ORDINANZA N. 84
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 197, 208, 210 e 513 del codice di procedura penale, dell'art. 372 del codice penale e dell'art. 6 della legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema di valutazione delle prove), promossi con ordinanze emesse il 1° dicembre 1997 dal Tribunale di Lecco, il 17 dicembre 1997 dal Tribunale di Venezia, il 2 dicembre 1997 dal Tribunale di Trani, il 5 dicembre 1997 dalla Corte d'appello di Bologna, il 5 febbraio 1998 dal Tribunale di Grosseto, il 24 ed il 28 ottobre 1997 dal Tribunale di Milano e il 10 marzo 1998 dal Tribunale di Palermo, rispettivamente iscritte ai nn. 112, 134, 146, 220, 325, 341, 342 e 378 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 10, 11, 14, 19, 20 e 22, prima serie speciale, dell'anno 1998.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 1999 il Giudice relatore Guido Neppi Modona;
Ritenuto che con otto ordinanze il Tribunale di Lecco (r.o. n. 112 del 1998), il Tribunale di Venezia (r.o. n. 134 del 1998), il Tribunale di Trani (r.o. n. 146 del 1998), la Corte di appello di Bologna (r.o. n. 220 del 1998), il Tribunale di Grosseto (r.o. n. 325 del 1998), il Tribunale di Milano (r.o. nn. 341 e 342 del 1998) e il Tribunale di Palermo (r.o. n. 378 del 1998) hanno sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25, 97, 101, 102, 111 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 210 del codice di procedura penale;
che tutte le questioni sono state sollevate nel corso di dibattimenti nei quali i soggetti che avevano reso in precedenza dichiarazioni erga alios, citati ai sensi dell'art. 210 cod. proc. pen., si sono avvalsi della facoltà di non rispondere e che gli imputati non hanno prestato il consenso alla utilizzazione delle precedenti dichiarazioni;
che tutti i rimettenti, ad eccezione del Tribunale di Grosseto, censurano l’art. 210, comma 4, cod. proc. pen., nella parte in cui prevede che l’imputato in procedimento connesso, per il quale si procede o si é proceduto separatamente e che abbia in precedenza reso dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di terzi, possa avvalersi, nel dibattimento a carico di quei soggetti, della facoltà di non rispondere;
che l’art. 210 cod. proc. pen. é impugnato unitamente all’art. 513, comma 2, cod. proc. pen., per i riflessi che l’eliminazione del diritto al silenzio produrrebbe sulla disciplina delle letture nel caso in cui i soggetti indicati nell’art. 210, comma 1, cod. proc. pen. rifiutino di rispondere in dibattimento;
che secondo i giudici a quibus l’art. 210 cod. proc. pen. e l’art. 513, comma 2, cod. proc. pen., subordinando alla volontà di un soggetto estraneo al processo, quale é l’imputato in procedimento connesso, e all’accordo delle parti l’utilizzabilità ai fini della decisione delle dichiarazioni rese in precedenza sul fatto altrui, si pongono in contrasto con l’art. 3 Cost. per la irragionevole diversità di tale disciplina rispetto a quella dettata nell’art. 513, comma 2, secondo periodo, cod. proc. pen. per le stesse dichiarazioni quando per fatti o circostanze imprevedibili non sia possibile ottenere la presenza del soggetto citato ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen., nonchè a quella prevista nell’art. 500, commi 2-bis, 4 e 5, cod. proc. pen. per le dichiarazioni testimoniali rese nel corso delle indagini preliminari (r.o. nn. 112, 146, 341, 342 e 378 del 1998);
