SENTENZA N.334
ANNO 1998
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio promosso con ricorso della Regione Emilia-Romagna, notificato il 12 marzo 1997, depositato in cancelleria il 21 successivo per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto del Sottosegretario di Stato del ministero per i beni culturali e ambientali, emesso il 30 ottobre 1996, recante: "Dichiarazione di notevole interesse pubblico dei centri storici di Bagno e di S. Piero in Bagno e del rilievo sulla Vallata del Savio in zona S. Piero in Bagno e Bagno di Romagna, compresa l’emergenza di Corzano ricadenti nel comune di Bagno di Romagna in provincia di Forlì" ed iscritto al n. 11 del registro conflitti 1997.
Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 2 giugno 1998 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.
Uditi gli avvocati Giandomenico Falcon e Fabio Dani per la Regione Emilia-Romagna e l’Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Con ricorso notificato il 12 marzo 1997 e depositato il 21 marzo 1997, la Regione Emilia-Romagna ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in ordine al decreto del sottosegretario di Stato del Ministro per beni culturali ed ambientali 30 ottobre 1996, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 2 dell’11 gennaio 1997, recante "Dichiarazione di notevole interesse pubblico dei centri storici di Bagno e di S. Piero in Bagno e del rilievo sulla Vallata del Savio in zona S. Piero in Bagno e Bagno di Romagna, compresa l’emergenza di Corzano ricadenti nel comune di Bagno di Romagna in provincia di Forlì".
La ricorrente premette alcuni cenni di fatto sulla vicenda che ha dato origine al ricorso, facendo presente che nel 1977 la Commissione provinciale per la tutela delle bellezze naturali di Forlì aveva approvato un verbale con il quale si dichiarava il notevole interesse pubblico di parte dei territori oggetto dell’attuale vincolo, cui, peraltro, non era seguito alcun provvedimento. A seguito della emanazione della legge regionale n. 6 del 1995, che, all’art. 10, ultimo comma, disponeva che i procedimenti per l’apposizione del vincolo paesaggistico fossero conclusi di diritto nel senso della mancata apposizione del vincolo, a decorrere dal novantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della stessa legge, ferma restando la possibilità per le commissioni provinciali di rinnovare le proposte, la predetta commissione provinciale, riesaminata la situazione, riteneva la necessità di un vincolo soltanto per l’emergenza del Colle di Corzano. Nel frattempo, il soprintendente per i beni ambientali e architettonici formulava, invece, al ministero proposta, sulla base della quale il sottosegretario emanava l’atto contestato, di vincolo per l’intera zona indicata nella intitolazione dell’atto stesso.
Preliminarmente, la ricorrente afferma la propria legittimazione alla proposizione del conflitto, nonostante che esso si riferisca a funzioni delegate alla Regione dall’art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977. Ed infatti, la delega, ad avviso della ricorrente, sarebbe pur sempre un istituto giuridico avente un proprio statuto costituzionale, esprimendo un rapporto tra Stato e Regioni previsto e disciplinato nei suoi tratti fondamentali dalla Costituzione. Tali tratti consisterebbero anzitutto nella necessità che l’assegnazione delle funzioni delegate avvenga con legge, e, quindi, che lo Stato mantenga sulle funzioni stesse un potere di adottare istruzioni, decise, secondo l’art. 121 della Costituzione, dal Governo centrale.
Il rapporto di delega sarebbe, ancora, caratterizzato dal principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni in quanto soggetti di rilievo costituzionale.
Ciò posto, tra le attribuzioni regionali al cui presidio é rivolto il conflitto a termini dell’art. 134 della Costituzione, dovrebbe essere incluso il diritto di esercitare le funzioni delegate secondo il regime previsto dalla Costituzione, e ciò a prescindere dall’ulteriore argomentazione relativa al carattere traslativo della delega nella materia de qua, che si desumerebbe dalla particolare ampiezza e stabilità del conferimento, dal fatto che esso é disposto con un atto, il d.P.R. n. 616 del 1977, per il quale la legge di delegazione prevedeva quale principio direttivo la delega delle funzioni amministrative necessarie per rendere possibile l’esercizio organico da parte delle Regioni delle funzioni già trasferite o delegate (art. 1, primo comma , lettera c) della legge n. 382 del 1975), e dalla spettanza alla Repubblica nel suo insieme, e non solo allo Stato, del compito di tutelare il paesaggio, ai sensi dell’art. 9 della Costituzione.
