SENTENZA N.450
ANNO 1997
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA, Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Prof. Fernando SANTOSUOSSO
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 108 del codice di procedura penale promosso con ordinanza emessa il 5 dicembre 1996 dal Pretore di Napoli, sezione distaccata di Marano, nel procedimento penale a carico di Bortone Mario ed altro, iscritta al n. 143 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1997.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 1° ottobre 1997 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.
Ritenuto in fatto
1. - Con atto notificato il 14 aprile 1994 Bortone Mario e Gallo Guglielmo venivano citati a giudizio del Pretore di Napoli, sezione distaccata di Marano, per rispondere del reato di cui agli articoli 113, 589 e 40 cod. pen. (cooperazione nel delitto di omicidio colposo) per aver provocato in concorso tra loro, rispettivamente il primo nella qualità di capo cantiere ed il secondo nella qualità di direttore di cantiere, la morte di Ferrara Luigi, avvenuta il 29 giugno 1992.
Dopo numerosi rinvii delle udienze dovuti a cause varie, all'udienza del 5 dicembre 1996 i due difensori del secondo imputato, dopo che un'istanza di rinvio presentata da uno di essi era stata disattesa perché intempestiva, non erano comparsi e ciò aveva reso necessario per il Pretore nominare per l'imputato predetto altro difensore come sostituto a' sensi dell'art. 97, comma 4, del codice di procedura penale.
Il difensore d'ufficio, nominato come sostituto dei difensori di fiducia non comparsi, ebbe a formulare, prima dell'apertura del dibattimento, richiesta di assegnazione di un termine per la difesa a' sensi dell'art. 108 cod. proc. pen. Il P.M. non si oppose, ma i difensori della parte civile costituita e delle parti offese ebbero a eccepire l'inammissibilità di detta richiesta in quanto fatta in mancanza dei presupposti di legge, e precisamente al di fuori dei casi di rinuncia, revoca, incompatibilità e abbandono, rilevando che queste erano ipotesi tassative, non estensibili al difensore nominato d'ufficio nel caso di mancata comparizione del difensore (o dei difensori) di fiducia.
Il Pretore, preso atto dei dubbi di costituzionalità sollevati sull'art. 108 dal difensore del primo imputato, e dopo aver posto l'accento sulla tassatività delle ipotesi in detto articolo previste, così da non rendersi possibile risolvere la questione in via interpretativa, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'articolo stesso, nella parte in cui non prevede la possibilità per il difensore designato a' sensi dell'art. 97, comma 4, nel caso di assenza del difensore di fiducia di richiedere un termine per la difesa.
Secondo il giudice rimettente la mancata ricomprensione dell'assenza del difensore di fiducia tra i presupposti per la concessione del termine per la difesa si pone in evidente contrasto con l'art. 3 Cost. in quanto si traduce in una irragionevole discriminazione della suddetta ipotesi rispetto ad altre situazioni "analoghe, anche se non giuridicamente assimilabili tra loro", quali la rinuncia da parte del difensore di fiducia che abilita a richiedere il termine per la difesa pure essendo questa posizione in nulla differente dalla condizione processuale del difensore designato a causa della assenza del difensore di fiducia. Altro motivo di contrasto con il principio di eguaglianza sarebbe, secondo il rimettente, quello derivante dal confronto della denunciata situazione con quella del difensore d'ufficio dell'imputato sottoposto al giudizio direttissimo, che può giovarsi della facoltà a quest'ultimo riconosciuta dagli articoli 451, comma 6, e 566, comma 7, cod. proc. pen.
La disposizione impugnata sarebbe altresì in contrasto con l'art. 24, secondo comma, Cost., perché la denunciata lacuna legislativa, oltre a relegare in una posizione secondaria la difesa di ufficio intervenuta per l'assenza dell'avvocato di fiducia, finirebbe per violare il diritto dell'imputato ad avere una difesa effettiva e non meramente simbolica.
2. - Nel giudizio davanti alla Corte è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo una dichiarazione di infondatezza della questione.
