SENTENZA N.138
ANNO 1998
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 62, numero 6, prima parte, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 18 marzo 1997 dalla Corte d'appello di Trieste, iscritta al n. 252 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1997.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 14 gennaio 1998 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un procedimento penale, la Corte d'appello di Trieste, con ordinanza del 18 marzo 1997, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 62, numero 6, prima parte, del codice penale, che prevede come circostanza attenuante l'avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso.
Il giudice a quo rileva che, secondo il prevalente orientamento interpretativo della Corte di cassazione, andrebbe esclusa l'applicabilità dell'attenuante in esame allorchè al risarcimento del danno cagionato alla persona offesa abbia provveduto, in forza di contratto di assicurazione per la responsabilità civile verso terzi, la compagnia assicuratrice, mentre la stessa attenuante sarebbe, invece, applicabile al "soggetto non assicurato che abbia quindi personalmente provveduto al risarcimento del danno".
Così interpretata, la disposizione censurata sarebbe in contrasto, ad avviso del remittente, con l'art. 3 della Costituzione per l'ingiustificato privilegio accordato al soggetto che, in contrasto con la legge, non si assicura per la responsabilità civile contro terzi.
La questione sarebbe, d'altra parte, rilevante nel giudizio a quo, poichè l'imputato avrebbe provato l'avvenuto risarcimento del danno ad opera della sua compagnia di assicurazione e, tuttavia, allo stato, non potrebbe fruire dell'attenuante di cui all'art. 62, numero 6, del codice penale.
2. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
In primo luogo, l'Avvocatura osserva che la giurisprudenza della Corte di cassazione richiamata dal giudice a quo non costituirebbe "diritto vivente" poichè la stessa Corte si sarebbe pronunciata anche in senso difforme, riconoscendo l'applicabilità dell'attenuante in ipotesi di risarcimento del danno da parte dell'assicuratore in forza di contratto di assicurazione stipulato dall'imputato o comunque nell'interesse del medesimo. Pertanto, in presenza di una oscillazione giurisprudenziale, il remittente ben avrebbe potuto (o addirittura dovuto) conformarsi all'interpretazione ritenuta maggiormente aderente al parametro costituzionale.
In via subordinata, l'Avvocatura rileva che l'orientamento della Cassazione richiamato dal giudice a quo sarebbe conforme sia alla ratio della norma (la resipiscenza dell'imputato) che ai parametri costituzionali invocati. In particolare, la Corte d'appello di Trieste avrebbe errato nella individuazione del tertium comparationis, poichè l'esistenza di un contratto di assicurazione per la responsabilità civile non impedirebbe all'imputato, a norma dell'art. 1917 del codice civile, di risarcire personalmente il danno e, quindi, di godere dell'attenuante in esame, assumendosi l'onere ed il relativo rischio di richiedere poi all'assicurazione il pagamento delle somme a tale titolo versate.
Considerato in diritto
1. - Viene all’esame di questa Corte la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 62, numero 6, prima parte, del codice penale, che prevede come circostanza attenuante l’avere prima del giudizio riparato interamente il danno mediante il risarcimento di esso. Secondo la Corte d’appello di Trieste, questa disposizione, nell’interpretazione assunta dalla prevalente giurisprudenza di cassazione, che ne esclude l’applicabilità nell’ipotesi in cui il risarcimento sia stato effettuato, in forza di contratto di assicurazione contro la responsabilità civile verso terzi, dall’ente assicuratore, contrasterebbe con l’articolo 3 della Costituzione, per l’ingiustificata disparità di trattamento tra chi abbia adempiuto all’obbligo di stipulare un contratto per l’assicurazione contro la responsabilità civile verso terzi derivante da circolazione di veicoli o natanti a motore e chi invece , violando la legge, un tale contratto non abbia stipulato.
2. - La questione non é fondata nei sensi di seguito precisati.
E’ vero che la prevalente giurisprudenza della Corte di cassazione, della quale é espressione la sentenza delle sezioni unite 17 aprile 1989, n. 5909, ritiene non applicabile l’attenuante della riparazione del danno prevista dall’art. 62, numero 6, del codice penale, nel caso di risarcimento compiuto dall’ente assicuratore. Questo tradizionale orientamento, che risale alla relazione al codice, é imperniato sul rilievo che la circostanza di cui al citato art. 62, numero 6, prima parte, ha natura soggettiva e si deve perciò risolvere in un comportamento che denoti la volontà dell’imputato di riparare il danno prodotto con la sua condotta criminosa, e quindi in una tangibile manifestazione di resipiscenza che non potrebbe essere riscontrata quando il risarcimento non sia effettuato personalmente e direttamente dall’imputato medesimo, ma sia intervenuto ad opera della compagnia assicuratrice.
