Sentenza n. 136/98

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SENTENZA N. 136

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott. Renato GRANATA, Presidente

- Prof. Giuliano VASSALLI

- Prof. Francesco GUIZZI

- Prof. Cesare MIRABELLI

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO

- Avv. Massimo VARI

- Dott. Cesare RUPERTO

- Dott. Riccardo CHIEPPA

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY

- Prof. Valerio ONIDA

- Prof. Carlo MEZZANOTTE

- Avv. Fernanda CONTRI

- Prof. Guido NEPPI MODONA

- Prof. Annibale MARINI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 2, 3, 8 in riferimento al comma 2, della legge 13 dicembre 1989, n. 401 (Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento delle competizioni agonistiche), modificato dalla legge 24 febbraio 1995, n. 45 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 dicembre 1994, n. 717, recante misure urgenti per prevenire fenomeni di violenza in occasione di competizioni agonistiche), promosso, con ordinanza emessa il 13 novembre 1996, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale per i minorenni di Firenze, iscritta al n. 35 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 1997.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 10 dicembre 1997 il Giudice relatore Massimo Vari.

Ritenuto in fatto

  1.— Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale per i minorenni di Firenze, con ordinanza 13 novembre 1996 (r. o. n. 35 del 1997), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 31, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale, dell’art. 6, commi 2, 3, 8 in riferimento al comma 2, della legge 13 dicembre 1989, n. 401 (Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento delle competizioni agonistiche), come sostituito dall’art. 1 della legge 24 febbraio 1995, n. 45 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 dicembre 1994, n. 717, recante misure urgenti per prevenire fenomeni di violenza in occasione di competizioni agonistiche).

  2.— Il giudice a quo — chiamato a convalidare i provvedimenti del 6 novembre 1996, con i quali il Questore della Provincia di Siena aveva fatto divieto a due minori di età di accedere ai luoghi ove si svolgevano talune competizioni sportive, imponendo, nel contempo, "l’obbligo di presentazione negli uffici della Questura, in concomitanza con l’inizio delle competizioni medesime" — osserva che il legislatore, nell’attribuire, con l’art. 6 della citata legge n. 401 del 1989, all’autorità di pubblica sicurezza il predetto potere di interdizione, ha previsto, con l’art. 1 del decreto-legge 22 dicembre 1994 n. 717, convertito, con modificazioni, nella legge 24 febbraio 1995, n. 45, l’eventuale imposizione, a garanzia del divieto come sopra stabilito, anche dell’obbligo, per il soggetto destinatario, di comparire personalmente nell’ufficio o comando di polizia, in orario compreso nel periodo di svolgimento delle competizioni per le quali opera il divieto stesso. Misura, quest’ultima, soggetta alla convalida da parte dell’Autorità giudiziaria.

  Rammenta, altresì, il rimettente che l’art. 6, comma 3, della legge in esame é stato dichiarato incostituzionale nella parte in cui prevedeva che la convalida del provvedimento adottato dal questore, nei confronti del minore di età, spettasse al giudice per le indagini preliminari presso la pretura anzichè a quello presso il tribunale per i minorenni, riconducendosi, in tal modo, il provvedimento stesso nell’ambito della giustizia minorile, caratterizzata, come risulta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 143 del 1996, "dalla prevalente esigenza rieducativa, nonchè dalla necessità di valutazioni, da parte dello stesso giudice, fondate su prognosi individualizzate in funzione del recupero del minore deviante".

  3.— Tanto premesso, l’ordinanza ritiene che la disciplina sopra ricordata contrasti, anzitutto, con gli artt. 3 e 24 della Costituzione in quanto — nonostante l’attribuzione all’autorità giudiziaria della competenza per la convalida del provvedimento secondo uno schema che ricalca quello dell’art. 390 cod. proc. pen. — l’assoluto silenzio del legislatore in ordine alle relative modalità procedurali non garantirebbe il contraddittorio e la difesa, che non potrebbero, infatti, essere lasciati alla sensibilità del singolo giudice per le indagini preliminari, ma dovrebbero essere formalmente assicurati. E questo anche perchè "risulta prassi consolidata l’effettuazione di convalide basate meramente su acquisizioni scritte, senza il contraddittorio previsto dall’art. 391 cod. proc. pen. a cui sarebbe stato opportuno facesse riferimento il legislatore".