A tale conclusione l'Avvocatura dello Stato perviene non concordando con l'interpretazione dell'art. 108 cod. proc. pen. data dal giudice a quo. Ed infatti, se appare difficile un'interpretazione estensiva della norma impugnata, che faccia leva sul dato testuale dell' "abbandono", in modo da comprendere in esso le ipotesi di semplice assenza, nulla osta ad una interpretazione analogica, che ricomprenda tra i presupposti per l'applicabilità dell'art. 108 anche la mancata comparizione del difensore di fiducia ed eviti così "attenuazione del diritto di difesa" e "sperequazione nel trattamento di ipotesi simili".
Considerato in diritto
1. - In un procedimento per cooperazione in omicidio colposo, che vedeva non comparsi all'udienza dibattimentale i due difensori di uno dei due imputati e nel quale pertanto era stato necessario provvedere alla designazione come sostituto di un difensore d'ufficio, a' sensi dell'art. 97, comma 4, del codice di procedura penale, il Pretore di Napoli, sezione distaccata di Marano, dopo che il sostituto designato aveva chiesto un termine per la difesa a' sensi dell'art. 108 stesso codice e dopo che il difensore di fiducia dell'altro imputato, nell'appoggiare la richiesta, aveva formulato dubbi di costituzionalità dell'articolo stesso, ha sollevato questione di legittimità costituzionale del citato articolo in quanto non comprende tra i presupposti per la concessione di un termine per la difesa al difensore designato che ne faccia richiesta anche la semplice assenza dall'udienza del difensore di fiducia.
Premette il giudice rimettente di non ritenere possibile una interpretazione dell'art. 108, che comprenda anche l'ipotesi della mancata comparizione del difensore di fiducia all'udienza, dovendosi ritenere tassativa la elencazione delle ipotesi formulate nel suddetto articolo: rinuncia, revoca, incompatibilità ed abbandono della difesa. E sulla base di questa interpretazione denuncia la lacuna come costituzionalmente illegittima perché la mancata ricomprensione nell'art. 108 dell'ipotesi dell'assenza si pone in contrasto con l'art. 3 Cost. sotto un duplice profilo: in quanto si traduce in un'irragionevole discriminazione della suddetta ipotesi rispetto ad altre situazioni analoghe contemplate nell'art. 108 (quali ad esempio - dice sempre il rimettente - la rinuncia del difensore di fiducia) e in quanto discrimina la situazione del sostituto designato ex art. 97, comma 4, in caso di mancata comparizione del difensore di fiducia da quella che viceversa è fatta al difensore d'ufficio dell'imputato sottoposto al giudizio direttissimo, il quale ha diritto, ove ne faccia richiesta, ad un congruo termine per la difesa secondo le previsioni degli articoli 451, comma 6, e 566, comma 7, del codice di procedura penale.
La disposizione denunciata sarebbe inoltre in contrasto, sempre per effetto della rilevata lacuna normativa, con l'art. 24, secondo comma, Cost., perché, oltre a relegare in posizione secondaria la difesa di ufficio intervenuta per l'assenza del difensore di fiducia, finirebbe per violare il diritto dell'imputato ad avere una difesa effettiva e non meramente simbolica.
2. - La questione non è fondata.
3. - Va presa anzitutto in esame la tesi dell'Avvocatura generale dello Stato, che, disattendendo l'interpretazione posta alla base dell'ordinanza del giudice rimettente, sostiene che sia possibile considerare la semplice assenza del difensore di fiducia tra i presupposti del diritto del difensore designato d'ufficio ad un termine per la difesa, e ciò in forza di una "interpretazione analogica" dell'art. 108.
Per valutare questa tesi va preso in esame il sistema risultante in materia di termini per la difesa dal complesso di disposizioni che si intrecciano a costituire la disciplina contenuta nel codice di procedura penale.
Vengono anzitutto in considerazione gli articoli 97, comma 4, e 102 del codice di procedura penale.
