ORDINANZA N. 112
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1 e 3 della legge 12 febbraio 1955, n. 77 (Pubblicazione degli elenchi dei protesti cambiari), promosso con ordinanza emessa il 4 aprile 1988 dal Pretore di Torino nel procedimento civile Rapali Enrico contro Camera di Commercio di Torino ed altro iscritta al n. 451 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell’anno 1998.
Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1999 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.
Ritenuto che il Pretore di Torino, nell’ambito di un giudizio promosso per ottenere l’emissione di un provvedimento d’urgenza ex art. 700 cod. proc. civ. – che impedisse la pubblicazione del protesto levato relativamente ad un assegno bancario tratto sull’Istituto Bancario San Paolo di Torino, che era stato presentato all’incasso alterato in varie parti, sì che l’Istituto ne aveva rilevati il furto e la contraffazione – ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1 e 3 della legge 12 febbraio 1955, n. 77 (Pubblicazione degli elenchi dei protesti cambiari), nella parte in cui si prevede la pubblicazione dei protesti legittimamente levati di assegni bancari, anche se relativi ad ipotesi in cui fosse legittimo il rifiuto del pagamento da parte del soggetto protestato, e contestualmente ha emesso un provvedimento urgente diretto ad impedire la pubblicazione del protesto per cui é causa durante la sospensione del giudizio principale per l’incidente di costituzionalità;
che, secondo il Pretore, in fattispecie come quella sottoposta al suo esame non può dirsi illegittima la levata del protesto, dato che esso non é altro che la constatazione, con atto autentico, del rifiuto del pagamento e serve unicamente per poter esercitare l’azione di regresso e dato che la legge sugli assegni non prevede alcuna ipotesi in cui sia possibile evitare il protesto in funzione delle eccezioni proposte dal debitore;
che, pertanto, salvo che in ipotesi residuali (e cioé qualora vengano in rilievo delle fattispecie riconducibili alla illegittimità o alla erroneità della levata dello stesso), non sarebbe ammissibile la richiesta di non pubblicare un protesto correttamente levato, al contrario di quanto sostengono la Corte di cassazione e numerosi giudici di merito, secondo i quali, nelle ipotesi in cui il portatore non poteva legittimamente richiedere il pagamento al debitore cartolare, la stessa levata del protesto sarebbe illegittima;
che, in realtà, ciò che risulta idoneo ad arrecare un pregiudizio al debitore cartolare, che abbia fondate eccezioni da opporre al portatore del titolo, non sarebbe tanto la levata del protesto, quanto la sua pubblicazione nel relativo bollettino che, nella coscienza comune e nella considerazione sociale, "suona quasi come un marchio di inaffidabilità dei soggetti interessati";
che, pertanto, il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1 e 3 della legge n. 77 del 1955 – nella parte in cui si prevede la pubblicazione dei protesti legittimamente levati di assegni bancari, anche se relativi ad ipotesi in cui fosse legittimo il rifiuto del pagamento da parte del soggetto protestato – per contrasto:
a) con l’art. 2 della Costituzione, in quanto il diritto del soggetto all’onore e all’identità personale e morale non sembrerebbe adeguatamente tutelato, atteso che la lesione che consegue alla pubblicazione (prevista dall’attuale formulazione dell’art. 1 della legge n. 77) potrebbe non risultare giustificata a seguito del giudizio di bilanciamento con gli altri interessi costituzionalmente rilevanti;
b) con l’art. 3 della Costituzione, in quanto la situazione di colui che venga protestato per mancanza di fondi appare assai diversa da quella di colui che rifiuta il pagamento per motivi legittimi, per cui la previsione di un medesimo trattamento sarebbe lesiva del principio di uguaglianza;
c) con l’art. 24 della Costituzione, in quanto l’attuale formulazione delle norme impugnate sarebbe ingiustamente lesiva del diritto di difesa, atteso che il soggetto protestato non godrebbe di alcun soddisfacente strumento per la tutela di situazioni che, al contrario, potrebbero esserne degne; per altro verso, le eventuali azioni di risarcimento dei danni a disposizione del protestato potrebbero rivelarsi di minima efficacia;
che, a giudizio del Pretore, la questione non può ritenersi meramente interpretativa, poichè non si tratterebbe di scegliere tra più possibili opzioni ermeneutiche, una delle quali conforme ai precetti costituzionali, ma, al contrario, la legge non lascerebbe spazio per alcuna interpretazione diversa da quella che impone la pubblicazione di tutti i protesti indistintamente (purchè ritualmente levati);
che il giudice a quo riconosce che profili analoghi a quelli da lui evidenziati sono già stati esaminati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 151 del 1994, con cui la questione allora proposta é stata dichiarata infondata. Tuttavia, egli ritiene che "i rimedi evidenziati dalla Corte non siano ancora sufficienti per la tutela dei diritti costituzionalmente garantiti";
che é intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata, in quanto le censure mosse dal giudice a quo sono già state esaminate e superate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 151 del 1994, orientata alla ricerca di un equilibrato rapporto fra la tutela del debitore incolpevole protestato e la (talvolta) contrapposta esigenza della conoscenza del mancato pagamento dei titoli di credito;
che, secondo l’Avvocatura, il Pretore non avrebbe apportato argomenti nuovi che avvalorino i dubbi sulla illegittimità delle disposizioni contestate, nè avrebbe tenuto conto dell’interesse pubblico, il quale richiede che la disciplina dei titoli di credito sia finalizzata non solo a tutelare i legittimi interessi dei soggetti coinvolti, ma anche a proteggere e favorire l’utilizzazione degli stessi titoli, agevolando la speditezza e l’efficienza dei traffici commerciali e delle transazioni economiche.
