ORDINANZA N.158
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 14 e 105 del regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038 (Regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti), promossi con cinque ordinanze emesse l’8 ottobre 1997, il 17 aprile, il 6 marzo e, quanto a due di esse, il 3 aprile 1998, dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana, rispettivamente iscritte ai nn. 367, 528, 656, 732 e 854 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 22, 29, 39, 41 e 48, prima serie speciale, dell’anno 1998.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1999 il Giudice relatore Massimo Vari.
Ritenuto che la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana, giudicando in sede di rinvio da parte delle Sezioni centrali di appello, ha sollevato - con più ordinanze, di analogo contenuto, emesse in data 8 ottobre 1997 (R.O. n. 367 del 1998), 6 marzo 1998 (R.O. n. 656 del 1998), 3 aprile 1998 (R.O. nn. 732 ed 854 del 1998) e 17 aprile 1998 (R.O. n. 528 del 1998) — questione di legittimità costituzionale dell'art. 105 del regio decreto 15 agosto 1933, n. 1038 (Regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti);
che, secondo talune delle ordinanze (R.O. nn. 367, 528, 656 e 732 del 1998), il predetto art. 105, giusta l’interpretazione accolta dal c.d. "diritto vivente" - nel senso che la pronunzia del giudice di appello può essere limitata alle questioni pregiudiziali oppure investire in tutto o in parte il merito, a prescindere dall’esistenza di una questione pregiudiziale - si porrebbe in contrasto con:
- l'art. 101, secondo comma, della Costituzione, che garantisce la libertà e l'indipendenza del giudice vincolando la sua attività soltanto alla legge, in quanto la disposizione denunciata, nella interpretazione di cui sopra, consentendo al giudice d'appello di trattare anche solo una parte del merito e, quindi, di rinviare gli atti al giudice di primo grado per la definizione del giudizio, determinerebbe un assoggettamento di quest'ultimo alle statuizioni del primo tanto marcato da limitare la formazione ed espressione del suo libero convincimento per la definizione della causa;
che, secondo l’ordinanza di cui al R.O. n. 732 del 1998, sarebbe violato, altresì, il principio di ragionevolezza, poichè il riconoscimento in capo al giudice di appello del potere di scegliere discrezionalmente i casi in cui non definire la controversia esporrebbe al rischio sia di un'infinita duplicazione del primo e del secondo grado di giudizio, sia dell'esame della stessa controversia più volte da parte di giudici dello stesso grado;
che, inoltre, l'ordinanza di cui al R.O.. n. 854 del 1998 denuncia la disposizione in parola, per contrasto con l'art. 101, secondo comma, della Costituzione, sotto profili analoghi a quelli sopra accennati, con specifico riferimento alla sua applicazione nel contenzioso pensionistico, avuto riguardo alla costante interpretazione delle Sezioni centrali di appello della Corte dei conti, secondo la quale la cognizione delle Sezioni stesse sarebbe limitata "al giudizio rescindente rimettendo la decisione nel merito al giudice di primo grado";
che l'ordinanza di cui al R.O. n. 656 del 1998 denuncia, altresì, in via subordinata, l'art. 14 del medesimo regio decreto n. 1038 del 1933, e cioé la disposizione che disciplina il c.d. "potere sindacatorio" del collegio giudicante, assumendo che tale disposizione si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui comporterebbe, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte dei conti, l'attribuzione al giudice di una potestà di ricerca autonoma e piena delle fonti materiali di prova, e non solo di integrazione degli elementi offerti dall'attore (e cioé dal procuratore regionale);
che, a tal proposito, il rimettente - nel far presente che, nel caso al suo esame, la Sezione centrale di appello ha annullato la sentenza di primo grado, avendo rilevato "l’assenza di soddisfacenti elementi di prova dei fatti a fondamento della domanda" e "condizionando la definizione del giudizio all’esperimento dei dovuti accertamenti istruttori" - sostiene che la sopra menzionata giurisprudenza, superando il diverso orientamento espresso in passato, ha attribuito alla c.d. sindacatorietà portata tale da consentire al giudice di determinare autonomamente l’oggetto del giudizio, individuare i soggetti responsabili ed acquisire gli elementi di prova a sostegno della domanda;
che, ad avviso del giudice a quo, tale interpretazione consolidata darebbe luogo ad una rilevante modifica della realtà processuale, in contrasto con il principio di imparzialità ed indipendenza del giudice, oltre che con il principio di tutela delle parti, con violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione, anche a causa dell’ingiustificata posizione di privilegio processuale riconosciuta al P.M., tale da esonerarlo dall'onere di provare la domanda;
che nei giudizi di cui al R.O. nn. 367, 528, 656 e 732 del 1998 é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza delle questioni.
Considerato che i giudizi, attenendo a questioni analoghe o connesse, possono essere riuniti per essere decisi con un'unica pronunzia;
che la questione concernente l'art. 105 del regio decreto 15 agosto 1933, n. 1038, é da reputare manifestamente inammissibile, in quanto detta disposizione - nel prevedere che il giudice di appello possa limitarsi a conoscere delle questioni pregiudiziali ovvero estendere al merito il suo giudizio, quando su quest'ultimo si sia pronunziata la sentenza di primo grado - definisce, come é evidente, l’ambito di cognizione affidato al medesimo giudice, trovando, perciò, in detta sede la sua applicazione;
che, per contro, come questa Corte ha già affermato, per potersi ravvisare il requisito della rilevanza in concreto della questione proposta, é necessario che la norma impugnata sia applicabile nel giudizio a quo, e non, come nella specie, in una fase processuale precedente;
che, a riprova di ciò, sta la circostanza che la decisione assunta in quest'ultima fase non sarebbe certamente resa inefficace da una eventuale pronunzia di incostituzionalità riguardante, nei termini sollecitati dai rimettenti, il predetto art. 105;
che, a ritenere il contrario, si consentirebbe al giudice a quo di avvalersi del giudizio di costituzionalità quale strumento per pervenire alla caducazione di una decisione cui non intende adeguarsi, utilizzando, in definitiva, il sindacato incidentale come un surrettizio mezzo di impugnazione (da ultimo, sentenza n. 375 del 1996);
che, del pari, manifestamente inammissibile va considerata la questione di costituzionalità dell'art. 14 del regio decreto n. 1038 del 1933, per difetto di motivazione in punto di rilevanza, non avendo il rimettente chiarito quale sia, nella fattispecie, l’ipotesi applicativa di tale disposizione, tra quelle reputate contra Constitutionem, alla quale egli é necessariamente tenuto a far ricorso; e ciò tanto più che l’esigenza di una interpretazione esorbitante, tale, cioé, da postulare un esercizio di poteri istruttori con l’ampiezza di modalità censurate dall'ordinanza di rimessione, non sembra in alcun modo imposta dalla sentenza di rinvio, al di là, come emerge anche dall’ordinanza stessa, di una generica prospettazione della necessità dell’esperimento dei dovuti accertamenti istruttori.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara:
- la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 105 del regio decreto 15 agosto 1933, n. 1038 (Regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti), sollevata dalla Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana, in riferimento all'art. 101, secondo comma, della Costituzione, con le ordinanze di cui al R.O. nn. 367, 528, 656, 732 e 854 del 1998 ed, altresì, al principio di ragionevolezza con l'ordinanza di cui al R.O. n. 732 del 1998;
- la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 del medesimo regio decreto, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla stessa Sezione, con l’ordinanza di cui al R.O. n. 656 del 1998.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 aprile 1999.
Renato GRANATA, Presidente
Massimo VARI, Redattore
Depositata in cancelleria il 10 maggio 1999.