Collocato sotto la rubrica "Difensore d'ufficio", comune a tutte le previsioni dell'art. 97, il comma 4 di detto articolo si occupa della figura del sostituto d'ufficio, che è un difensore d'ufficio particolare, previsto per i casi in cui il difensore vero e proprio, di fiducia o d'ufficio nominato ai sensi dei precedenti commi 2 e 3 dell'articolo, non è stato reperito, non è comparso o ha abbandonato la difesa. A detto sostituto, designato dal giudice o dal pubblico ministero tra quelli immediatamente reperibili, si applicano le disposizioni dell'art. 102. Tale articolo si riferisce alla figura del sostituto del difensore di fiducia (o anche del difensore d'ufficio), designato dal difensore per il caso di impedimento e per tutta la durata di questo. Le due figure del sostituto d'ufficio ex art. 97, comma quarto (non importa se sostituto del difensore d'ufficio o sostituto del difensore di fiducia che non abbia provveduto alla designazione di un sostituto) e del sostituto designato dal difensore di fiducia (o d'ufficio) sono dunque due figure parallele, per le quali il codice ha inteso dettare una identica disciplina.
Comune ad entrambe è infatti la particolare posizione di sostituto, non nominato o designato né all'inizio del procedimento né in altro momento precedente gli eventi della mancata comparizione, della non reperibilità e dell'abbandono.
Altra disposizione di rilievo nella materia è l'art. 486, comma 5, riferibile al solo dibattimento, nel quale è contemplata una sottofattispecie dell'assenza del difensore, e cioè quella assenza che è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento purché prontamente comunicato. Nel dibattimento nel quale è stata sollevata la presente questione la disposizione suddetta non sarebbe stata invocabile perché l'imputato aveva due difensori, nessuno dei quali era comparso all'udienza.
Infine viene in considerazione l'art. 108, che è la disposizione in relazione alla quale è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale.
Dispone tale articolo, intitolato "Termine per la difesa", che nei casi di rinuncia, di revoca, di incompatibilità e nel caso di abbandono, al nuovo difensore dell'imputato o a quello designato in sostituzione che ne fa richiesta è dato un termine congruo, di norma non inferiore a tre giorni, per prendere cognizione degli atti e per informarsi sui fatti oggetto del procedimento.
Indubbiamente l'enunciazione contenuta nell'articolo, con la elencazione di quattro fattispecie precise (rinuncia, revoca, incompatibilità e abbandono della difesa), ha formalmente tutti i caratteri tipici delle enunciazioni tassative. Tuttavia è necessario domandarsi se vi sia una ratio comune a queste ipotesi e perché non figuri accanto ad esse quella ipotesi dell'assenza (per mancata comparizione o per non reperibilità), che il legislatore ha disciplinato per varie altre conseguenze e a fianco della quale, fra l'altro, nell'art. 97, comma 4, tra i presupposti della designazione di un sostituto d'ufficio figura proprio l'abbandono della difesa.
E' facile avvedersi della ratio comune alle quattro ipotesi contemplate nell'art. 108 se si pensa che in ognuna di esse l'imputato rimane privo di difensore. Nei casi di rinuncia, di revoca o di incompatibilità del difensore la privazione è definitiva, mentre nel caso dell'abbandono la privazione può essere temporanea, tanto che il difensore che abbia abbandonato la difesa dell'imputato può riprendere il proprio ruolo ogniqualvolta ricompaia. Ma ciò non basta per assimilare la semplice assenza non motivata all'abbandono perché in quest'ultimo vi è sempre qualche elemento, anche se non formale, di certezza, che permette di asserire che l'imputato è rimasto privo di difensore, e ciò anche se in alcune fattispecie concrete tale privazione può rivelarsi come solamente temporanea. L'abbandono, considerato anche come illecito, è comunque un istituto per il quale (così come per il rifiuto di assumere la difesa di ufficio) è dettata dall'art. 105 una apposita disciplina, la quale investe anche i motivi dell'abbandono e dà con questo a tale fattispecie una sua configurazione del tutto particolare. Nel dettare la disciplina generale per il termine a difesa, la legge ha preferito collocare l'abbandono accanto alla rinuncia, alla revoca, all'incompatibilità proprio per questo comune risultato che in tutte si verifica di lasciare l'imputato privo di difensore, e dare così la prevalenza a questo carattere rispetto a quei caratteri che l'abbandono ha invece in comune con l'assenza e che si riducono, in definitiva, alla possibilità di riassumere in ogni momento l'effettività della difesa senza bisogno di alcuna nuova nomina o d'altra formalità.
