Sentenza n. 41/99

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SENTENZA N.41

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI    

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma primo, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), promosso con ordinanza emessa il 19 novembre 1996 dalla Commissione tributaria regionale di Torino sul ricorso proposto dall’Ufficio del Registro di Torino contro Bilanzuoli Antonietta, iscritta al n. 514 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 1997.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio dell’11 novembre 1998 il Giudice relatore Fernanda Contri.

Ritenuto in fatto

  1. - Nel corso di un procedimento conseguente all’impugnazione, da parte dell’Ufficio del Registro di Torino, della decisione della Commissione tributaria di primo grado, la Commissione tributaria regionale di Torino, con ordinanza emessa il 19 novembre 1996, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma primo, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), il quale dispone che "I trasferimenti immobiliari, escluse le permute aventi per oggetto immobili ma fino a concorrenza del minore dei valori permutati, posti in essere tra coniugi ovvero tra parenti in linea retta o che tali siano considerati ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni si presumono donazioni, con esclusione della prova contraria, se l’ammontare complessivo dell’imposta di registro e di ogni altra imposta dovuta per il trasferimento, anche se richiesta successivamente alla registrazione, risulta inferiore a quello delle imposte applicabili in caso di trasferimento a titolo gratuito, al netto delle detrazioni spettanti"; la detta questione é stata sollevata riguardo all’inciso "con esclusione della prova contraria" nel caso di trasferimento posto in essere tra coniugi.

  Il giudice rimettente espone anzitutto in fatto: che in sede di registrazione di un contratto di compravendita della quota di comproprietà di un immobile, stipulato da coniugi legalmente separati, l’Ufficio del Registro di Torino aveva richiesto il pagamento dell’imposta sulle donazioni (anzichè di quella dovuta per i trasferimenti a titolo oneroso) e l’INVIM per intero (anzichè a tassazione agevolata, trattandosi di immobile destinato ad abitazione non di lusso); che la venditrice, affermando di essere legalmente separata dal coniuge, in forza di provvedimento di omologazione emesso dal Tribunale di Torino, aveva proposto ricorso, essendo risultata vana l’istanza di rimborso dell’eccedenza corrisposta; che la Commissione tributaria di primo grado di Torino aveva accolto il ricorso della parte venditrice, ritenendo che la presunzione di liberalità dovesse valere per i soli coniugi conviventi, non anche per quelli separati; che avverso tale pronuncia aveva interposto appello l’Ufficio del Registro, sostenendo che la presunzione di liberalità viene meno soltanto con la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, non già con la mera separazione personale dei coniugi.

  Il giudice a quo, dopo aver osservato che la norma in oggetto configura una presunzione iuris et de iure in ordine alla qualificazione giuridica del contratto stipulato fra coniugi - presunzione connessa a fatti estrinseci al negozio, e precisamente alla misura dell’imposta applicabile - afferma che detta presunzione, contro la quale non é ammessa prova contraria, determina un trattamento deteriore dei coniugi che pongono in essere un contratto di compravendita rispetto alle parti stipulanti il medesimo contratto, che non siano legate da vincolo di coniugio: mentre per queste ultime la qualificazione giuridica del negozio stipulato si opera in base alle regole civilistiche, a norma dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, per i coniugi, invece, la qualificazione deriva dall’esito della tassazione; inoltre, mentre le ordinarie parti stipulanti possono liberamente provare la natura del contratto oggetto di tassazione, ai coniugi é invece preclusa ogni prova al riguardo.

  Il rimettente afferma poi che tale disciplina confligge con quella del regime patrimoniale tra coniugi, la quale, relativamente alla separazione dei beni, non prevede alcun trattamento differenziato dei coniugi rispetto alle normali parti contrattuali.

  Ad avviso del rimettente, la norma censurata, nel precludere ogni prova contraria per superare la presunzione di liberalità, si appalesa irragionevole ed é quindi in contrasto con il principio di eguaglianza.