  Tanto più evidente apparirebbe, poi, la disparità di trattamento per il minore, ove si pensi alle misure amministrative (artt. 25-27 del r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, nella legge 27 maggio 1935, n. 835) che possono essere disposte dal tribunale per i minorenni "in camera di consiglio, con l’intervento del minore, dell’esercente la potestà o la tutela, sentito il P.M." e con la consentita assistenza del difensore (in base alla modifica del citato art. 25 introdotta dalla legge 25 luglio 1956, n. 888).

  4.— Viene denunciato, altresì, per contrasto con l’art. 31, secondo comma, della Costituzione, il comma 3 del già menzionato art. 6, nella parte in cui dispone che il giudice proceda alla convalida del provvedimento del questore entro quarantotto ore dalla richiesta del pubblico ministero.

  Secondo il rimettente, i ristretti termini stabiliti per la convalida non consentono l’acquisizione di elementi idonei a realizzare le finalità della giustizia minorile, non disponendo il giudice del tempo utile per dare, al servizio di zona od al servizio ministeriale, il mandato di avviare una procedura di raccolta di dati ed informazioni sulla personalità del minore, sì da soddisfare l’esigenza, posta in risalto dalla già citata sentenza n. 143 del 1996, che il giudice (minorile) per le indagini preliminari possa avvalersi del contributo di detti servizi, al fine di valutare la conoscenza della personalità e delle condizioni di vita del minore stesso.

  Tali valutazioni, ancorchè necessarie per le finalità di protezione contenute nell’art. 31, secondo comma, della Costituzione, sarebbero comunque destinate a restare fine a se stesse, essendo preclusa al giudice la possibilità di incidere sul contenuto e sulle modalità dell’applicazione del provvedimento, che ha soltanto facoltà di convalidare o non convalidare.

  5.— Sempre lesivo delle finalità di protezione indicate dall’art. 31, secondo comma, della Costituzione sarebbe, secondo il rimettente, anche il comma 8 dell’art. 6 nella parte in cui attribuisce, in via esclusiva, al questore la facoltà di autorizzare, per gravi e comprovate esigenze, il minore destinatario del provvedimento restrittivo "a comunicare per iscritto il luogo di privata dimora o altro diverso luogo nel quale sia reperibile durante lo svolgimento di specifiche manifestazioni agonistiche". Infatti, "là dove é da adeguare la misura alla realtà ed all’evolversi della personalità, all’evolversi ed al modificarsi delle esigenze educative", la competenza non potrebbe non essere dell’autorità giudiziaria, e nella specie del giudice minorile.

  6.— E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che, nel concludere per una declaratoria di inammissibilità o di infondatezza, osserva che la questione, anche a ritenerla ammissibile, sarebbe, comunque, infondata dovendo "il trattamento normativo essere uniforme ove le situazioni regolate siano omogenee" e non, invece, quando sussistano, come nel caso in esame, "fondate ragioni per differenziarlo".

Considerato in diritto

  1.— Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale per i minorenni di Firenze dubita della legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 2, 3, 8 in riferimento al comma 2, della legge 13 dicembre 1989, n. 401 (Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di competizioni agonistiche), come sostituito dall’art. 1 della legge 24 febbraio 1995, n. 45 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 dicembre 1994, n. 717, recante misure urgenti per prevenire fenomeni di violenza in occasione di competizioni agonistiche).

  Oggetto di censura é la disciplina prevista per la convalida del provvedimento adottato dal questore, al fine di impedire l’accesso ai luoghi di svolgimento di talune competizioni agonistiche alle persone che siano state denunciate o condannate per determinati reati, o abbiano preso parte ad episodi di violenza in occasione o a causa di manifestazioni sportive, ovvero, nelle medesime circostanze, abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza. La legge denunciata stabilisce che a costoro, oltre al divieto di accedere ai luoghi di svolgimento delle manifestazioni indicate nel comma 1 dell’art. 6, possa essere imposto, altresì, l’obbligo di comparire negli uffici di polizia, in "orario compreso nel periodo di tempo in cui si svolgono le competizioni per le quali opera il divieto", giusta la espressa previsione in tal senso del successivo comma 2. Quest’ultima prescrizione va comunicata al procuratore della Repubblica presso la pretura del circondario in cui ha sede l’ufficio di questura, il quale, ove ne ricorrano i presupposti, chiede, entro quarantotto ore, al giudice per le indagini preliminari, la convalida del provvedimento.