La semplice assenza è invece una ipotesi molto diversa, che può risalire ai più diversi motivi ed essere espressiva di situazioni assai diverse tra loro: può essere dovuta ad un impedimento improvviso non potuto comunicare né all'imputato né al magistrato procedente, può essere dovuta ad un semplice ritardo, può essere espressione di una scelta deliberata nel quadro di una strategia difensiva, e perfino di una strategia comunicata all'imputato o ad altri difensori. Di essa non si può dire, come per le fattispecie espressamente contemplate nell'art.108, che privi l'imputato della difesa né che si formalizzi in modo analogo a quello proprio delle fattispecie suddette.
La Corte di cassazione, anche con una sentenza delle Sezioni unite (11 novembre-19 dicembre 1994, Nicoletti), ha avuto modo di precisare che nelle situazioni che di per sé non comportano la revoca del mandato per il difensore di fiducia o la dispensa dall'incarico per il difensore d'ufficio (situazioni alle quali la legge sopperisce a' sensi dell'art. 97, comma 4, con la designazione di un sostituto), "il titolare dell'ufficio di difesa rimane sempre l'originario difensore designato, il quale, cessata la situazione che alla sostituzione ha dato causa, può riprendere immediatamente il suo ruolo e ricominciare le sue funzioni, non richiedendo la legge, proprio per la immutabilità della difesa e per l'automatismo della reintegrazione, comunicazioni o preavvisi di sorta".
Per questo il legislatore ha ritenuto (eccezion fatta per l'assenza in dibattimento motivata da legittimo impedimento tempestivamente conosciuto, per cui provvede l'art. 486, comma 5, già sopra richiamato) di non poter dare alla semplice assenza del difensore altra conseguenza se non quella della designazione immediata di un sostituto: al quale peraltro sono assegnati gli stessi diritti e doveri del sostituto di cui all'art. 102, e cioè di un soggetto al quale nessuno ha mai inteso riconoscere un autonomo diritto al termine per preparare la difesa. Egli rappresenta il difensore a tutti gli effetti e la legge ne presume la preparazione adeguata.
Queste, in sintesi, le ragioni per le quali deve ritenersi valida l'interpretazione dell'art. 108 fornita dall'ordinanza del giudice rimettente e non è viceversa accettabile la soluzione interpretativa proposta dall'Avvocatura dello Stato. Mentre una interpretazione estensiva della nozione di abbandono, come già rilevato, non è proposta neanche dall'Avvocatura, un ricorso analogico è da escludersi per mancata esistenza di una ratio comune all'ipotesi dell'assenza e a quelle espressamente contemplate nell'art. 108.
4. - Così delineato per sommi capi il quadro normativo vigente, deve ora prendersi in esame la questione di legittimità costituzionale dell'art. 108 sollevata dal Pretore di Napoli sotto il duplice profilo della lesione del principio di eguaglianza e della lesione del diritto di difesa giudiziaria.
L'art. 3 della Costituzione è richiamato dall'ordinanza del giudice rimettente sotto un duplice aspetto: per la comparazione con situazioni definite analoghe a quella dell'assenza del difensore, come la rinuncia, e per la comparazione con i termini per la difesa previsti per il rito direttissimo: dieci giorni nel giudizio davanti al tribunale o alla corte di assise (art. 451, comma 6, del codice di procedura penale), cinque giorni nel giudizio davanti al pretore (art. 566, comma 7, dello stesso codice).