che i rimettenti lamentano inoltre che tale disciplina deroga irragionevolmente al principio di non dispersione della prova e impedisce al giudice la piena conoscenza dei fatti del giudizio, in contrasto con i principi di uguaglianza, legalità, esercizio dell’azione penale, funzione conoscitiva del processo e indefettibilità della giurisdizione (in riferimento rispettivamente: r.o. n. 112 del 1998 agli artt. 3, 24, secondo comma, 101, secondo comma, 112 Cost.; r.o. n. 134 del 1998 agli artt. 3, 24, 25, secondo comma, 101 e 112 Cost.; r.o. n. 146 agli artt. 97 e 112 Cost.; r.o. nn. 341, 342 agli artt. 3, 24, secondo comma, 25, secondo comma, 101, 102, primo comma, 111 e 112 Cost., nonchè all’art. 24, secondo comma, Cost. sotto il profilo della lesione del diritto di difesa della parte civile e degli altri imputati; r.o. n. 378 agli artt. 24, 101, 111 e 112 Cost.);
che, in particolare, il Tribunale di Lecco impugna gli artt. 210, commi 4 e 6, e 513, commi 1 e 2, cod. proc. pen., singolarmente e <<in combinato disposto>> con gli artt. 197, lettere a) e b), 208 cod. proc. pen. e 372 cod. pen., censurando complessivamente la disciplina che, distinguendo sotto il profilo processuale e sostanziale la figura del testimone rispetto a quella dell’imputato in procedimento connesso, subordina al consenso di quest’ultimo la possibilità di procedere all’esame dibattimentale anche su fatti concernenti la responsabilità di altri, in relazione ai quali abbia in precedenza reso dichiarazioni;
che a parere del rimettente consentire all’imputato in procedimento connesso di non sottoporsi all’esame dibattimentale determina la violazione degli artt. 2, 3, 24 e 101, secondo comma, Cost. perchè viene irragionevolmente sacrificato il principio della indefettibilità della giurisdizione che ha come fine primario l’accertamento del reato, a cui tale soggetto é tenuto a concorrere in adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà sociale, nonchè il diritto al contraddittorio dell’imputato chiamato a difendersi in dibattimento nei confronti delle dichiarazioni eteroindizianti rese in precedenza dall’imputato in procedimento connesso;
che l’art. 210 cod. proc. pen. viene censurato dal Tribunale di Grosseto in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 112 Cost., nella parte (comma 1) in cui equipara il <<coimputato nel medesimo reato la cui posizione sia stata definita con sentenza irretrattabile ex art. 444 cod. proc. pen.>> alle <<persone imputate in un procedimento connesso a norma dell’art. 12 cod. proc. pen., nei confronti delle quali si procede o si é proceduto separatamente, estendendogli la facoltà di non rispondere>>;
che ad avviso del rimettente la disposizione impugnata detta, in violazione dell’art. 3 Cost., un’identica disciplina per situazioni difformi (quella dell’imputato nei confronti del quale si procede o si é proceduto separatamente, che può subire un pregiudizio, nel proprio procedimento non ancora definito con sentenza irrevocabile, dalle dichiarazioni che é chiamato a rendere nel procedimento connesso o collegato, e quella dell’imputato la cui posizione processuale é ormai definita e per il quale nessuna conseguenza sfavorevole potrà mai scaturire da qualsivoglia dichiarazione resa nel procedimento connesso o collegato) e si pone in contrasto con gli artt. 24, secondo comma, e 112 Cost. sotto il profilo della lesione del diritto di difesa dell’imputato attinto dalle dichiarazioni indizianti e del diritto alla prova del pubblico ministero;