Una ulteriore ragione della propria legittimazione a sollevare il conflitto la ricorrente trae dalla interferenza che la funzione esercitata dal Ministero con l’atto impugnato comporterebbe nella politica urbanistica, rientrante, ex art. 118, primo comma, della Costituzione, tra le funzioni proprie della Regione e comprensiva degli aspetti paesistici. Infatti, l’inclusione di una ampia area negli elenchi dei beni soggetti all’autorizzazione di cui all’art. 7 della legge n. 1497 del 1939 farebbe, in definitiva, dipendere da un’autorità statale la realizzazione delle previsioni urbanistiche locali.
Nel merito, la Regione lamenta che lo Stato non si sia attenuto alle regole di comportamento imposte dal principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni. Al riguardo, osserva la ricorrente che l’attribuzione del potere concorrente del Ministero, previsto dall’art. 82 del d.P.R. n. 616, di integrare l’elenco delle bellezze naturali tutelate, la cui compilazione era stata delegata alle Regioni, era finalizzata al risultato che zone diverse potessero trovare convergente tutela, le une ad iniziativa locale, le altre ad iniziativa ministeriale, ma non certamente a conferire surrettiziamente uno strumento di impugnazione concepito alla stregua di ricorso gerarchico avverso le decisioni locali. Ciò sarebbe, invece, avvenuto nel caso di specie, in cui la Soprintendenza, rimasta isolata nel ritenere la opportunità di un vincolo su di un centro storico, avrebbe ottenuto la vanificazione delle valutazioni rese in sede locale attraverso un controllo gerarchico di merito da parte del Ministero, con lesione, altresì, del principio del buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione. L’organo centrale, ad avviso della ricorrente, avrebbe dovuto almeno rappresentare i gravi motivi di interesse pubblico che avrebbero richiesto la statuizione dei vincoli nonostante la contraria determinazione della commissione provinciale, e richiedere alla Regione di formulare una propria valutazione, che lo stesso Ministero avrebbe, poi, dovuto tener presente nell’assumere le valutazioni finali.
2.- Nel giudizio innanzi alla Corte si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità o la infondatezza del ricorso. Al riguardo, viene richiamato il consolidato indirizzo della Corte in tema di inammissibilità del conflitto di attribuzione a tutela di funzioni delegate, e, in particolare, di quelle di cui all’art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977. Nè i contenuti del presunto "statuto costituzionale della delega", individuati dalla ricorrente, sarebbero pertinenti all’oggetto del presente conflitto. Allo stesso modo, la constatazione che l’esercizio del potere statale di imporre, in via d’integrazione degli elenchi, il vincolo paesistico violerebbe il potere urbanistico regionale non sarebbe sufficiente ad addurre una lesione di dette competenze da parte del provvedimento impugnato.
Quanto alla lamentata violazione del principio di leale collaborazione, l’Avvocatura osserva che la integrazione degli elenchi é un potere concorrente, che esprime una piena autonomia del Ministero per i beni culturali ed ambientali nel valutare le esigenze di tutela paesistica "prescindendo del tutto da finalità sostitutive o correttive degli atti regionali".
3.- Nell’imminenza dell’udienza pubblica, la Regione Emilia-Romagna ha depositato una memoria con la quale insiste per l’accoglimento del ricorso, ribadendo che l’apposizione di un vincolo generalizzato sui centri storici incide sulle competenze regionali in materia di programmazione urbanistica, richiedendo un coordinamento con esse, in ossequio al principio di leale cooperazione. Del resto, la tutela del paesaggio e delle bellezze naturali, osserva la ricorrente, é affidata ad un sistema di intervento pubblico basato su di un concorso di competenze statali e regionali, che richiede una equilibrata concorrenza fra le une e le altre.