  2.— Secondo il rimettente la disciplina contenuta nei menzionati commi 2 e 3 dell’art. 6 contrasterebbe, anzitutto, con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, in ragione dell’assoluto silenzio serbato dal legislatore in ordine alle modalità procedurali della convalida, tali da non garantire il contraddittorio e la difesa, specie di fronte a "prassi consolidate", di effettuazione della convalida stessa sulla base unicamente di acquisizioni scritte. Tanto più evidente sarebbe, secondo il giudice a quo, la disparità di trattamento a danno del minore destinatario del provvedimento del questore ove si ponga mente al sistema di garanzie previsto per l’applicazione, ai minori, delle misure amministrative disciplinate dagli artt. 25-27 del r.d.l. n. 1404 del 1934 e successive modificazioni, che possono essere disposte dal tribunale per i minorenni in camera di consiglio, con l’intervento del minore, dell’esercente la potestà genitoriale o la tutela e con la consentita assistenza del difensore.

  3.— Il medesimo comma 3 viene denunciato per violazione, altresì, dell’art. 31, secondo comma, della Costituzione, in quanto, nel prevedere per la convalida i ristretti termini delle quarantotto ore successive alla richiesta del pubblico ministero, non permetterebbe al giudice per le indagini preliminari di avviare la procedura di raccolta di dati ed informazioni che consentano la valutazione della personalità del minore e della utilità a fini educativi della misura, anche in relazione alle modalità della sua applicazione.

  Sotto altro profilo, ma in stretta connessione con quello testè accennato, la disposizione — sul presupposto che il giudice per le indagini preliminari abbia solo la facoltà di convalidare o non convalidare il provvedimento del questore — viene poi ulteriormente censurata nella parte in cui non consentirebbe al giudice stesso di incidere sul contenuto e sulle modalità d’applicazione del provvedimento medesimo.

  4.— Infine, ad avviso del rimettente le finalità di protezione del minore contenute nell’art. 31, secondo comma, della Costituzione, risulterebbero frustrate anche dal comma 8 del medesimo art. 6 (denunciato in riferimento al comma 2), là dove prevede che sia il questore ad autorizzare, per gravi e comprovate esigenze, il destinatario del provvedimento restrittivo "a comunicare per iscritto il luogo di privata dimora o altro diverso luogo nel quale sia reperibile durante lo svolgimento di specifiche manifestazioni agonistiche", anzichè il giudice minorile, come suggerirebbe invece l’esigenza di adeguare la misura alla realtà e all’evolversi della personalità, come pure al modificarsi delle esigenze educative.

  5.— Le questioni sono in parte inammissibili ed in parte infondate.

  L’ordinanza ripropone all’esame della Corte una normativa di cui essa ha avuto occasione, più volte, di occuparsi, tra l’altro con la sentenza invocata dal rimettente a sostegno di talune delle sue doglianze.

  Alla stregua di tali precedenti, la prima delle questioni va reputata non fondata, trovando essa risposta nella sentenza n. 144 del 1997, con la quale la Corte, nel riconfermare la necessità, già rilevata in passato, di un vaglio e di un controllo, da parte dell’autorità giudiziaria, della misura dell’obbligo di comparire nell’ufficio o comando di polizia, in quanto incidente sulla sfera della libertà personale del soggetto, ha nondimeno rammentato come il diritto di difesa ammetta una molteplicità di discipline, in rapporto alla varietà dei contesti, delle sedi e degli istituti processuali nel cui ambito é esercitato.

  Peraltro, con detta pronunzia, la Corte, nel constatare che, in subiecta materia, non può certo dirsi che manchi per l’interessato la facoltà di interloquire nel procedimento, ha ritenuto che l’unica esigenza da soddisfare, in relazione alla vigente disciplina, sia quella di assicurare all’interessato la concreta ed effettiva conoscenza delle facoltà di difesa a lui spettanti. Da qui la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 3, della legge n. 401 del 1989 (come sostituito dall’art. 1 della legge n. 45 del 1995) "nella parte in cui non prevede che la notifica del provvedimento del questore contenga l’avviso che l’interessato ha facoltà di presentare, personalmente o a mezzo di difensore, memorie o deduzioni al giudice per le indagini preliminari".