che la Corte di appello di Bologna impugna l’art. 210 cod. proc. pen. unitamente all’art. 197 dello stesso codice, nonchè l’art. 6, commi 3 e 5, della legge 7 agosto 1997, n. 267, nella parte in cui prevede che nei giudizi di appello in corso alla data di entrata in vigore della novella la rinnovazione parziale del dibattimento - in vista della utilizzazione delle dichiarazioni delle persone indicate nell'art. 513 cod. proc. pen. e al fine di ottenere la citazione di coloro che avevano reso tali dichiarazioni - venga disposta "ove la parte interessata lo richieda" (comma 3), e nella parte in cui dispone che se tali soggetti si avvalgono ulteriormente della facoltà di non rispondere, le dichiarazioni rese in precedenza possono essere valutate come prova dei fatti in esse affermati solo se la loro attendibilità sia confermata da altri elementi di prova, non desunti da dichiarazioni rese al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria da questi delegata o al giudice nel corso delle indagini preliminari di cui sia stata data lettura ai sensi dell’art. 513 cod. proc. pen. previgente (comma 5);
che il collegio rimettente dubita della legittimità costituzionale degli artt. 197 e 210 cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 3 e 24, primo e secondo comma, Cost., ravvisando nella disciplina una violazione del principio di uguaglianza e di pari dignità, in quanto fa <<discendere il diritto/dovere di testimoniare in giudizio da condizioni personali e sociali, anche se limitate a quelle che si assumono nel processo>>, con conseguente sacrificio anche del diritto di difesa;
che, con riferimento alle disposizioni transitorie contenute nei commi 3 e 5 dell’art. 6 della legge n. 267 del 1997, il rimettente denuncia per irragionevolezza, con conseguenti ricadute anche in termini di disparità di trattamento tra imputati, la disciplina che condiziona alla richiesta delle parti la nuova citazione nel giudizio di appello delle persone indicate nell’art. 513 cod. proc. pen., in quanto il giudice può utilizzare le dichiarazioni rese in precedenza solo nei limiti del comma 5 dell'art. 6 della legge n. 267 del 1997, mentre, se le parti non ne chiedono la citazione, le dichiarazioni già acquisite nel dibattimento di primo grado a seguito del rifiuto di rispondere sono integralmente utilizzabili, assumendone il contrasto anche con gli artt. 25, 101, secondo comma, e 112 Cost.;
che ulteriori censure alla disciplina transitoria contenuta nell’art. 6 da ultimo indicato sono formulate, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 101, 102, 111 e 112 Cost., dal Tribunale di Venezia (che impugna l’art. 513 cod. proc. pen. <<con riferimento>> all’art. 6, commi 1 e 5, della legge n. 267 del 1997), dal Tribunale di Trani e dal Tribunale di Milano: a) nella parte in cui (commi 2 e 5) rende immediatamente applicabile la nuova disciplina dell’art. 513 cod. proc. pen. ai procedimenti in corso, nei quali alla data di entrata in vigore della legge non sia stata disposta la lettura delle dichiarazioni rese dai soggetti indicati nell’art. 513 cod. proc. pen. (r.o. nn. 134 e 146 del 1998); b) nella parte in cui esclude al comma 5 che elementi di prova utili alla conferma dell’attendibilità di dichiarazioni acquisite al fascicolo per il dibattimento ex art. 513 cod. proc. pen. previgente siano desumibili anche da altre dichiarazioni dello stesso tipo (r.o. n. 341 del 1998);
che nei giudizi promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 112, 134, 146, 220, 325, 341 e 342 del r.o. del 1998 é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, riportandosi integralmente, stante l’analogia delle questioni, al contenuto dell’atto di intervento relativo ai giudizi di costituzionalità promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 776 e 787 del r.o. del 1997, già decisi con sentenza n. 361 del 1998.
