ORDINANZA N.94
ANNO 1998
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 335, comma 1, 405, comma 2, e 406, comma 8, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 5 giugno 1997 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Oristano, iscritta al n. 509 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 1997.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell’11 marzo 1998 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.
Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Oristano, delibando favorevolmente la relativa eccezione proposta nel corso della udienza preliminare, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 335, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui non indica "con determinazione" il termine entro il quale il pubblico ministero deve iscrivere nell’apposito registro il nome della persona alla quale é attribuito il reato, dell’art. 405, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che i termini per le indagini preliminari decorrano dal momento in cui emergono indizi di reità a carico della persona indagata invece che dalla data della iscrizione del relativo nominativo nel registro delle notizie di reato, nonchè, infine, dell’art. 406, comma 8, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che non possano essere utilizzati gli atti di indagine compiuti in assenza di iscrizione immediata della persona nei cui confronti sono emersi indizi di reità;
che a parere del giudice a quo, la disposizione dettata dall’art. 335 cod. proc. pen. non prevede alcun termine entro il quale il pubblico ministero deve procedere alla iscrizione della notizia di reato e del nominativo della persona cui il reato stesso é attribuito, il che assegnerebbe allo stesso organo un ambito di valutazione discrezionale e insindacabile nella individuazione degli elementi idonei a determinare l’iscrizione;
che da tale discrezionalità del pubblico ministero scaturirebbe, ad avviso del rimettente, una situazione di disparità di trattamento fra indagati, in quanto per essi i tempi più o meno lunghi di definizione della fase delle indagini vengono fatti dipendere dalle diverse valutazioni compiute da ciascun pubblico ministero in ordine alla sussistenza o meno degli indizi di reità a loro carico;
che violati sarebbero anche i principi e criteri direttivi dettati dall’art. 2, numeri 35 e 48, della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, giacchè, avendo il codice riprodotto quelle stesse formule, necessariamente generiche, solo apparentemente avrebbe dato attuazione ai principi medesimi, che al contrario postulavano "specifiche indicazioni cogenti in ordine ai tempi e modi di esercizio delle anzidette funzioni del p.m. nella fase delle indagini preliminari";
che vulnerato risulterebbe, infine, l’art. 24 della Costituzione, in quanto la dedotta disparità di trattamento si risolverebbe anche in una violazione del diritto di difesa, che deve essere tutelato pure nella fase delle indagini preliminari;
che nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata.
Considerato che dalla ordinanza di rimessione non é dato comprendere se in concreto sussistano e quali siano gli atti delle indagini preliminari che dovrebbero essere coinvolti dalla sanzione di inutilizzabilità che lo stesso rimettente mira in ultima analisi a far scaturire dalla articolata denuncia sottoposta all’esame di questa Corte;
che, in particolare, il giudice a quo ha omesso di motivare in punto di rilevanza se l’inutilizzabilità si rifletta su specifici atti eventualmente compiuti prima della iscrizione della notizia di reato e del nominativo dell’indagato nel registro previsto dall’art. 335 cod. proc. pen., ovvero se la stessa debba travolgere gli atti espletati dopo la scadenza del termine di durata delle indagini preliminari, computato non dalla data di iscrizione, ma da quello in cui sono emersi indizi di reità a carico della persona indagata;
che accanto a tali rilievi ed alla obiettiva ambiguità del petitum, oscillante fra più alternative nessuna delle quali univocamente additata, sta anche l’impossibilità per questa Corte di indicare "con determinatezza il termine entro il quale il pubblico ministero deve iscrivere nell’apposito registro il nome della persona alla quale é attribuito il reato", che, pure, il rimettente ha enunciato come quesito additivo posto a fulcro delle dedotte censure.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 335, comma 1, 405, comma 2, e 406, comma 8, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 76 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Oristano con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 marzo 1998.
Presidente: Renato GRANATA
Redattore: Giuliano VASSALLI
Depositata in cancelleria il 1° aprile 1998.