Ordinanza n. 123/99

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N.123

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA         

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI    

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace); degli artt. 51, secondo comma, e 52 del codice di procedura civile e dell'art. 78 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 20 aprile 1998 dal Giudice di pace di Imola nel procedimento civile vertente tra la Ditta C.E.J. e la Ditta Elettro C.F. s.r.l., iscritta al n. 411 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 1998.

  Udito nella camera di consiglio del 27 gennaio 1999 il Giudice relatore Fernanda Contri.

  Ritenuto che nel corso di un procedimento civile il Giudice di pace di Imola, dopo aver chiesto al capo dell’ufficio l’autorizzazione ad astenersi ed a seguito del relativo diniego, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, secondo comma, 101, secondo comma e 107, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale, in via gradata:

  A) dell’art. 10 della legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace), soprattutto riguardo alla decisione secondo equità;

  a) "nella parte in cui, prescrivendo che il giudice di pace é tenuto all’osservanza dei doveri previsti per i magistrati ordinari, e quindi all’osservanza dei doveri di cui all’art. 51, comma 2, cpc, prevede e attribuisce al capo dell’ufficio il potere di emettere provvedimento di rigetto della richiesta dell’autorizzazione di astensione anche nel caso in cui la grave ragione di convenienza, valutata sussistente dal giudice istante, riguarda il difetto o il pericolo di imparzialità";

  b) "nella parte in cui non prevede il (riconosciuto) diritto del giudice di pace di astenersi (per obbedire alla coscienza), nel caso in cui questi valuta sussistente il difetto o il pericolo di imparzialità";

  B) degli artt. 51, secondo comma, del codice di procedura civile e 78 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, soprattutto riguardo alla decisione secondo equità:

  a) "nella parte in cui prevedono e attribuiscono al capo dell’ufficio il potere di emettere provvedimento di rigetto della richiesta di autorizzazione all’astensione, anche nel caso in cui la grave ragione di convenienza, valutata sussistente dal giudice istante, riguarda il difetto o il pericolo di imparzialità";

  b) "nella parte in cui non prevedono il (riconosciuto) diritto del giudice di pace di astenersi (per obbedire alla coscienza), nel caso in cui questi valuta sussistente il difetto o il pericolo di imparzialità";

  C) dell’art. 52 del codice di procedura civile, soprattutto riguardo alla decisione secondo equità, nella parte in cui non prevede che ciascuna delle parti, alle quali dovrebbe essere notificato il provvedimento di diniego dell’autorizzazione all’astensione riguardo all’istanza del giudice che ha valutato sussistente il difetto o pericolo di imparzialità, possa proporre ricusazione del giudice mediante ricorso, contenente i motivi specifici e i mezzi di prova, da depositarsi in cancelleria due giorni dopo la notifica;

  che, ad avviso del rimettente, le garanzie di imparzialità e terzietà del giudice dovrebbero essere assicurate anche nei casi di astensione facoltativa, allorchè sia lo stesso giudice a dichiarare di essere privo della necessaria serenità di giudizio;

  che le ipotesi in cui il giudice valuti e dichiari sussistente il difetto o il pericolo di imparzialità non sono invece contemplate nè dall’art. 10 della legge istitutiva del giudice di pace, nè tra i casi tassativi di astensione obbligatoria, di cui all’art. 51 cod. proc. civ., con la conseguenza che nell’ipotesi di rigetto dell’istanza di astensione, avanzata per gli indicati motivi, il giudice avrebbe comunque il dovere di definire il giudizio, violando in tal modo i principi costituzionali del "giusto processo", nei quali é insita l’esigenza di imparzialità e di terzietà del giudice;

  che la disposizione di cui all’art. 51, secondo comma, cod. proc. civ. si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, poichè essa affida l’accertamento della sussistenza del difetto di imparzialità al capo dell’ufficio sotto un profilo, quello soggettivo-interiore, che sfugge alla sua cognizione;

  che la indicata norma violerebbe, inoltre, i principi costituzionali del giusto processo, in quanto il provvedimento di diniego dell’autorizzazione ad astenersi non costituisce un mezzo efficace per "ridare al giudice l’imparzialità ovvero per vincere effettivamente la forza della prevenzione";

  che tra i diritti inviolabili riconosciuti e garantiti dall’art. 2 della Costituzione vi é anche quello "di essere, di sentirsi uomo giusto" e tali diritti sarebbero gravemente lesi dalle norme che non consentono al giudice di astenersi, quando egli ritenga di non essere imparziale;

