Sentenza n. 3/99

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SENTENZA N.3

ANNO 1999

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI  

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI               

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), promosso con ordinanza emessa il 29 ottobre 1997 dal Pretore di Napoli nel procedimento civile vertente tra Salvatore Salemme ed altri e Pasquale Petrucci, iscritta al n. 871 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53, prima serie speciale, dell’anno 1997.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 maggio 1998 il Giudice relatore Cesare Mirabelli.

Ritenuto in fatto

  1. — Nel corso di un giudizio promosso per la risoluzione di un contratto di locazione per inadempimento del conduttore, che non aveva pagato numerose mensilità del canone ma intendeva sanare in giudizio la morosità, con ordinanza emessa il 29 ottobre 1997 il Pretore di Napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), nella parte in cui prevede la possibilità di sanare in sede giudiziale la morosità, impedendo in tal modo la risoluzione del contratto, nel solo procedimento per convalida di sfratto e non anche nel giudizio ordinario di risoluzione per inadempimento.

  La disposizione denunciata stabilisce, nel contesto della disciplina delle locazioni di immobili urbani, che la morosità del conduttore nel pagamento del canone e degli oneri accessori (previsti dall’art. 5 della stessa legge n. 392 del 1978 per la locazione di immobili adibiti ad uso di abitazione) può essere sanata in sede giudiziale per non più di tre volte nel corso di un quadriennio se il conduttore alla prima udienza, o in caso di comprovate condizioni di difficoltà nel termine assegnato dal giudice, versa l’importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori maturati sino a tale data, maggiorati degli interessi legali e delle spese processuali liquidate dal giudice. Il pagamento esclude la risoluzione del contratto.

  Il Pretore di Napoli, aderendo all’interpretazione della Corte di cassazione, ritiene che la particolare sanatoria della morosità, prevista dall’art. 55 della legge n. 392 del 1978, trovi applicazione soltanto nel procedimento per convalida di sfratto (art. 658 cod. proc. civ.), mentre nell’ordinario giudizio di risoluzione del contratto per inadempimento, applicandosi la regola generale stabilita dall’ art. 1453, terzo comma, cod. civ., il conduttore non potrebbe adempiere la propria obbligazione dopo la proposizione della domanda di risoluzione. Essendo già stata dichiarata non fondata, in riferimento al solo art. 3 della Costituzione, analoga questione di legittimità costituzionale (sentenza n. 2 del 1992), il giudice rimettente ritiene di proporre nuovi argomenti a sostegno del dubbio di legittimità costituzionale, prospettato ora con riferimento anche all'art. 24 della Costituzione.

  L’art. 55 della legge n. 392 del 1978, consentendo al locatore inadempiente di sanare la morosità e di impedire così la risoluzione del contratto successivamente all’instaurazione del procedimento per convalida di sfratto, prevederebbe una deroga alla regola che esclude l’adempimento dell’obbligazione dalla data della domanda di risoluzione (art. 1453, terzo comma, cod. civ.). Tale deroga risponderebbe ad una scelta di politica legislativa diretta a favorire la continuità del rapporto di locazione, attribuendo al conduttore moroso nel pagamento del canone il potere sostanziale di impedire la risoluzione del contratto, pagando, alle condizioni previste, le somme dovute al locatore. Ne segue che sarebbe irragionevole la diversità di trattamento di conduttori che si trovano nella stessa condizione di inadempienza, in ragione di una scelta processuale effettuata non da chi ha il potere di impedire la risoluzione, ma da chi dovrebbe subire gli effetti dell’esercizio di tale potere. Nè, ad avviso del giudice rimettente, permarrebbero le giustificazioni che in precedenza la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 2 del 1992) ha ravvisato nella disciplina processuale allora vigente: la cognizione piena, le maggiori garanzie e la dilatazione dei tempi processuali che differenziavano il procedimento ordinario di risoluzione per inadempimento rispetto a quello speciale di sfratto per morosità, caratterizzato dalla ristrettezza dei termini di chiamata in giudizio e dalla sommarietà della cognizione. La recente riforma del codice di procedura civile (legge 26 novembre 1990, n. 353 e successive modificazioni) avrebbe sostanzialmente eliminato le differenze tra procedimenti, ordinario e speciale, quanto ai termini per comparire; sarebbe anche venuta meno la diversità dei tempi processuali nel giudizio ordinario, essendo stato modellato il processo in materia di locazioni su quello del lavoro.