Considerato che, come rilevano lo stesso Pretore di Torino e l’Avvocatura dello Stato, questa Corte ha già esaminato e respinto una questione che, pur se formulata in riferimento ad una sola delle due norme oggi impugnate ed al solo parametro dell’art. 3 della Costituzione, era analoga a quella odierna, censurando la norma nella parte in cui si prevede la pubblicazione di tutti i protesti levati nella circoscrizione, senza distinguere tra quelli dovuti a colpa del debitore e quelli dovuti a fatti a lui non imputabili;
che, in particolare, nella sentenza n. 151 del 1994 questa Corte ha rilevato che il sistema dei protesti cambiari, come risulta dalle norme oggi impugnate e dal diritto vivente, realizza un trattamento differenziato tra debitori colpevoli ed incolpevoli – nonchè un razionale equilibrio fra le misure di tutela dell’onorabilità della persona e del buon nome commerciale, da un lato, e le esigenze della tempestiva conoscenza del mancato pagamento dei titoli di credito ai fini della speditezza ed efficienza del traffico economico e commerciale, dall’altro – prevedendo varie ipotesi di non pubblicazione dei protesti cambiari e consentendo, anche per quelli pubblicati, la contestuale comunicazione dei motivi del rifiuto del pagamento o le successive rettifiche che il debitore ritiene necessarie;
che in detta sentenza é stato sottolineato che, dopo un dibattito in dottrina ed in giurisprudenza risalente a data remota, la legge 12 febbraio 1955, n. 77 é stata interpretata dalla giurisprudenza di legittimità nel senso di riconoscere il potere del giudice ordinario di provvedere non solo alla previa sospensione cautelare ex art. 700 cod. proc. civ. della pubblicazione del protesto di assegni del debitore incolpevole, ma anche di ordinare nel conseguente giudizio di merito la definitiva cancellazione dall’elenco dei protesti cambiari, col risultato di inibire la pubblicazione del protesto stesso;
che il Pretore rimettente non adduce argomenti sostanzialmente nuovi che possano indurre questa Corte a modificare il proprio orientamento, poichè si limita ad affermare apoditticamente che i rimedi evidenziati in tale precedente decisione sarebbero "avvertiti come del tutto insufficienti per la tutela del protestato"; in particolare, gli strumenti di difesa riconosciuti dal diritto vivente (che egli ritiene peraltro una forzatura della legge) rischierebbero di aggravare il pregiudizio del debitore, poichè, ove fosse pubblicato sul bollettino un protesto sia pure accompagnato dalle giustificazioni del debitore, "il fatto stesso della pubblicazione potrebbe essere interpretato quale palese infondatezza dei motivi addotti (atteso che si potrebbe dubitare che il debitore non sia riuscito o non si sia attivato per ottenere giudizialmente che il protesto non venisse inserito nell’elenco)";
che, riguardo a tale ultima doglianza, il giudice a quo prospetta una mera eventualità, che verrebbe comunque a dipendere dalla concreta situazione di fatto e dal comportamento dello stesso debitore e non potrebbe essere imputata alla disciplina vigente, la quale riconosce – come già detto – la possibilità di ottenere provvedimenti di sospensione o di divieto della pubblicazione del protesto, nonchè la dichiarazione giudiziale della illegittimità della pubblicazione stessa;
che, prevedendo l’ordinamento diversi strumenti per evitare sia la lesione del diritto all’onore ed all’identità personale e morale, sia la disparità di trattamento denunciate dal giudice rimettente, non può ritenersi violato il diritto di difesa garantito dall’art. 24 della Costituzione;
che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 1 e 3 della legge 12 febbraio 1955, n. 77 (Pubblicazione degli elenchi dei protesti cambiari), sollevata, in riferimento agli artt 2, 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Torino con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 marzo 1999.
Renato GRANATA, Presidente
Fernando SANTOSUOSSO, Redattore
Depositata in cancelleria il 2 aprile 1999.