SENTENZA N.328
ANNO 1998
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 30, comma 1, lettera i), della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l'attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonchè per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), e dell'art. 12, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), promosso con ordinanza emessa il 7 aprile 1997 dalla Commissione tributaria regionale di Roma sul ricorso proposto dall'Ufficio del registro di Roma contro Bracaglia Vittorio ed altro, iscritta al n. 532 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1997.
Visti l'atto di costituzione di Bracaglia Vittorio e gli atti di intervento del Consiglio provinciale dei consulenti del lavoro di Roma e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 21 aprile 1998 il Giudice relatore Annibale Marini;
uditi gli avvocati Pietro Federico per Bracaglia Vittorio, Francesco Saverio Fortuna e Pietro Federico per il Consiglio provinciale dei consulenti del lavoro di Roma e l'Avvocato dello Stato Carlo Salimei per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un giudizio di appello, promosso dall’Ufficio del registro - Atti pubblici di Roma, nel quale i contribuenti avevano nominato quale loro difensore un consulente del lavoro, la Commissione tributaria regionale di Roma ha sollevato - in riferimento agli artt. 3, 33, quinto comma, 4 e 35 della Costituzione - questione di legittimità costituzionale degli artt. 30, comma 1, lettera i), della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l'attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonchè per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), e 12, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), "nella parte in cui non riconoscono competenza piena nella assistenza tecnica dei contribuenti nel processo tributario ai consulenti del lavoro iscritti nei rispettivi albi professionali".
La censura di disparità di trattamento viene avanzata dalla Commissione rimettente in base all’assunto che le disposizioni denunciate avrebbero attribuito ai consulenti del lavoro una abilitazione alla assistenza tecnica dei contribuenti dinanzi alle commissioni tributarie più limitata di quella di altri soggetti (commercialisti, ragionieri e periti commerciali) che risulterebbero invece equiparati ai consulenti del lavoro nello svolgimento della attività stragiudiziale in materia tributaria.
L’affermata incostituzionalità risulterebbe, ad avviso della Commissione rimettente, ancora più manifesta per effetto del riconoscimento di una capacità difensiva sostanzialmente piena (pari al 90% dei tributi) a soggetti che non sarebbero neppure iscritti ad albi professionali e che, quindi, risulterebbero privi dei requisiti necessari a soddisfare le garanzie pubblicistiche di idoneità tecnica, derivanti dal superamento di un esame di Stato. Le disposizioni censurate, contravvenendo ai propositi di potenziamento della difesa tecnica nel giudizio tributario, violerebbero, pertanto, anche l’art. 33, quinto comma, Cost., che nel prescrivere l'esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio della professione imporrebbe un controllo pubblicistico di idoneità tecnica del difensore.
La irragionevolezza delle norme denunciate emergerebbe, poi, dalla circostanza che il consulente del lavoro, qualora agisca non già quale libero professionista, ma quale dipendente di un’associazione di categoria, godrebbe di una generale abilitazione nelle controversie tributarie degli iscritti all’associazione.
In relazione ai parametri di cui agli artt. 4 e 35 Cost., l’autorità rimettente osserva, infine, che da quasi venti anni (dal d.P.R. n. 739 del 1981) i consulenti del lavoro e i relativi studi professionali svolgono attività di assistenza tributaria con competenza piena e generale e che, conseguentemente, la norma denunciata verrebbe a comprimere illegittimamente il reddito e l’attività di una categoria di lavoratori.
2. - Nel giudizio innanzi alla Corte si é costituito Vittorio Bracaglia, resistente nel giudizio a quo che, ribadendo le argomentazioni prospettate dalla Commissione rimettente, ha concluso per la fondatezza della questione.
3. - E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’infondatezza e per l’inammissibilità della questione.
