ORDINANZA N.248
ANNO 1998
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 491, comma 2, del codice di procedura penale, promossi con n. 2 ordinanze emesse il 25 settembre 1997 ed il 2 gennaio 1998 dal Tribunale di Firenze nei procedimenti penali a carico di D. S. e di C. G. ed altro, iscritte ai nn. 883 del registro ordinanze 1997 e 110 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 2 e 10, prima serie speciale, dell’anno 1998.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 3 giugno 1998 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che nel corso di un dibattimento relativo ai delitti di atti di libidine violenti e di violenza sessuale, commessi in danno di minori prima dell’entrata in vigore della legge 15 febbraio 1996 n. 66, il Tribunale di Firenze, richiesto dal pubblico ministero di integrare il contenuto del fascicolo per il dibattimento con gli atti di querela, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 491, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui, mediante il richiamo al comma 1 della medesima disposizione, prevede che le questioni concernenti il contenuto del fascicolo per il dibattimento sono precluse se non sono proposte subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti;
che la medesima questione é stata sollevata dallo stesso Tribunale di Firenze in un distinto procedimento, relativo al delitto, pure esso perseguibile a querela, di diffamazione a mezzo stampa;
che ad avviso del Tribunale rimettente la norma impugnata contrasta con:
- l’art. 3 della Costituzione, in quanto, non distinguendo ai fini degli effetti preclusivi ivi previsti gli atti a contenuto probatorio da quelli relativi alle condizioni di procedibilità, sottopone irragionevolmente al medesimo regime atti aventi diversa valenza e funzione processuali;
- l’art. 112 della Costituzione, in quanto il mancato inserimento nel fascicolo per il dibattimento della querela ritualmente proposta imporrebbe al giudice di dichiarare non doversi procedere per mancanza della condizione di procedibilità;
che, trattandosi di atti non aventi contenuto probatorio, il giudice non potrebbe fare ricorso ai poteri di cui all’art. 507 cod. proc. pen., in quanto tale norma opera solo nei confronti dei mezzi di prova;
che, in particolare, l’irragionevolezza della disciplina denunciata emergerebbe dalla constatazione che il legislatore, al fine di dare attuazione al principio della formazione della prova in dibattimento nel contraddittorio tra le parti, ha voluto limitare il bagaglio di conoscenze del giudice del dibattimento agli atti non ripetibili compiuti durante le indagini preliminari, mentre gli atti relativi alle condizioni di procedibilità non hanno significato probatorio e la loro conoscenza é finalizzata alla verifica della sussistenza di tali condizioni;
che é intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
Considerato che in relazione all’identico tenore delle due ordinanze deve disporsi la riunione dei relativi giudizi;
che l'art. 431, comma 1, lettera a), cod. proc. pen. stabilisce che nel fascicolo del dibattimento - formato dalla cancelleria secondo le prescrizioni del giudice - devono essere inseriti gli atti relativi alla procedibilità dell'azione penale;
che l'art. 431, insieme all'art. 433 cod. proc. pen., realizza il sistema del "doppio fascicolo", che rappresenta, in attuazione del principio che le prove debbono formarsi in dibattimento nel contraddittorio tra le parti, una delle scelte più significative del nuovo codice di rito;
che, in particolare, nell'art. 431 cod. proc. pen. sono indicati gli atti destinati ad essere raccolti nel fascicolo per il dibattimento, tra cui figurano i verbali degli atti non ripetibili e quelli degli atti assunti nell’incidente probatorio (lettere b, c e d), nonchè, tra gli atti a contenuto non probatorio, quelli relativi alla procedibilità dell’azione penale (lettera a), mentre gli atti diversi da quelli elencati formano il fascicolo del pubblico ministero (art. 433 cod. proc. pen.);
che la ratio della norma impugnata, coerentemente con il principio ispiratore del sistema del doppio fascicolo, é di garantire che il giudice del dibattimento non sia "pregiudicato" dalla conoscenza degli atti raccolti durante le indagini preliminari;
che – come é stato messo in rilievo in dottrina - la preclusione relativa ai termini di proposizione delle questioni concernenti il contenuto del fascicolo per il dibattimento ha ragion d’essere solo con riguardo agli atti a contenuto probatorio inseriti in detto fascicolo, dei quali sia opinabile, ad esempio, la natura di atti non ripetibili, cioé di atti la cui conoscenza materiale potrebbe orientare i comportamenti del giudice già nel corso dell’acquisizione probatoria dibattimentale;
che, stante la ratio sopra evidenziata, deve ritenersi che non operi alcun effetto preclusivo, ex art. 491, commi 1 e 2, cod. proc. pen., con riguardo agli atti non aventi contenuto probatorio (se non per aspetti meramente processuali), originariamente destinati ad essere allegati al fascicolo per il dibattimento ed erroneamente non inseriti nello stesso, quali appunto quelli relativi alle condizioni di procedibilità;
che quindi di tali atti può essere chiesto in ogni tempo l’inserimento nel fascicolo per il dibattimento;
che restano comunque salvi la facoltà delle parti di chiedere l’ammissione delle prove a norma dell’art. 493 cod. proc. pen., nonchè il potere del giudice di disporne d'ufficio l'assunzione a norma dell’art. 507 cod. proc. pen.;
che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata, in quanto basata su un erroneo presupposto interpretativo.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte Costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 491, comma 2, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 112 della Costituzione, dal Tribunale di Firenze, con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 giugno 1998.
Presidente: Giuliano VASSALLI
Redattore: Guido NEPPI MODONA
Depositata in cancelleria il 3 luglio 1998.