  Dopo tale decisione, tenendo conto delle più puntuali garanzie che ad essa conseguono, si può, perciò, ritenere che nel tendenziale allineamento attualmente riscontrabile fra le facoltà di difesa assicurate nel procedimento di convalida ex art. 6, comma 3, della legge denunziata e quelle proprie del tertium comparationis evocato dal rimettente (secondo quanto specificamente disposto dall’art. 25 del regio decreto-legge n. 1404 del 1934, convertito nella legge n. 835 del 1935, come modificato dalla legge n. 888 del 1956) non sussistano differenze apprezzabili in chiave di ingiustificata disparità di trattamento.

  6.— Sempre sulla scorta delle enunciazioni desumibili dalla giurisprudenza della Corte (sentenza n. 143 del 1996) in ordine alle peculiari esigenze della giustizia minorile, il rimettente si duole, poi, dell’inadeguatezza della disciplina in proposito apprestata dal medesimo comma 3 dell’art. 6, assumendo che i termini a disposizione del giudice per le indagini preliminari non gli consentirebbero una adeguata raccolta e utilizzazione dei dati concernenti la personalità del minore, sì da frustrare le specifiche garanzie riferite all’iter processuale minorile e da non permettere di "avvalersi dei servizi minorili allo scopo di approfondire la conoscenza della personalità e della condizione di vita" dell’interessato.

  Come già osservato nella richiamata sentenza n. 144 del 1997, sebbene il modello prescelto dal legislatore ricalchi quello della convalida del fermo o dell’arresto ex artt. 390 e 391 cod. proc. pen. (applicabili peraltro anche al processo minorile, per effetto del richiamo contenuto nell’art. 18, comma 5, delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), le misure di cui all’art. 6 della legge n. 401 del 1989, non preordinate di per sè alla repressione e sanzione di fattispecie criminose, hanno una incidenza sulla libertà personale ben più limitata delle menzionate misure pre-cautelari, assumendo il carattere di rimedio di livello minimale adeguato allo scopo di prevenzione cui é deputato. D’altro canto, si tratta, come la Corte ha già osservato, di provvedimenti la cui efficacia risente della celerità della applicazione, sì che la ristrettezza dei termini di cui dispone il giudice per le indagini preliminari (con scansioni sostanzialmente non diverse da quelle previste per la convalida delle ben più incisive misure del fermo e dell’arresto adottabili anche in danno del minore) trova la sua ragione nella esigenza della sollecita decisione che, nella specie, si impone. Si spiega, dunque, la necessaria sommarietà di acquisizioni e conseguenti valutazioni, a fronte, peraltro, di provvedimenti che non appaiono destinati a incidere in modo definitivo e pieno sul giudizio globale intorno alla personalità del minore; giudizio che, come tale, non rientrerebbe, comunque, nella competenza del giudice per le indagini preliminari.

  Nell’ambito del suaccennato quadro di riferimento e in relazione alle esigenze che esso pone, il giudice per le indagini preliminari — e, prima ancora di esso, il pubblico ministero, secondo le previsioni dell’art. 17 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 272, contenente le norme di attuazione, di coordinamento e transitorie sul processo penale minorile — potrà attivare i previsti servizi minorili compatibilmente con gli obiettivi e con le esigenze da perseguire, senza che, per questo, possa reputarsi concretato alcun vulnus ai principi costituzionali evocati dal rimettente. Ciò fermo restando, ovviamente, che si potrà semmai porre un problema di adeguamento di strutture a livello amministrativo, affinchè i predetti servizi possano rispondere, nel modo più idoneo, alle richieste loro rivolte, caratterizzate, come già detto, da particolari esigenze di sollecitudine e rapidità.

  7.— Non maggiore fondamento ha la censura concernente il medesimo art. 6, comma 3, ulteriormente denunciato per contrasto con l’art. 31, secondo comma, della Costituzione, sull’assunto che al giudice per le indagini preliminari sarebbe consentito solo di convalidare o non convalidare il provvedimento del questore, ma non di poter incidere sul suo contenuto e sulle sue modalità applicative.