Rileva però correttamente l’Avvocatura dello Stato che, nonostante la richiamata giurisprudenza, non vi sono ostacoli a che il giudice adotti della disposizione censurata una interpretazione adeguatrice, tale cioé da risolvere immediatamente, e senza la necessità di una pronuncia caducatoria di questa Corte, il dubbio di legittimità costituzionale.
L’interpretazione fatta propria dal remittente non é, infatti, la sola possibile, nè l’orientamento che in essa si esprime può essere considerato in questa sede diritto vivente. Successive sentenze della stessa Corte di cassazione (ad es.: sez. III, 18 dicembre 1991, n. 12760), proprio muovendo dai profili di incostituzionalità connessi alla prevalente interpretazione, affermano l’esigenza di svincolare l’attenuante del risarcimento del danno dalla sua tradizionale collocazione nel novero delle attenuanti soggettive e di ritenerla tale solo quanto agli effetti, ai sensi dell’articolo 70 cod. pen., ma non anche ai fini del suo contenuto, l’analisi del quale dovrebbe invece indurre a qualificarla come essenzialmente oggettiva. E invero, a favore della qualificazione dell’attenuante in senso oggettivo, sotto l’aspetto contenutistico, depongono concordi argomenti testuali, logici e sistematici. In primo luogo, nessun elemento, nella formulazione legislativa, conduce a ritenere che il legislatore abbia assunto come fine dell’attenuante il ravvedimento del reo.
Dal punto di vista logico, il fatto che il risarcimento debba essere integrale e che non sia quindi ammessa una riparazione parziale é, al contrario, indice non solo della irrilevanza degli stati psicologici o dell’atteggiamento interiore del reo, ma del preminente risalto che si intende dare alla figura della persona offesa e all’esigenza che il pregiudizio da questa subìto a causa del comportamento criminoso del colpevole sia interamente ristorato. La considerazione dell’integralità del risarcimento é talmente esclusiva che nemmeno il più evidente tra gli indici di ravvedimento, quale in astratto potrebbe essere il trasferimento spontaneo di tutti i beni dell’imputato a favore della persona offesa, varrebbe a rendere operante l’attenuante se il riequilibrio patrimoniale non risultasse pieno. E’ questo il segno che nel conflitto di interessi tra reo e vittima del reato, regolato dall’articolo 62, numero 6, prima parte, cod. pen., l’interesse della vittima non lascia alcuno spazio a pur eloquenti manifestazioni di ravvedimento del reo, per le quali soccorrono oggi altri istituti del diritto penale.
In verità, la pretesa che nel riconoscimento dell’attenuante debba aversi riguardo al pentimento del reo, desunto dal sacrificio patrimoniale a cui si sottopone personalmente come indice di diminuita capacità a delinquere, sospingerebbe l’obbligazione verso la finalità rieducatrice che é propria della pena. Ma non é questo il fine dell’obbligazione risarcitoria che incombe sull’autore del reato: nel sistema del codice penale tale obbligazione ha natura civilistica ed é dotata di una finalità di emenda non maggiore di quanta non ne possieda la generalità delle obbligazioni civili nascenti da fatto illecito. L’articolo 185 cod. pen. prevede che ogni reato che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbano rispondere per il fatto altrui; l’adempimento di tale obbligazione può provenire indifferentemente dal reo o dal responsabile civile, restando, nell’un caso e nell’altro, identica la finalità della disposizione, che é quella del soddisfacimento della pretesa del danneggiato mediante la reintegrazione del suo patrimonio. Non diversa finalità, per la chiara correlazione sistematica tra le due disposizioni, possiede l’articolo 62, numero 6, prima parte, del codice penale, col suo prevedere che il risarcimento del danno sofferto dalla parte lesa debba essere integrale, ossia che l’obbligazione civile nascente dal reato debba essere adempiuta, e quindi estinta, prima del giudizio.
La sola variante che l’articolo 62 introduce al regime delle obbligazioni nascenti dal reato, rispetto al diritto civile, é che agli effetti dell’attenuante non sono consentite dilazioni di pagamento nè sono ammessi modi di estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempimento. Ma é questa una variante che, lungi dal deporre nel senso di una qualche finalità di rieducazione o di emenda del reo, rafforza ancor più il carattere essenzialmente oggettivo dell’attenuante e il suo essere ordinata al ristoro della parte offesa onde risulti, con valutazione ex post, meno grave la vulnerazione dell’ordine giuridico provocata dal reato.