  Osserva, ancora, il giudice a quo che la sottoposizione dell’atto alla maggiore tassazione, pur restando immutati gli elementi oggettivi costituenti la base imponibile, deriva non già da una maggiore capacità contributiva, bensì da una qualità personale delle parti - quella di coniugi - che é di per sè insignificante sotto il profilo della capacità contributiva; pertanto, la norma in questione postula, soltanto sulla base di una qualità soggettiva dei contraenti, una speciale capacità contributiva, anche se questa non sussiste, ed impedisce la prova diretta a dimostrarne l’insussistenza; da ciò sorge il contrasto della norma con il principio della capacità contributiva, che viene desunta da un elemento - la qualità di coniugi - inidoneo a dimostrarla.

  In ordine al requisito della rilevanza della questione sollevata, osserva il giudice tributario che la parte venditrice ha offerto la prova della effettività della compravendita, con particolare riguardo al pagamento reale del prezzo, e che tale prova sarebbe del tutto irrilevante, qualora si dovesse applicare la norma censurata.

  2. - E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, che ha concluso per l’infondatezza della questione.

  Osserva la difesa erariale che la presunzione di liberalità per i trasferimenti immobiliari tra coniugi e tra parenti in linea retta non contrasta con il principio di eguaglianza, in quanto, sulla base dell’id quod plerumque accidit, i rapporti tra di essi intercorrenti e la comunanza di vita e di interessi che lega i medesimi non sono paragonabili a quelli tra altri soggetti. Nè può ritenersi irragionevole l’esclusione della prova contraria, in quanto la particolarità dei citati rapporti renderebbe agevole la precostituzione della prova dell’onerosità del trasferimento, anche se l’onerosità non vi sia stata. L’assolutezza della presunzione deve quindi dirsi ragionevole, poichè, altrimenti, essa rimarrebbe inoperante.

  Ad avviso dell’Avvocatura é del pari insussistente la pretesa violazione del principio di capacità contributiva. Poichè é legittimo ritenere che i trasferimenti immobiliari tra i soggetti considerati dalla norma avvengono senza un reale ed effettivo corrispettivo, consegue necessariamente da ciò che la capacità contributiva manifestata dall’atto é quella delle donazioni, non già quella dei trasferimenti onerosi.

  Afferma poi la difesa erariale che, contrariamente all’assunto del rimettente, il rapporto di coniugio o di parentela in linea retta non é indifferente ai fini della capacità contributiva, poichè é proprio in relazione a quel rapporto che la norma ricollega l’assenza di corrispettivo, misurando in tal modo la capacità contributiva sulla base dell’arricchimento che deriva da un trasferimento senza corrispettivo.

  La giurisprudenza della Corte - prosegue l’Avvocatura - ha del resto più volte riconosciuto la legittimità delle presunzioni tributarie, purchè fondate su criteri ragionevoli e sempre che non si risolvano in una base fittizia dell’imposizione. E tali caratteristiche devono riconoscersi nella presunzione in esame, in quanto l’assenza di corrispettivo nei trasferimenti considerati dalla norma é del tutto ragionevole, sì che la conseguente maggiore imposizione risponde a criteri di razionalità.

Considerato in diritto

  1. - La Commissione tributaria regionale di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma primo, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), nella parte in cui esclude la prova contraria della presunzione di liberalità dei trasferimenti immobiliari posti in essere tra coniugi, la quale opera se l’ammontare complessivo dell’imposta di registro e di ogni altra imposta dovuta per il trasferimento risulta inferiore a quello delle imposte applicabili in caso di trasferimento a titolo gratuito, al netto delle detrazioni spettanti.