  Occorre precisare, a questo riguardo, che l’obbligo di comparizione, oggetto di convalida, ha natura accessoria rispetto al provvedimento di cui al comma 1 dell’art. 6, operando al fine di garantire l’effettività del divieto imposto con quest’ultimo, cui spetta individuare specificamente, come richiede la legge, le competizioni agonistiche ed anche i luoghi interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle competizioni medesime; e così pure di stabilire la durata dell’interdizione, nell’ambito ovviamente dei limiti massimi previsti dal comma 5 (il quale dispone che il divieto di cui al comma 1 e l’ulteriore prescrizione di cui al comma 2 non possono avere durata superiore ad un anno).

  Ma il carattere strumentale del provvedimento che dispone l’obbligo di comparizione, rispetto al divieto di accesso, non esclude che al giudice per le indagini preliminari, al momento di decidere se convalidare o meno il provvedimento stesso e quindi in definitiva in sede di delibazione della legittimità di una misura che, nel caso di specie, risulta imposta dall’autorità amministrativa, spetti pur sempre — stante l’identità solo qualificatoria e di struttura procedimentale che la convalida in questione presenta rispetto all’istituto disciplinato dal codice di rito penale (v. in particolare sentenze n. 144 del 1997 e n. 143 del 1996) — il controllo sulla ragionevolezza ed "esigibilità" del provvedimento medesimo, così come ammesso dalla giurisprudenza della Cassazione; ciò che potrà consentire, dunque, la valutazione dell’adeguatezza della misura adottata e delle sue modalità applicative con riguardo al minore, alla luce delle finalità dell’art. 31, secondo comma, della Costituzione, in vista di un giudizio prognostico che deve attingere, come ha precisato la giurisprudenza di legittimità, non a dati formali, bensì alla concreta ed attuale pericolosità del soggetto, quale presupposto di giustificazione ed idoneità della misura stessa in relazione allo scopo cui é preordinata (Cass. n. 284 del 1997).

  Al riguardo giova considerare che il questore, oltre a stabilire la durata dell’obbligo entro il termine massimo dell’anno, é tenuto a individuare l’orario di presentazione nell’ambito del "periodo di tempo in cui si svolgono le competizioni agonistiche". Nel quadro del già menzionato giudizio di ragionevolezza, il fatto che al giudice per le indagini preliminari competa soltanto di convalidare o meno il provvedimento non esclude che, in ordine alla decisione da prendere, assumano rilievo, nella complessiva valutazione da effettuare, le modalità applicative concretamente determinate dal questore, in quanto eventualmente suscettibili di porsi in contrasto con le esigenze educative del minore.

  8.— Inammissibile va considerata, infine, la questione relativa alla disposizione del comma 8, denunciato, in riferimento al comma 2 del medesimo art. 6, sempre per contrasto con l’art. 31, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui rimette al questore e non invece al giudice, la facoltà di autorizzare, "per gravi e comprovate esigenze", il destinatario del provvedimento restrittivo "a comunicare per iscritto il luogo di privata dimora o altro diverso luogo nel quale sia reperibile durante lo svolgimento di specifiche manifestazioni agonistiche".

  Il rimettente, infatti, ha omesso qualsiasi cenno di motivazione in ordine alla rilevanza della censura così sollevata, non risultando, dal tenore dell’ordinanza, nè che alcun provvedimento sia stato già assunto in tal senso dall’autorità di pubblica sicurezza (della quale sono, invero, impugnati esclusivamente i provvedimenti ex commi 1 e 2 dell’art. 6), nè che richieste di autorizzazione siano state proposte da parte dell’interessato, nè, in ogni caso, che il giudice a quo abbia verificato l’esistenza di situazioni di per sè riconducibili "alle gravi e comprovate esigenze" di cui al dettato legislativo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara:

  a) inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 8, in riferimento al comma 2, della legge 13 dicembre 1989, n. 401 (Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento delle competizioni agonistiche), come sostituito dall’art. 1 della legge 24 febbraio 1995, n. 45 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 dicembre 1994, n. 717, recante misure urgenti per prevenire fenomeni di violenza in occasione di competizioni agonistiche) sollevata, in riferimento all’art. 31, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale per i minorenni di Firenze, con l’ordinanza in epigrafe;

  b) non fondata la questione di legittimità costituzionale del predetto art. 6, commi 2 e 3, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal medesimo Giudice con l’ordinanza in epigrafe;

  c) non fondata la questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 6, comma 3, sollevata, in riferimento all’art. 31, secondo comma, della Costituzione, dallo stesso Giudice con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 aprile 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Massimo VARI

Depositata in cancelleria il 23 aprile 1998.