In particolare, secondo la difesa erariale, dovrebbe escludersi, nella specie, la violazione del principio di eguaglianza atteso che, da un lato, la piena abilitazione alla assistenza tecnica davanti alle commissioni tributarie sarebbe riconosciuta solo alle categorie di soggetti per le quali la materia tributaria rappresenta oggetto specifico della loro professione e dall’altro la limitazione di abilitazione sarebbe sancita per tutte le categorie per le quali la suddetta materia costituisce oggetto solo indiretto delle rispettive attività professionali. I criteri che sono a fondamento della limitazione di abilitazione dettata per i consulenti del lavoro sarebbero, pertanto, identici a quelli stabiliti per altre categorie professionali, quali, ad esempio, gli ingegneri ed altri professionisti tecnici i quali trattano la materia tributaria solo per gli aspetti della loro attività professionale riguardanti i dati catastali di terreni e fabbricati.
Ad avviso della stessa difesa se é vero che, a norma del relativo ordinamento professionale, i consulenti del lavoro, oltre ad assolvere per i datori di lavoro tutti gli adempimenti previsti per l’amministrazione del personale dipendente, possono svolgere ogni altra funzione affine, connessa e conseguente a detta attività, tali ulteriori funzioni sarebbero, comunque, limitate a rapporti di lavoro e riguarderebbero gli adempimenti dei datori di lavoro.
Quanto alla censura di violazione dell’art. 33 Cost., la difesa erariale ne sostiene l’infondatezza per l’inesistenza di una previsione generale dell’esame di Stato quale requisito di abilitazione all’esercizio della professione e per la possibilità di derogare alla necessità dell’esame quando, come nella specie, risultino aliunde accertate la capacità e l’idoneità allo svolgimento della professione. Ferma, in ogni caso, restando la non pertinenza del suddetto parametro rispetto al giudizio a quo.
4. - Nel giudizio ha spiegato altresì intervento il Consiglio provinciale dei consulenti del lavoro di Roma nella veste di portatore dell’interesse collettivo della categoria e rappresentante necessario della stessa.
L’interveniente ricorda come, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’intervento di chi non sia stato parte nel giudizio a quo deve basarsi sulla configurazione di una situazione individualizzata, riconoscibile solo quando l’esito del giudizio di costituzionalità sia destinato ad incidere direttamente su una posizione giuridica specificamente propria dell’interveniente.
Nel caso di specie, ad avviso dell’interveniente, troverebbero applicazione le stesse considerazioni svolte nell’ordinanza del 2 novembre 1993 con cui questa Corte ha affermato l’ammissibilità, in un giudizio analogo a quello in oggetto, dell’intervento della Federazione nazionale degli ordini dei medici, dei chirurgi e degli odontoiatri.
Considerato in diritto
1. - La Commissione tributaria regionale di Roma dubita - in riferimento agli artt. 3, 33, quinto comma, 4 e 35 Cost. - della legittimità degli artt. 30, comma 1, lettera i), della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l'attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonchè per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), e 12, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), "nella parte in cui non riconoscono competenza piena nella assistenza tecnica dei contribuenti nel processo tributario ai consulenti del lavoro iscritti nei rispettivi albi professionali".
2. - In via preliminare va dichiarata l'inammissibilità dell'intervento che il Consiglio provinciale dei consulenti del lavoro di Roma ha spiegato nella qualità di "portatore dell'interesse collettivo della categoria (dei consulenti del lavoro) e rappresentante necessario della categoria stessa". E’ indubbio, infatti, che la funzione rappresentativa dei Consigli provinciali dei consulenti del lavoro, essendo limitata agli iscritti nei rispettivi albi, non può estendersi alla categoria professionale nella sua interezza. Sicchè, ed impregiudicata restando la questione dell’ammissibilità dell’intervento nel giudizio di costituzionalità di parti non costituite nel giudizio a quo, deve comunque escludersi in capo all'interveniente quella veste di ente funzionalizzato alla tutela dell'interesse della categoria professionale che, secondo la sua stessa prospettazione, ne dovrebbe legittimare l'intervento.
3. - Nel merito la questione non é fondata.
3.1. - La non omogeneità della categoria dei consulenti del lavoro rispetto alle categorie professionali alle quali é attribuita una generale abilitazione difensiva dinanzi alle commissioni tributarie esclude di per sè la violazione del principio di eguaglianza dedotta dalla Commissione rimettente.