  Ad avviso del giudice a quo, la norma censurata sarebbe in contrasto con il principio di eguaglianza, in quanto i coniugi, che abbiano stipulato un contratto di compravendita, sottoposto in sede di registrazione all’imposizione propria delle donazioni, trovano preclusa l’ammissibilità della prova in ordine all’effettiva natura onerosa del negozio, la cui qualificazione giuridica, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro o di quella dell’imposta di donazione, deriva dall’esito di un elementare esame comparativo del diverso peso fiscale: essi coniugi subiscono, quindi, un trattamento deteriore rispetto a parti stipulanti il medesimo contratto ma non legate da vincolo di coniugio; sarebbe altresì violato il principio della capacità contributiva, poichè la maggiore tassazione cui é assoggettato l’atto é correlata unicamente ad una qualità personale delle parti, alle quali é inibita la prova della insussistenza di una maggiore capacità contributiva.

  2. - La questione é fondata.

  La presunzione di liberalità era già prevista dall’art. 5 del decreto legislativo luogotenenziale 8 marzo 1945, n. 90 (Modificazioni delle imposte sulle successioni e sulle donazioni), il quale, al primo comma, stabiliva che "le trasmissioni di immobili a titolo oneroso tra parenti entro il terzo grado si presumono liberalità e come tali sono soggette alla imposta quando la provenienza del prezzo pagato non viene dimostrata in base a titoli aventi data certa ai sensi del Codice civile, e sempre che la imposta di trasferimento a titolo oneroso risulti inferiore a quella stabilita per i trasferimenti a titolo gratuito". Benchè la ratio della norma fosse sostanzialmente identica a quella che ha ispirato la disposizione oggi censurata, tuttavia il legislatore dell’epoca preferì porre una presunzione iuris tantum, consentendo alle parti la possibilità di offrire prova contraria e indicando i mezzi ritenuti a tal fine idonei.

  Le caratteristiche della citata presunzione indussero questa Corte, con la sentenza n. 99 del 1968, a ritenere che tale norma si sottraesse alle censure di illegittimità costituzionale, mosse sotto il duplice profilo della violazione del principio di eguaglianza e di quello di capacità contributiva, rilevandosi che il fondamento - non irragionevole - della presunzione riposava da un lato sul fatto di comune esperienza che fra parenti di un certo grado gli immobili vengono trasferiti a titolo gratuito e dall’altro sulla notevole differenza della imposizione fiscale tra gli atti di donazione e quelli di compravendita, tale da indurre le parti a simulare un atto di contenuto diverso, allo scopo di pagare una imposta minore. Si affermò quindi che la norma rispondeva ad innegabili esigenze fiscali e che appariva corretto il sistema adottato dal legislatore di creare una presunzione iuris tantum suscettibile di prova contraria.

  La presunzione di liberalità fu poi radicalmente trasformata dall’art. 25 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 (Disciplina dell’imposta di registro), che, oltre a limitarla ai parenti in linea retta, introdusse un regime più rigoroso, escludendo la possibilità di offrire prova contraria.

  Caduto medio tempore il divieto di donazione tra coniugi, attraverso la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 781 del codice civile, pronunciata da questa Corte con sentenza n. 91 del 1973, alla disciplina della presunzione di liberalità furono apportate ulteriori modifiche con l’emanazione del d.P.R. n. 131 del 1986, il cui articolo 26, in questa sede censurato, ne estese l’ambito di applicazione ai trasferimenti immobiliari intervenuti tra coniugi, confermando l’esclusione della prova contraria.

  3. - La norma impugnata, avente il chiaro fine di impedire operazioni di elusione fiscale, così da assicurare all’erario il più alto gettito tra quelli rispettivamente offerti dall’applicazione della normativa tributaria in tema di trasferimenti a titolo oneroso e di trasferimenti a titolo gratuito, pone la presunzione che i trasferimenti immobiliari tra coniugi sono considerati donazioni, e assoggetta quindi tali atti al corrispondente regime, allorchè l’ammontare complessivo dell’imposta di registro e di ogni altra imposta dovuta per il trasferimento risulti inferiore a quello delle imposte applicabili in caso di trasferimento a titolo gratuito, al netto delle detrazioni spettanti. Alla base della predetta presunzione sta la valutazione del legislatore, fondata sul principio dell’id quod plerumque accidit, secondo cui il vincolo di coniugio é sempre di per sè indice dell’assenza di onerosità, tanto da non essere consentita la prova contraria.