  che le disposizioni disciplinanti l’astensione si porrebbero inoltre in contrasto con gli artt. 101, secondo comma, e 107, terzo comma, della Costituzione, in quanto il fine di tali norme costituzionali é quello di garantire ai giudici una assoluta autonomia di giudizio e di sottrarli a rapporti di tipo gerarchico, che potrebbero pregiudicare tale autonomia;

  che il provvedimento di diniego dell’autorizzazione ad astenersi, pur avendo natura amministrativa, interferisce invece nell’ambito della funzione giurisdizionale, perchè statuisce circa la sussistenza di uno dei presupposti processuali del giusto processo e prevale sulle determinazioni giurisdizionali già adottate;

  che sussisterebbe, infine, violazione del diritto di azione e di difesa, in quanto il procedimento relativo all’astensione facoltativa é configurato come un procedimento interno di carattere amministrativo, cui restano estranee le parti, le quali non possono proporre ricusazione e non hanno quindi modo di evitare il concreto pericolo di una sentenza ingiusta, non essendo nemmeno poste in condizione di conoscere la "situazione di pregiudizievole sofferenza" in cui si trova il giudice, che, pur avendo denunciato il pericolo di imparzialità, deve provvedere alla definizione del giudizio;

  che risulterebbe quindi irragionevole attribuire alle parti il potere di ricusazione del giudice nei casi di presunta parzialità di cui all’art. 51, primo comma, cod. proc. civ., e non attribuirlo, invece, nel caso di dichiarato, concreto ed effettivo pericolo di parzialità.

  Considerato che il rimettente censura le norme che attribuiscono al capo dell’ufficio il potere di emettere un provvedimento di diniego della richiesta di astensione, anche quando la grave ragione di convenienza riguardi il difetto o il pericolo di imparzialità, e che non prevedono il diritto del giudice di astenersi, nè la possibilità per le parti di ricusare il giudice che non sia stato autorizzato ad astenersi;

  che in definitiva il rimettente vorrebbe che l’astensione "facoltativa", di cui all’ultimo comma dell’art. 51 cod. proc. civ., fosse configurata come un diritto insindacabile del giudice;

  che le questioni sono manifestamente infondate;

  che l’istituto dell’astensione del giudice, pur finalizzato alla concreta attuazione del principio di imparzialità, costituisce tuttavia una deroga al dovere di ius dicere, che il magistrato assume entrando a far parte dell’ordine giudiziario;

  che pertanto le ipotesi in cui il giudice é esonerato da tale dovere, in quanto eccezionali, sono tipiche e tassativamente predeterminate dal legislatore, senza alcun margine di discrezionalità;

  che oltre ai casi tipici nei quali é già espressa la valutazione dell’esistenza di un pregiudizio alla imparzialità dell’organo giudicante, il legislatore ha considerato anche il possibile verificarsi di situazioni che rendono opportuna l’astensione del giudice in presenza di "gravi ragioni di convenienza";

  che la espressione formulata dal legislatore in termini necessariamente generici, stante la varietà delle ipotesi possibili, comporta in sede applicativa la valutazione in concreto della ricorrenza di una grave ragione idonea a determinare l’astensione del giudice;

   che del tutto ragionevolmente il legislatore ha rimesso il controllo in ordine a tale valutazione ad un soggetto diverso dall’interessato, e ciò sia per impedire arbitrarie astensioni allorchè difettino i relativi presupposti, sia per consentire un giudizio più obiettivo e distaccato sulla opportunità che il giudice sia esonerato dall’obbligo di decidere;

  che, come ha già affermato questa Corte, il provvedimento del capo dell’ufficio "riveste un carattere meramente ordinatorio in quanto espressione della facoltà di distribuzione del lavoro e, più in generale, della potestà direttiva" (ordinanza n. 35 del 1988), sì che al relativo procedimento restano necessariamente estranee le parti del giudizio nel corso del quale viene richiesta l’autorizzazione all’astensione;

  che la tutela delle dette parti si realizza efficacemente attraverso l’attribuzione ad esse del potere di ricusazione del giudice nei casi tassativamente previsti.      

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace), degli artt. 51, secondo comma, del codice di procedura civile e 78 delle disposizioni di attuazione del medesimo codice, e dell’art. 52 del codice di procedura civile, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, secondo comma, 101, secondo comma e 107, terzo comma, della Costituzione, dal Giudice di pace di Imola con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 aprile 1999.

Renato GRANATA, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 16 aprile 1999.