Considerato in diritto
1.- Il conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione Emilia-Romagna nei confronti dello Stato riguarda il decreto del sottosegretario di Stato del Ministero per i beni culturali ed ambientali 30 ottobre 1996, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 11 gennaio 1997, n. 2, recante "Dichiarazione di notevole interesse pubblico dei centri storici di Bagno e di S. Piero in Bagno e del rilievo sulla Vallata del Savio in zona S. Piero in Bagno e Bagno di Romagna, compresa l’emergenza di Corzano ricadenti nel comune di Bagno di Romagna in provincia di Forlì". Secondo la Regione il decreto, nel sovrapporre le proprie valutazioni alle diverse valutazioni espresse dalla stessa Regione in attuazione di funzioni delegate, provvedendo, in assenza di confronto con la Regione stessa, alla dichiarazione di notevole interesse pubblico di centri storici, espressamente ritenuta non necessaria in sede locale, avrebbe violato l’art. 118, primo comma, della Costituzione, con riferimento alle funzioni regionali proprie in materia urbanistica, comprensiva degli aspetti paesistici, nonchè i principi costituzionali disciplinanti le relazioni tra Stato e Regioni nello svolgimento del rapporto di delega, con particolare riferimento alla necessità che l’assegnazione delle funzioni delegate avvenga con legge, e che il potere statuale di dettare istruzioni in ordine alle funzioni delegate alle Regioni sia esercitato dal Governo centrale, ai sensi dell’art. 121, quarto comma, della Costituzione.
Vi sarebbe inoltre una violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regione, in quanto il provvedimento impugnato sarebbe stato adottato senza che alla Regione interessata venissero rappresentati i gravi motivi di interesse pubblico che avrebbero richiesto, ad avviso del Ministero, le statuizioni dei vincoli nonostante la contraria determinazione della commissione provinciale, e senza che venisse richiesto alla Regione stessa di formulare una propria valutazione, da tenere presente nelle determinazioni finali.
Infine, sarebbe leso il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, in quanto provvedimenti ministeriali di fatto vanificherebbero decisioni legittimamente assunte in sede locale dalle autorità regionali competenti in base a delega conferita dallo Stato.
2.- L’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa dello Stato, secondo cui il conflitto sarebbe inammissibile in quanto concernente una materia in relazione alla quale la Regione avrebbe la titolarità di competenze soltanto delegate, é infondata. Non può, infatti, negarsi che le censure, come proposte, riguardano profili che attengono ai rapporti tra Regione e Stato in ordine alla ripartizione delle sfere di competenze e ai limiti degli effetti che un atto statale può produrre su funzioni delegate già esercitate dalla Regione, ciò indipendentemente dalla qualificazione della natura della delega nella concreta materia, delega che, tuttavia, assume caratteristiche particolari per gli indefettibili compiti di rilievo nazionale per la tutela dei beni culturali ed ambientali, unitariamente intesi in base all’art. 9 della Costituzione (v., tra le altre, sentenze n. 157 del 1998, n. 341 del 1996, n. 302 del 1988).
3.- Nel merito, il ricorso é privo di fondamento. Lo Stato ha delegato, tra l’altro, le funzioni amministrative concernenti la individuazione delle bellezze naturali, riservandosi tuttavia un potere concorrente di integrare gli elenchi delle bellezze naturali approvate dalle regioni, potere che si riconnette, come precedente meramente storico, al potere ministeriale di modificazione (in sede di approvazione) dell’elenco delle località compilato secondo la originaria procedura prevista dalla legge 29 giugno 1939, n. 1497.
