ORDINANZA N. 157
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 41 del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni amministrative e penali), promosso con ordinanza emessa il 20 febbraio 1997 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bolzano, iscritta al n. 614 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1997.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 27 gennaio 1999 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.
Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bolzano – in sede di udienza preliminare nel procedimento a carico di una persona trovata in possesso di un "alambicco rudimentale" e di otto litri di liquido "presumibilmente grappa", e per ciò imputata del reato di cui all'art. 41 del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni amministrative e penali), per aver fabbricato illegalmente otto litri di grappa – prima di pronunciarsi sulla istanza di patteggiamento avanzata dall'imputata, con ordinanza in data 20 febbraio 1997, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale della citata disposizione, nella parte in cui punisce la fabbricazione clandestina di alcole o di bevande alcoliche con la pena minima di sei mesi di reclusione e di lire quindici milioni di multa;
che, ad avviso del giudice a quo, il legislatore, con la previsione di sanzioni minime così elevate, sembrerebbe non aver tenuto conto "della realtà sociale del fenomeno disciplinato, delle concrete limitate dimensioni dei singoli casi, della inferiorità economica delle persone che distillano (in genere modesti agricoltori), delle tradizioni agricole e domestiche di alcune zone d'Italia, della mancanza di disvalore della condotta sanzionata", essendo notorio che la grappa e altri distillati verrebbero prodotti anche dai contadini per uso domestico in piccoli quantitativi ed essendo comprensibile che i contadini stessi non ritengano di doversi assoggettare ai gravosi adempimenti imposti da una legge che finirebbe con l'essere percepita come una imposizione puramente vessatoria;
che, comunque, la sanzione prevista dalla disposizione censurata, che punisce la fabbricazione clandestina di alcole con la pena della reclusione da sei mesi a tre anni e della multa dal doppio al decuplo dell'imposta evasa, non inferiore in ogni caso a lire quindici milioni, risulterebbe del tutto sproporzionata rispetto alla gravità della condotta e alla funzione della pena (nel caso di specie, a fronte di accise evase per lire 100.000, l'imputata dovrebbe essere condannata quantomeno alla pena di sei mesi di reclusione e lire quindici milioni di multa), e violerebbe, di conseguenza, gli indicati parametri costituzionali, sia sotto il profilo dell'irragionevole uso della discrezionalità legislativa, sia sotto il profilo dell'assoggettamento al medesimo trattamento sanzionatorio dell'uso di alambicchi di differente portata;
che é intervenuto nel presente giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata, apparendo tutt'altro che ingiustificato il rigore cui é ispirata la disposizione sanzionatoria impugnata;
che, infatti, ad avviso dell'Avvocatura, poichè la distillazione clandestina sarebbe attività particolarmente pericolosa dal punto di vista fiscale, tenuto conto dell'elevato livello dell'accisa sugli alcoli, della facile occultabilità dei prodotti della distillazione e della assoluta irrilevanza sotto il profilo della capacità produttiva delle dimensioni dell'apparecchio utilizzato, il potere di graduazione della pena sarebbe stato esercitato dal legislatore non irragionevolmente.
Considerato che l'articolo 41 del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, contiene una descrizione assai analitica delle parti dell'apparecchio di produzione rilevanti ai fini della prova della fabbricazione clandestina di alcoli, individuando come tali la caldaia per la distillazione, il recipiente di raccolta delle flemme, lo scaldavino, il deflemmatore e il refrigerante;
che il remittente ritiene integrata la previsione normativa con il rinvenimento presso l'imputata di otto litri di un liquido "presumibilmente grappa" e di un "alambicco rudimentale";
che, poichè il termine alambicco non compare nella disposizione legislativa nella quale sono invece descritte dettagliatamente le componenti dell'apparecchio, l'aggettivo rudimentale usato dal remittente genera, in sede di controllo della rilevanza della questione, spettante a questa Corte, il dubbio che l'oggetto rinvenuto presso l'imputata sia effettivamente riconducibile a quelli indicati nel censurato articolo 41 ai fini della prova del reato di fabbricazione clandestina di alcole e di bevande alcoliche;
che, in presenza di una così modesta quantità di liquido rinvenuto, si impone una più circostanziata descrizione della fattispecie che renda immediatamente evidente la rilevanza della questione;
che non può dirsi bastevole a tal fine il proposito dell'imputata, riferito dal remittente, di chiedere l'applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., posto che tale richiesta non integra quella più puntuale definizione della fattispecie necessaria all'individuazione della rilevanza della questione di legittimità costituzionale;
che, pertanto, la sollevata questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 41 del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni amministrative e penali), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bolzano con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 aprile 1999.
Renato GRANATA, Presidente
Carlo MEZZANOTTE, Redattore
Depositata in cancelleria il 10 maggio 1999.