Considerato che tutte le ordinanze di rimessione sottopongono a censura la facoltà, riconosciuta alle persone indicate dall’art. 210, comma 1, cod. proc. pen., di avvalersi, a norma del comma 4 del medesimo articolo, della facoltà di non rispondere;
che l’esercizio di tale facoltà viene denunciato in relazione al regime di inutilizzabilità ai fini della decisione, in mancanza dell’accordo delle parti, delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari dall’imputato in procedimento connesso, alla stregua delle modifiche introdotte nell’art. 513, comma 2, cod. proc. pen., dalla legge n. 267 del 1997, anch’esso sottoposto a scrutinio di legittimità costituzionale;
che, attesa la sostanziale identità delle questioni, deve essere disposta la riunione dei relativi giudizi;
che, in particolare, nell’ordinanza del Tribunale di Grosseto (r.o. n. 325 del 1998) la facoltà di non rispondere viene censurata in riferimento alla posizione di imputati di reato connesso già condannati con sentenza divenuta irrevocabile;
che, successivamente all’emissione delle ordinanze, questa Corte, con sentenza n. 361 del 1998, ha inciso sul quadro normativo risultante dal disposto degli artt. 210 e 513 cod. proc. pen.;
che in tale sentenza la Corte, da un lato, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 513, comma 2, cod. proc. pen. "nella parte in cui non prevede che, qualora il dichiarante rifiuti o comunque ometta in tutto o in parte di rispondere su fatti concernenti la responsabilità di altri già oggetto delle sue precedenti dichiarazioni, in mancanza dell’accordo delle parti alla lettura si applica l’art. 500, commi 2-bis e 4, del codice di procedura penale", dall’altro, ha rigettato le eccezioni sollevate nei confronti dell’art. 210, comma 4, cod. proc. pen., rilevando che l’attuale qualificazione come imputati dei soggetti indicati in tale norma rende coerente la scelta del legislatore di attribuire loro la facoltà di non rispondere ed individuando gli strumenti per porre rimedio alle censure di illegittimità, già allora rivolte all’art. 210 cod. proc. pen., nell’estensione all’esame dell’imputato in procedimento connesso su fatti concernenti la responsabilità di altri della disciplina delle contestazioni prevista per i testimoni dall’art. 500, commi 2-bis e 4, cod. proc. pen.;
che, con riferimento alle questioni sollevate con l'ordinanza iscritta al n. 112 del r.o. del 1998, ove l'art. 210, commi 4 e 6, cod. proc. pen. risulta impugnato "in combinato disposto" con gli artt. 197, lettere a) e b), 208 cod. proc. pen. e 372 cod. pen., e con l'ordinanza iscritta al n. 220 del r.o. del 1998, ove l'art. 210 cod. proc. pen. é impugnato unitamente all'art. 197 cod. proc. pen., questa Corte, con la già richiamata sentenza n. 361 del 1998, da un lato ha esteso l'obbligo di presentarsi al giudice e l'eventuale accompagnamento coattivo, previsti dall'art. 210, comma 2, cod. proc. pen., all'imputato del medesimo procedimento chiamato a rendere dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità di altri, dall'altro ha sottoposto i soggetti indicati nell'art. 210, comma 1, cod. proc. pen., che si avvalgano in dibattimento della facoltà di non rispondere, alla disciplina processuale prevista dall'art. 500, commi 2-bis e 4, cod. proc. pen., fermo restando che alla Corte sarebbe comunque precluso estendere a carico di tali soggetti la responsabilità penale stabilita per i testimoni in caso di rifiuto di rispondere, incidendo sulla loro qualificazione sostanziale;
che, con riguardo alle ordinanze che investono anche la disciplina transitoria (r.o. nn. 134, 146, 220 e 341 del 1998), la citata sentenza n. 361 del 1998, nel disporre la restituzione degli atti relativi a questioni che avevano impugnato l’art. 6 della legge n. 267 del 1997, ha affermato che doveva essere valutato dai rimettenti se le questioni potessero considerarsi superate a seguito della modifica della disciplina a regime, "che ora permette di recuperare mediante il sistema delle contestazioni i singoli contenuti narrativi delle dichiarazioni rese in precedenza";
che pertanto occorre restituire gli atti ai giudici rimettenti affinchè verifichino se, alla luce della nuova disciplina applicabile a seguito della sentenza n. 361 del 1998, le questioni sollevate siano tuttora rilevanti.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Lecco, al Tribunale di Venezia, al Tribunale di Trani, alla Corte di appello di Bologna, al Tribunale di Grosseto, al Tribunale di Milano e al Tribunale di Palermo.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’11 marzo 1999.
Presidente Renato GRANATA
Redattore Guido NEPPI MODONA
Depositata in cancelleria il 18 marzo 1999.