  Il Pretore di Napoli ritiene che la disciplina denunciata violerebbe anche l’art. 24 della Costituzione: essendo stato riconosciuto al conduttore moroso il potere sostanziale di impedire, effettuando il pagamento, la risoluzione del contratto di locazione, deve essere assicurata sul piano processuale la realizzazione di tale potere. La facoltà di avvalersi, nel processo, del potere di sanare la mora, non potrebbe essere limitata al solo procedimento per convalida ed essere esclusa nel giudizio ordinario, facendo così dipendere l’esercizio di un proprio potere sostanziale da scelte processuali altrui.

  2. — E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata non fondata.

  L’Avvocatura ritiene che l’art. 55 della legge n. 392 del 1978 non avrebbe inteso derogare, per le locazioni, ai principi relativi alla risoluzione del contratto per inadempimento, giacchè spetterebbe sempre alla parte adempiente scegliere tra la domanda di risoluzione e quella di adempimento. Sarebbe stata solo modificata la disciplina del particolare procedimento sommario per la convalida di sfratto per morosità. La intimazione dello sfratto verrebbe ad essere configurata come richiesta di adempimento e come minaccia di risoluzione in caso di persistenza dell’inadempimento. Difatti l’ordinanza di convalida presuppone la verifica, da parte del giudice, che non vi sia opposizione del conduttore e che persista la morosità. Se il conduttore versa in udienza quanto dovuto, mancherebbe la persistenza della morosità ed il procedimento non si convertirebbe in un ordinario giudizio di cognizione, diretto ad accertare l’importanza dell’inadempienza con la eventuale conseguenza della risoluzione del rapporto.

  L’Avvocatura ritiene, comunque, che il legislatore, bilanciando l’interesse sociale legato alla disponibilità di una abitazione da parte del conduttore con la prestazione di una somma di denaro cui questi é tenuto, potrebbe discostarsi dai principi della disciplina comune dei contratti per disporre che il conduttore inadempiente possa adempiere anche dopo che é stata richiesta la risoluzione del contratto di locazione.

Considerato in diritto

1. — La questione di legittimità costituzionale investe l’art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), che consente al conduttore che non ha adempiuto al pagamento del canone e degli oneri accessori (previsti per le locazioni di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione dall’art. 5 della stessa legge) di versare alla prima udienza l’importo dovuto e le spese liquidate dal giudice, in tal modo escludendo la risoluzione del contratto di locazione. Il Pretore di Napoli ritiene che la facoltà del conduttore di sanare in sede giudiziale la morosità operi solo nel procedimento sommario per convalida di sfratto e non nell’ordinario procedimento di risoluzione del contratto per inadempimento, nel quale, secondo la regola comune, dalla data della domanda di risoluzione il debitore inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione (art. 1453, terzo comma, cod. civ.).

  Su questo presupposto interpretativo viene denunciata la violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione. Sarebbe ingiustificata la disparità di trattamento del conduttore che, trovandosi nella stessa situazione di morosità, potrebbe, con il pagamento di quanto dovuto, evitare la risoluzione del contratto in un caso e non nell’altro. Inoltre sarebbe leso il diritto di agire in giudizio a tutela dei propri diritti, giacchè la facoltà sostanziale di sanare la morosità, così escludendo la risoluzione del contratto, dipenderebbe dalle scelte processuali di chi dovrebbe subire gli effetti di tale facoltà.