La limitazione della abilitazione difensiva dei consulenti del lavoro alle materie concernenti le ritenute alla fonte sui redditi di lavoro dipendente ed assimilabili e gli obblighi di sostituto di imposta relativi alle ritenute medesime costituisce, infatti, il riflesso della competenza professionale riconosciuta ai consulenti del lavoro, nella materia tributaria, dalla disciplina vigente. Competenza circoscritta agli "adempimenti previsti per l’amministrazione del personale dipendente" e ad "ogni altra funzione che sia affine, connessa e conseguente" a siffatti adempimenti (art. 2 della legge 11 gennaio 1979, n. 12) e perciò diversa da quella generale attribuita nella stessa materia ai dottori commercialisti, ragionieri e periti commerciali dai rispettivi ordinamenti professionali (v. art. 1 del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067 e art. 1 del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068).
La violazione del principio di eguaglianza non può nemmeno ravvisarsi con riferimento alla attribuzione di una piena abilitazione difensiva nel giudizio tributario a soggetti non iscritti in alcun albo professionale. Si tratta, infatti, di soggetti (ritenuti dal legislatore) in possesso di una generale competenza in materia tributaria, derivante da specifiche esperienze professionali o da un determinato titolo di studio ovvero dalla combinazione di entrambi i suddetti requisiti e, dunque, di categorie non omogenee a quella dei consulenti del lavoro.
Mentre, riguardo alle categorie professionali comparabili con i consulenti del lavoro, in quanto dotate di competenza professionale in materia tributaria di tipo settoriale (ingegneri, architetti, geometri, periti edili, dottori in agraria, agronomi e periti agrari), la norma denunciata dispone una abilitazione all’assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie limitata alla loro specifica competenza professionale ed analoga, sotto tale aspetto, a quella stabilita per i consulenti del lavoro.
3.2. - Non pertinente risulta, poi, il riferimento al parametro di cui all'art. 33, quinto comma, della Costituzione, che prescrive un esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio professionale.
Nella prospettazione della Commissione rimettente tale parametro viene, infatti, evocato al solo fine di confortare la tesi di una irragionevole disparità di trattamento tra i consulenti del lavoro, abilitati ad un patrocinio limitato, e coloro che, pur non avendo superato l'esame di Stato, godono dinanzi alle commissioni tributarie di piena capacità difensiva.
E' evidente, pertanto, che la censura va ricondotta alla violazione del principio di eguaglianza, di cui all'art. 3 Cost. Censura, quest'ultima, già sottoposta ad esame e della quale deve ribadirsi la non fondatezza.
3.3. - Le norme denunciate non possono infine ritenersi lesive dei parametri di cui agli artt. 4 e 35 della Costituzione, i quali non comportano una generale ed indistinta libertà di svolgere qualsiasi attività professionale, rientrando invece nella competenza del legislatore fissare i requisiti di preparazione e capacità occorrenti per l'esercizio professionale nell'interesse della collettività e dei committenti.
La scelta del legislatore di circoscrivere a determinate materie l'attività di assistenza tecnica che i consulenti del lavoro possono svolgere dinanzi alle commissioni tributarie - scelta dettata, come si é visto, dalla competenza professionale propria dei consulenti del lavoro - non può, pertanto, ritenersi in contrasto con la Costituzione in riferimento ad entrambi i parametri evocati dalla Commissione rimettente.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 30, comma 1, lettera i), della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (Disposizioni per ampliare le basi imponibili, per razionalizzare, facilitare e potenziare l'attività di accertamento; disposizioni per la rivalutazione obbligatoria dei beni immobili delle imprese, nonchè per riformare il contenzioso e per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti; delega al Presidente della Repubblica per la concessione di amnistia per reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale), e 12, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 33, quinto comma, 4 e 35 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale di Roma con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 luglio 1998.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Annibale MARINI
Depositata in cancelleria il 24 luglio 1998.