ORDINANZA N. 25
ANNO 1999
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 186, 187, 222 e segg. del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promosso con ordinanza emessa il 16 gennaio 1998 dal Pretore di Brescia nel procedimento penale a carico di Corti Cesare, iscritta al n. 247 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1998.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 1999 il Giudice relatore Cesare Ruperto.
Ritenuto che il Pretore di Brescia - nel corso di un giudizio penale, a sèguito dell'annullamento, in data 15 gennaio 1997, da parte della Corte di cassazione, della sentenza resa ex art. 444 cod. proc. pen. dallo stesso giudice, limitatamente all'omessa applicazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida di cui all'art. 222 del codice della strada - ha sollevato, con ordinanza del 16 gennaio 1998, questione di legittimità costituzionale degli artt. 186, 187, 222 e seguenti del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), a' sensi dei quali, all'accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza o sotto l'influenza di sostanze stupefacenti consegue la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida (artt. 186 e 187), ovvero, qualora dalla violazione di norme del codice della strada derivino danni alle persone, il giudice applica, con la sentenza di condanna penale, la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida (art. 222);
che, secondo il rimettente, le norme denunciate - imponendo al giudice l'applicazione della sanzione amministrativa accessoria anche con la sentenza emessa ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen. - contrastano: a) con l'art. 3 Cost., per l'ingiustificata disparità di trattamento rispetto all'ipotesi di applicazione della medesima sanzione a sèguito di un accertamento pieno di colpevolezza; b) con l'art. 3 Cost., per l'irragionevole mancata previsione d'un regime di "caducabilità" della sanzione amministrativa, analogo al regime della pena inflitta ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., soggetta all'estinzione di cui all'art. 445, comma 2, cod. proc. pen.; c) con gli artt. 3 e 25 Cost., per l'ingiustificata disparità di trattamento rispetto all'ipotesi di attribuzione al giudice penale di poteri di cognizione piena sulla colpevolezza dell'imputato al fine dell'applicazione della sanzione amministrativa accessoria alla sentenza di condanna di cui all'art. 533 cod. proc. pen.; d) con l'art. 24 Cost., in ragione dell'automaticità dell'applicazione della sanzione amministrativa; e) con l'art. 27 Cost., per l'applicabilità di tale sanzione senza un previo accertamento di colpevolezza con sentenza di condanna;
che, sempre secondo il rimettente (il quale propone, quale tertium comparationis, il termine di prescrizione triennale previsto dall'art. 157, primo comma, numero 5, cod. pen. per le contravvenzioni punite con la pena dell'arresto), la normativa denunciata violerebbe altresì gli artt. 3, 24, 25, 27 Cost., sotto il profilo della mancata previsione legislativa della prescrittibilità della sanzione amministrativa (da intendersi come prescrittibilità anche dell'illecito amministrativo in quanto tale);
che é intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la declaratoria di manifesta infondatezza delle sollevate questioni, deducendo: a) la natura amministrativa della sanzione, tale da giustificarne le peculiarità di disciplina rispetto alle pene accessorie, così da poter prescindere dall'accertamento della responsabilità penale del condannato; b) il carattere formale (o comunque di pericolo astratto) delle violazioni del codice della strada alle quali consegue la sanzione della sospensione della patente di guida, tale da renderne semplice l'accertamento, di grado e natura diversi rispetto all'accertamento della responsabilità penale; c) la riconducibilità della scelta del rito di cui all'art. 444 cod. proc. pen. alla libera valutazione dell'interessato, senza che gli effetti collegati a siffatta scelta possano essere circoscritti alle conseguenze penalistiche; d) la diversità tra illecito penale ed amministrativo, idonea a giustificare la diversità dei correlativi regimi di prescrizione (la cui disciplina resta riservata alla discrezionalità del legislatore).
Considerato che l'ordinanza di rimessione non contiene motivazione alcuna circa la rilevanza delle questioni concernenti gli artt. 186 e 187 cod. strada, nè offre elementi di individuazione della fattispecie così da poter consentire di identificare l'imputazione in relazione a tali articoli;
che, pertanto, tali questioni debbono essere dichiarate manifestamente inammissibili;
che, nel censurare l'art. 222 cod. strada, il giudice a quo sostanzialmente muove dal presupposto che la sanzione amministrativa sia accessoria all'accertamento del reato (secondo la formulazione della rubrica dell'art. 222 cod. strada) e, perciò, ad una dichiarazione di responsabilità incompatibile con la pronuncia di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen.;
che tale assunto é manifestamente erroneo. Infatti la sanzione amministrativa di cui all'art. 222 cod. strada non costituisce nè una pena accessoria, nè una misura di sicurezza, nè, propriamente, un effetto penale della sentenza di condanna (v. sentenza n. 373 del 1996; ordinanze n. 89 del 1997; n. 184 del 1997; n. 190 del 1997; n. 422 del 1997; n. 235 del 1998; n. 313 del 1998), e dunque non presuppone (logicamente o normativamente) la declaratoria di responsabilità penale, attraverso una sentenza di condanna in senso proprio, bastando invece l'accertamento del mero fatto lesivo dell'interesse pubblico; accertamento di certo compatibile con la pronuncia di cui all'art. 444 cod. proc. pen., giusta la consolidata giurisprudenza di legittimità;
che, in particolare, contrariamente a quanto opinato dal giudice a quo, il diritto vivente interpreta l'espressione "accertamento del reato", contenuta nella rubrica dell'articolo stesso, nel senso di accertamento (nell'àmbito e nei limiti del procedimento di cui all'art. 444 cod. proc. pen.) del fatto lesivo dell'interesse pubblico, al quale consegue l'applicazione di una pena; così venendo a costruire la suddetta sanzione amministrativa come accessoria alla sanzione penale (principale), inflitta con una sentenza di condanna o con una pronuncia a questa equiparata (in base all'art. 445, comma 1, cod. proc. pen.);
che l'interpretazione seguíta dal diritto vivente valorizza, in tal senso, la rubrica della sezione II del capo II del titolo sesto del codice della strada ("sanzione amministrativa accessoria a sanzioni penali"), evidenziando che la relazione tra accessorio e principale corre tra due sanzioni, cioé fra termini omogenei;
che, per altro verso, cotal rapporto di accessorietà rispetto alla pena inflitta con una sentenza di condanna o sentenza equiparata, esclude che il giudice penale possa applicare la sanzione amministrativa senza limiti di tempo, secondo quanto viceversa prospettato;
che, inoltre, la diversa natura della sanzione amministrativa rispetto alla pena giustifica la diversità di disciplina legislativa (v. ordinanze n. 184 del 1997 e n. 420 del 1987);
che, pertanto, le questioni come sopra ritenute ammissibili sono da dichiarare manifestamente infondate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 186, 187 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), sollevata - in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 27 della Costituzione - dal Pretore di Brescia con l'ordinanza in epigrafe;
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 222 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come sopra sollevata.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 gennaio 1999.
Presidente Renato GRANATA
Redattore Cesare RUPERTO
Depositata in cancelleria il 5 febbraio 1999