  L’analisi della ragionevolezza di tale valutazione é demandata dal rimettente a questa Corte, cui spetta altresì il compito di accertare se la indicata previsione normativa si ponga o meno in contrasto con il principio costituzionale di capacità contributiva.

  Ora, quantunque possa senz’altro convenirsi, per dettato di comune esperienza, che frequentemente, ma non sempre, i trasferimenti immobiliari tra coniugi intervengono a titolo gratuito, tuttavia questa affermazione non risolve la questione, poichè é agevole formulare ipotesi nelle quali l’onerosità del trasferimento immobiliare é certa, in quanto direttamente discendente da una particolare situazione delle relazioni personali tra i coniugi. E’, a tal fine, sufficiente considerare i casi in cui il vincolo coniugale, non ancora reciso, abbia subito un forte allentamento per effetto di separazione legale, come nella fattispecie prospettata dal giudice a quo, o anche in conseguenza di mera separazione di fatto, che, essendo stata causata da seria controversia, si prolunghi per tempi apprezzabili. Nei casi appena esposti, é subito evidente che i coniugi possono assumere la veste di parti che addivengono ad un assetto dei propri interessi economici mediante la stipulazione di negozi giuridici nei quali, essendo assente ogni funzione di liberalità, prevalgono ragioni che consistono nella volontà di esaurire rapporti collegati a situazioni familiari ormai compromesse.

  Le citate esemplificazioni non assumono peraltro rilevanza soltanto sociologica, poichè il dato fattuale, rappresentato dal consistente numero delle separazioni tra coniugi, le quali vengono regolate dal lato patrimoniale mediante attribuzioni a carattere oneroso, incide direttamente sulla rispondenza della norma all’id quod plerumque accidit. A ciò deve aggiungersi che l’acquisizione di un’autonoma capacità economica da parte di ciascuno dei coniugi, anche al di fuori delle sopra formulate ipotesi di separazione, ha comunque determinato un notevole mutamento nei rapporti patrimoniali tra i medesimi, sì che il trasferimento a titolo oneroso di un bene immobile o di una quota indivisa di esso o di un diritto reale parziario da un coniuge all’altro in costanza di matrimonio non costituisce più evento del tutto eccezionale.

  E allora non può negarsi come l’esclusione della prova diretta alla dimostrazione della onerosità del trasferimento si traduca inevitabilmente in un assioma che non trova più riscontro nella realtà. Onde, il rigore di una norma che - venuti meno i presupposti che la giustificavano - reputa irrefutabili ed insuscettibili di prova contraria le presunzioni configurate, mostra per ciò solo il proprio limite: la non ragionevolezza.

  La disposizione normativa in esame, il cui fondamento riposa su interpretazioni delle vicende sociali che possono in fatto rivelarsi fallaci, in quanto divergenti dagli accadimenti della quotidianità, é dunque non solo irragionevole, ma anche lesiva del principio oltre che di eguaglianza anche di capacità contributiva, poichè essa sottopone gli atti di trasferimento immobiliare tra coniugi ad una tassazione più elevata non già in ragione della concreta manifestazione di maggiore capacità contributiva, bensì in funzione della mera qualità soggettiva delle parti contraenti, senza che alle medesime sia consentito offrire la prova della vera natura del negozio giuridico stipulato.

  Deve quindi dichiararsi l’illegittimità costituzionale della norma censurata, limitatamente all’esclusione della prova contraria relativa alla presunzione di liberalità dei trasferimenti immobiliari.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 26, comma primo, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), nella parte in cui esclude la prova contraria diretta a superare la presunzione di liberalità dei trasferimenti immobiliari.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 febbraio 1999.

Presidente Renato GRANATA

Redattore Fernanda CONTRI

Depositata in cancelleria il 25 febbraio 1999.