  2. - La questione non é fondata, nei sensi di seguito precisati.

  2.1. - Il termine per il pagamento dei canoni scaduti, stabilito dall’art. 55 della legge n. 392 del 1978, consente al conduttore di sanare in giudizio la morosità che, per le locazioni di immobili adibiti ad uso di abitazione, costituisce inadempimento e motivo di risoluzione del contratto quando siano decorsi venti giorni dalla scadenza prevista per il pagamento del canone, ovvero quando l’importo degli oneri accessori non pagati superi quello di due mensilità del canone (art. 5 della stessa legge).

  In tal modo il legislatore ha per un verso stabilito, con una valutazione legale tipica, l’importanza dell’inadempimento del conduttore idoneo a determinare la risoluzione del contratto (che non ammette clausole risolutive espresse con termini più gravosi per il conduttore); per altro verso ha contemperato l’interesse del locatore a ricevere tempestivamente il corrispettivo per il godimento dell’immobile con l’interesse del conduttore a non essere privato dell’abitazione, consentendo a quest’ultimo di adempiere in sede giudiziale la sua obbligazione, per non più di tre volte nel corso della durata quadriennale del contratto, provvedendo al pagamento di quanto dovuto alla prima udienza o nel termine indicato dal giudice.

  La previsione della facoltà di sanare la morosità in giudizio e la regolamentazione del termine per il pagamento dei canoni scaduti a tal fine previsto, comprese tra le disposizioni processuali della disciplina delle locazioni di immobili urbani, non menzionano in alcun modo, perchè se ne possa dedurre che si riferiscano esclusivamente ad esso, il procedimento per convalida di sfratto.

  Difatti l’art. 55 della legge n. 392 del 1978 fa testuale riferimento alla sede giudiziale ed alla prima udienza: elementi, questi, che non valgono a richiamare esclusivamente il procedimento sommario per convalida di sfratto e ad escludere l’ordinario giudizio di cognizione, nel quale sia chiesta la risoluzione del contratto di locazione che il pagamento all’udienza, nei termini previsti dalla stessa disposizione denunciata, vale ad escludere. Gli effetti del pagamento dei canoni scaduti nella sede giudiziale possono astrattamente prodursi sia nella procedura sommaria di sfratto per morosità che in quella ordinaria di risoluzione per inadempimento, rispondendo alla medesima finalità. Anche la disciplina delle modalità e dei termini del pagamento, prevista dalla disposizione denunciata, é egualmente compatibile con l’articolazione di entrambi i procedimenti.

  E’ dunque possibile interpretare l’art. 55 della legge n. 392 del 1978 nel senso che la sanatoria in giudizio della morosità sia ammessa non solo nel procedimento per convalida di sfratto, come sostiene il giudice rimettente sulla base dell’orientamento prevalente della Corte di cassazione, ma anche nel giudizio ordinario di risoluzione del contratto per inadempimento, come ha ritenuto un diverso orientamento della stessa giurisprudenza di legittimità e come sostiene larga parte della dottrina e della giurisprudenza di merito.

L’interpretazione che consente al debitore un efficace pagamento in sede giudiziale, tale da escludere la pronuncia di risoluzione del contratto, senza distinguere tra i diversi tipi di procedimento, supera i dubbi di legittimità costituzionale proposti dal giudice rimettente. Difatti la condizione del conduttore inadempiente che intenda avvalersi, nei termini previsti dalla stessa disposizione denunciata, della facoltà di sanare la morosità così escludendo la risoluzione del contratto, non muterebbe in alcun modo per effetto della procedura prescelta dal locatore.

Essendo possibile una interpretazione della disposizione che esclude il contrasto con i parametri indicati per la verifica della legittimità costituzionale, é doveroso preferire tale interpretazione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Napoli con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 gennaio 1999.

Presidente Renato GRANATA

Redattore Cesare MIRABELLI

Depositata in cancelleria il 21 gennaio 1999.