Sentenza n. 13/98

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SENTENZA N.13

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio promosso con ricorso della Regione Lombardia, notificato il 7 maggio 1997, depositato in Cancelleria il 22 successivo, per conflitto di attribuzione sorto a seguito del decreto del Ministro della sanità 28 febbraio 1997, recante "Attività libero-professionale e incompatibilità del personale della dirigenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale", iscritto al n. 30 del registro conflitti 1997.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 25 novembre 1997 il Giudice relatore Gustavo Zagrebelsky;

uditi gli avvocati Giuseppe F. Ferrari e Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Lombardia e l'avvocato dello Stato Oscar Fiumara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Con ricorso regolarmente notificato e depositato la Regione Lombardia ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in riferimento al decreto del Ministro della sanità 28 febbraio 1997, recante "Attività libero-professionale e incompatibilità del personale della dirigenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale", e in particolare agli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 11.

Secondo la ricorrente il decreto del Ministro della sanità sarebbe invasivo delle competenze regionali in quanto contiene una disciplina amplissima, dettagliata e penetrante di tutti i profili (economici, giuridici, procedurali e organizzativi) della libera professione, esorbitando pertanto dai limiti legislativamente fissati, in violazione degli artt. 3, 5, 97, 117 e 118 della Costituzione, con riferimento agli artt. 5, 6, 7, 15, 17, 18, 22, 47 e 55 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, all'art. 35 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, all'art. 4 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni, all'art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, all'art. 1, comma 14, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nonchè al principio di legalità.

Inoltre, soltanto un atto di indirizzo e coordinamento, adottato dal Consiglio dei ministri ai sensi dell'art. 2, comma 3, della legge n. 400 del 1988 avrebbe potuto assicurare l'unitarietà e il coordinamento delle discipline; di qui la prospettata violazione degli artt. 5, 97, 117 e 118 della Costituzione, in relazione all'art. 2, comma 3, e all'art. 17, comma 4, della legge n. 400 del 1988, all'art. 4, comma 10, del decreto legislativo n. 502 del 1992, all'art.1, commi 8, 10, 11 e 14 della legge n. 662 del 1996.

Il decreto ministeriale impugnato, pretendendo di disciplinare materie di competenza regionale, violerebbe poi gli artt. 5, 97, 117 e 118 della Costituzione, in relazione all'art. 17 della legge n. 400 del 1988 e al principio della separazione delle competenze fra fonti secondarie statali e fonti regionali, più volte ribadito dalla giurisprudenza costituzionale.

Lesivo delle competenze regionali sarebbe altresì il tentativo di creare un rapporto diretto tra il Ministero della sanità e i direttori generali delle unità sanitarie locali, ai quali é attribuita potestà regolamentare (art. 4) da esercitare anche al di fuori delle direttive regionali (se non siano date entro trenta giorni dall'entrata in vigore del decreto), in contrasto, oltre che con gli artt. 5, 97, 117 e 118 della Costituzione, con gli artt. 2 e 3 del decreto legislativo n. 502 del 1992 e con gli artt. 3, 7, 11, 53 e 55 della legge n. 833 del 1978.

Infine, l'art. 4, comma 2, lettera b), che consente al regolamento emanato dal direttore generale della unità sanitaria locale di individuare la struttura ospedaliera, pubblica o privata, con la quale effettuare convenzioni per permettere lo svolgimento di attività libero-professionale fuori sede, qualora sia impossibile assicurare tale svolgimento all'interno, e l'art. 11, sulla disciplina dei servizi ispettivi e di vigilanza, violerebbero le competenze regionali in materia di programmazione sanitaria, in contrasto con gli artt. 5, 117 e 118 della Costituzione, in relazione agli artt. 3, 11, 53 e 55 della legge n. 833 del 1978 e agli artt. 1, 2, 3 e 4 del decreto legislativo n. 502 del 1992.

2. - Nel giudizio di fronte alla Corte costituzionale si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l'infondatezza delle censure.

3. - In prossimità dell'udienza la Regione Lombardia ha depositato una memoria, chiedendo alla Corte di dichiarare la cessazione della materia del contendere, in quanto il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con pronuncia confermata dal Consiglio di Stato, ha sospeso l'efficacia dell'atto impugnato e, a seguito del decreto-legge 20 giugno 1997, n. 175, convertito nella legge 7 agosto 1997, n. 272, il Ministro della sanità ha adottato nuovi decreti in materia.