Tale potere di integrazione degli elenchi corrisponde all’interesse, tutt’altro che secondario, della tutela (garantita dalla Costituzione tra i principi fondamentali ed affidata alla Repubblica nel suo insieme) del paesaggio, da intendersi come comprensivo dei valori ambientali insiti nelle bellezze naturali: esso si colloca quale rimedio ulteriore rispetto alle procedure delegate che si svolgono in sede locale. Le caratteristiche particolari del potere statale di integrazione risultano evidenti dalla circostanza che la facoltà di modifica degli elenchi regionali, che lo Stato si é riservato all’atto del conferimento della delega, é espressamente limitato ad aggiunte di completamento, dovendosi escludere ¾ nell’esercizio dell’integrazione ¾ un potere di modifica totalmente o parzialmente soppressiva del vincolo precedentemente imposto dalla Regione.
In altri termini, in base alla norma di legge, della cui applicazione si discute, lo Stato può introdurre aggiunte all’elenco senza che possa al riguardo operarsi una distinzione tra località prese in considerazione o meno nel separato procedimento regionale posto in essere nell’esercizio della delega. Ed anzi, si deve ritenere che la inclusione di località nell’elenco di individuazione delle bellezze naturali può legittimamente (sotto il profilo della ripartizione delle competenze e delle sfere di attribuzioni garantite allo Stato e alle Regioni) avere riguardo a località per le quali vi sia stata una espressa determinazione negativa da parte della Regione, oltre a quelle non incluse per non essere state neanche prese in considerazione a tali fini, ovvero per difetto di iniziativa dei soggetti che concorrono nel procedimento regionale.
Non si configura, quindi, una forma di riesame caducatorio con rimozione di atto regionale, ma piuttosto un esercizio di autonomo potere dello Stato, che può portare anche a valutazione difforme, purchè motivata e con completezza istruttoria, come iniziativa limitata e diretta alla sola imposizione di nuovo (integrativo ed additivo) vincolo, che si sovrappone (in ampliamento delle località vincolate a causa della priorità dell’interesse tutelato e degli indefettibili compiti di rilievo nazionale a tutela dell’ambiente e delle bellezze naturali) alla valutazione e alle precedenti iniziative e determinazioni positive regionali.
L’esistenza di una precedente valutazione negativa regionale impone allo Stato di comportarsi secondo le regole dei procedimenti che si susseguono nel tempo. Sussiste, cioé, in capo allo Stato un potere-dovere di acquisire tutti gli atti pregressi, che devono essere valutati e presi in considerazione nei diversi profili emersi. Vi é, quindi, un obbligo di tenere conto (e quindi di motivare al riguardo specificatamente) dei divergenti punti di vista delle autorità che sono precedentemente intervenute, obbligo non solo rispondente ai principi generali del procedimento amministrativo, ma in particolare rafforzato dai doveri di cooperazione tra le attività del delegante e dell’organo delegato, anche quando lo Stato delegante si sia riservato speciali facoltà autonome e concorrenti (potere autonomo di imposizione del vincolo con carattere integrativo in funzione del preminente interesse della intera collettività nazionale per la tutela dei beni ambientali e paesistici).
La collaborazione tra Stato e Regione non deve, tuttavia, essere spinta fino a richiedere una rinnovata formale acquisizione dell’avviso degli organi della Regione o una chiamata o avviso a partecipare, quando risulti - come emerge attraverso la circostanziata motivazione contenuta nel provvedimento impugnato in questa sede - una presa in considerazione degli atti preesistenti enuncianti il punto di vista e le valutazioni espresse dagli organi regionali, peraltro in tempi tutt’altro che distanziati, tali da essere riferibili all’attualità delle situazioni e degli interessi da tutelare.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara che spetta allo Stato integrare, ai sensi dell’art. 82, secondo comma, lettera a), del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, con atto motivato (d.m. 30 ottobre 1996) gli elenchi delle bellezze naturali della Regione Emilia-Romagna.
Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1998.
Presidente: Giuliano VASSALLI
Redattore: Riccardo CHIEPPA
Depositata in cancelleria il 24 luglio 1998.