3. - Decisiva, ai fini di una corretta lettura della disposizione censurata, é la considerazione che l’interpretazione dell’attenuante in chiave meramente soggettiva, che ravvisasse in essa una finalità rieducativa, contrasterebbe con l’articolo 3 della Costituzione sotto i molteplici profili evidenziati dal giudice remittente e dalla più recente giurisprudenza della Corte di cassazione. Ne seguirebbe infatti una arbitraria svalutazione dell’istituto dell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti (legge 24 dicembre 1969, n. 990), istituto che svolge nel nostro ordinamento una insostituibile funzione riequilibratrice, in attuazione degli imperativi contenuti nell’art. 3 della Costituzione.
Alla base della scelta di politica sociale a favore dell’assicurazione obbligatoria sta l’enorme sviluppo che ha avuto negli ultimi decenni la motorizzazione civile. Se il fine preminente é quello della tutela delle vittime della circolazione, non é disgiunta da tale scelta, ed anzi le é inscindibilmente connessa, la creazione di un contesto di generale sicurezza patrimoniale (alla sicurezza tecnica provvedono altri istituti) quale condizione minima di accettabilità degli attuali livelli del fenomeno. Di qui, appunto, l’obbligo imposto ad ogni proprietario di veicolo di trasferire ad un imprenditore specializzato, sottoposto a penetranti controlli pubblici, il rischio della propria responsabilità civile, affinchè tale rischio sia ripartito fra tutti i proprietari di mezzi di trasporto a motore in modo che il sacrificio di ciascuno sia ridotto al minimo, e siano corrispondentemente massimizzate le garanzie patrimoniali dei danneggiati, secondo un principio di solidarietà che già questa Corte ha riconosciuto come fondamento della legge n. 990 del 1969 (sentenze nn. 560 del 1987, 77 del 1983 e 56 del 1975).
Ebbene, l’interpretazione seguita dal giudice remittente, nell’imporre all’imputato, con la cogenza che é propria delle norme penali, l’onere di non avvalersi dell’assicurazione e di provvedere personalmente al ristoro dei danni, finirebbe col negare l’anzidetta funzione dell’assicurazione obbligatoria proprio nei frangenti nei quali se ne rende più manifesta l’essenzialità: danni alle persone e conseguenti obblighi risarcitori eccedenti le normali condizioni patrimoniali dei proprietari di veicoli. E così, il risarcimento del danno, strutturato nell’ordinamento generale attorno al principio di solidarietà, verrebbe privato di quell’insieme organizzato di garanzie patrimoniali che per volontà del legislatore indefettibilmente l’accompagnano, e ridotto a prestazione personale del danneggiante isolatamente considerato, secondo una visione premoderna dell’istituto della responsabilità civile in questo settore; una visione che non solo comporterebbe una macroscopica disparità di trattamento tra danneggianti a seconda delle loro condizioni patrimoniali, ma si risolverebbe in un inammissibile restringimento del diritto alla resipiscenza o al ravvedimento che verrebbe riservato alle sole persone provviste di mezzi finanziari che siano in grado di provvedere personalmente all’integrale ristoro dei danni. Ne risulterebbero, simmetricamente, coinvolte le parti offese: la disposizione censurata, anzichè assicurare quella tutela risarcitoria completa e tempestiva che il testo dell’art. 62, numero 6, prima parte, mostra di voler perseguire, verrebbe in una qualche misura a limitare le loro opportunità di un risarcimento rapido, riducendo la probabilità di un intervento sollecitatorio presso l’ente assicuratore che un imputato, che potesse contare su un’accezione oggettiva dell’attenuante, sarebbe, di norma, interessato a compiere.
4. - Il principio di superiorità della Costituzione impone ai giudici di scegliere tra più soluzioni astrattamente possibili quella che pone la legge al riparo da vizi di legittimità costituzionale. E nella specie l’interpretazione dell’art. 62, numero 6, prima parte, del codice penale, non contraddetta dalla formulazione testuale, tale da lasciare indenne la disposizione dal vizio di costituzionalità che altrimenti la inficerebbe, é nel senso che l’attenuante del risarcimento del danno in essa prevista sia operante anche quando l’intervento risarcitorio, comunque riferibile all'imputato, sia compiuto, prima del giudizio, dall’ente assicuratore.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 62, numero 6, prima parte, del codice penale, sollevata, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, dalla Corte d’appello di Trieste con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 aprile 1998.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Carlo MEZZANOTTE
Depositata in cancelleria il 23 aprile 1998.