Anche l'Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria: rilevato che il sopravvenuto decreto-legge 20 giugno 1997, n. 175, ha operato una "legificazione" degli artt.1, 2, 3 e 11 del decreto ministeriale impugnato e una "novazione" degli artt. 4 e 5 del medesimo decreto, e che sono stati adottati nuovi decreti ministeriali, conclude per l'inammissibilità sopravvenuta del ricorso per conflitto di attribuzione. La lamentata lesione della sfera di competenza regionale derivata dagli artt. 1, 2, 3 e 11 del decreto ministeriale infatti, sarebbe da ricondurre non al decreto, ma al successivo atto di normazione primaria, che avrebbe dovuto essere impugnato in via principale. Quanto alla lesione in ipotesi derivata dagli artt. 4 e 5 del decreto ministeriale 28 febbraio 1997, la caducazione della normativa secondaria operata dall'art. 4 del decreto-legge n. 175 del 1997 avrebbe determinato una sopravvenuta carenza di interesse.

Considerato in diritto

La Regione Lombardia solleva conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione al decreto del Ministro della sanità del 28 febbraio 1997, recante disposizioni in tema di "Attività libero-professionale e incompatibilità del personale della dirigenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale", con riguardo, in particolare, agli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 11. Ad avviso della ricorrente, essi si porrebbero in contrasto: con gli artt. 3, 5, 97, 117 e 118 della Costituzione; con gli artt. 3, 5, 6, 7, 11, 15, 17, 18, 22, 47, 53 e 55 della legge 23 dicembre 1978, n. 833; con l'art. 35 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761; con gli artt. 1, 2, 3 e 4 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502; con gli artt. 2, comma 3, e 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, nonchè con l'art. 1, commi 8, 10, 11 e 14, della legge 23 dicembre 1996, n. 662.

Nelle more del giudizio, é entrato in vigore il decreto-legge 20 giugno 1997, n. 175, convertito nella legge 7 agosto 1997, n. 272, che ha, in parte, assunto in sè il contenuto dell'atto governativo impugnato e, per altra parte, ha previsto l'emanazione di nuovi decreti ministeriali. A seguito di tale normativa, il Ministro della sanità ha adottato due nuovi decreti in materia (entrambi in data 31 luglio 1997), sotto il titolo, rispettivamente, "Linee guida dell'organizzazione dell'attività libero-professionale intramuraria della dirigenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale" e "Attività libero professionale e incompatibilità del personale della dirigenza sanitaria del S.S.N.", decreti sostitutivi di quello dal quale il presente conflitto ha preso avvio. L'efficacia di quest'ultimo, d'altro canto, era stata oggetto di sospensione a seguito dell'ordinanza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio (9 giugno 1997, n. 1626), l'appello contro la quale é stato poi respinto dal Consiglio di Stato (Sez. IV, ordinanza 2 luglio 1997, n. 1284). Con decreto ministeriale 11 giugno 1997, recante "Fissazione dei termini per l'attivazione dell'attività libero-professionale intramuraria", a seguito della pronuncia di sospensione, il termine per l'attuazione delle disposizioni del decreto ministeriale impugnato era stato, comunque, spostato al 30 giugno del 1997, oltre la data, quindi, dell'entrata in vigore del decreto-legge che ha ridisciplinato la materia.

Dalla predetta successione nel tempo degli atti menzionati, risulta che nessun effetto, prima della sua sospensione, l'atto impugnato in sede di conflitto ha prodotto nei confronti della Regione ricorrente.

Alla stregua di quel che precede, conformemente a quanto le parti hanno, nella sostanza, concordemente riconosciuto - concludendo peraltro l'una per la cessazione della materia del contendere, l'altra per la sopravvenuta carenza di lesività degli atti alla base del conflitto ovvero per la sopravvenuta carenza di interesse -, non vi é motivo comunque di procedere oltre nel presente giudizio, poichè l'atto che la ricorrente ha assunto come lesivo delle proprie competenze non ha prodotto effetti nè é più idoneo a produrli.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara improcedibile il conflitto di attribuzione promosso, con il ricorso indicato in epigrafe, dalla Regione Lombardia nei confronti dello Stato, in relazione al decreto del Ministro della sanità del 28 febbraio 1997, recante disposizioni in tema di "Attività libero-professionale e incompatibilità del personale della dirigenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale".

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Gustavo ZAGREBELSKY

Depositata in cancelleria il 5 febbraio 1998.