sezione, ed al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia.
Così’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 aprile 1999.
Renato GRANATA, Presidente
Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore
Depositata in cancelleria il 10 maggio 1999.