Sotto il primo profilo debbono invocarsi considerazioni simili a quelle svolte, nel precedente paragrafo, a proposito della ricostruzione del sistema dettato per la sostituzione del difensore assente. La semplice assenza, non sorretta da un legittimo impedimento, è istituto del tutto diverso da quello dell'abbandono della difesa, e, a maggior ragione, da quello della rinuncia, specificamente richiamato come tertium comparationis dal giudice a quo. E d'altra parte il sostituto del difensore (non importa se designato a' sensi dell'art. 97, comma 4, dal magistrato procedente, o dal difensore di fiducia o d'ufficio a' sensi dell'art. 102) è figura del tutto diversa da quella del nuovo difensore designato nelle ipotesi di rinuncia, revoca, incompatibilità e abbandono di difesa. Il primo è chiamato a partecipare al processo in surroga del difensore assente, che ancora deve considerarsi a tutti gli effetti difensore dell'imputato, come ripetutamente riconosciuto anche dalla Corte di cassazione, in particolare nella decisione più sopra ricordata. Egli non è portatore di una soggettività difensiva autonoma, proprio perché il dominus della difesa non scompare dal processo, né di diritto (come nei casi di rinuncia, revoca e incompatibilità) né di fatto, come nel caso di abbandono, per cui pure subentra un sostituto fino a che la situazione non sia chiarita o con il rientro nella effettività delle funzioni difensive o con la revoca o con la rinuncia. Quello del sostituto è dunque un intervento estemporaneo ed episodico, fatto per sopperire alle esigenze immediate della difesa, e non può essere paragonato all'intervento del nuovo difensore né a quello del difensore temporaneamente sostituito.
Quelle denunciate dal giudice rimettente come situazioni meritevoli di un medesimo trattamento sono dunque, invece, situazioni del tutto eterogenee, delle quali non sembra possibile l'assimilazione: non nel sistema della legge, come già visto, ma neanche dal punto di vista della legittimità costituzionale.
Meno ancora è invocabile il principio costituzionale d'eguaglianza quando si assume come tertium comparationis il sistema previsto per i termini a difesa nel giudizio direttissimo. In tale giudizio, sia che esso si svolga dinanzi al tribunale o alla corte d'assise (artt. 449 e seguenti), sia che esso si svolga dinanzi al pretore (artt. 566-567), l'imputato (arrestato in flagranza di reato) e i suoi difensori vengono a contatto con il giudice per la prima volta ed è dunque necessario assicurare ad essi un congruo termine per preparare la difesa. La situazione è del tutto incomparabile con quella del giudizio ordinario, che si svolge dopo che vi sono state numerose occasioni di contatto con il giudice e di conoscenza degli atti di causa sin dalla fase delle indagini preliminari, per non parlare dei dibattimenti ripetutamente rinviati, come nel caso che ha dato origine alla presente questione.
5. - Esclusa ogni possibilità di invocare a sostegno della questione il parametro rappresentato dall'art. 3 Cost., la questione stessa va tuttavia esaminata sotto il profilo del diritto di difesa giudiziaria, pure invocato dal giudice a quo. Ma anche sotto questo aspetto valgono le considerazioni precedentemente svolte. Ed infatti l'imputato il cui difensore non si presenti all'udienza senza che si sia verificata alcuna delle quattro ipotesi tassativamente contemplate nell'art. 108 non può considerarsi automaticamente privo di difensore. L'avvocato che interviene come sostituto del difensore (di fiducia come d'ufficio) da questo nominato (ex art. 102) o immediatamente designato dal magistrato appena verificatasi l'assenza del difensore (art. 97, comma 4) è investito del compito di rappresentare colui che è e resta il difensore dell'imputato. E non si può dimenticare che anche l'assenza da una determinata udienza può rientrare nel quadro di una "strategia difensiva", in ipotesi concordata con l'imputato o a questo comunicata. Il principio di effettività della difesa in giudizio rimane allora adeguatamente salvaguardato, proprio perché si conservano i diritti e le facoltà propri dell'assistenza difensiva in capo all'unico soggetto chiamato ad esercitarli: il difensore che l'imputato o l'ufficio hanno originariamente designato come tale.
E' ben vero che sul versante degli interessi immediati dell'imputato ad avere, almeno attraverso il sostituto, una difesa informata sui fatti e gli atti di causa, possono verificarsi delle carenze o dei difetti sotto il profilo dell'assistenza tecnica; ma si tratta di profili di mero fatto, che possono realizzarsi in tutte le ipotesi in cui il difensore, per libera scelta, ritenga di astenersi dal presenziare a determinati atti. La sua scelta partecipativa, ove non condizionata da situazioni di impedimento, non può in nessun caso turbare l'ordinato svolgersi del processo, proprio perché essa stessa è espressione di un diritto di difesa, per definizione libero nelle opzioni in cui esso si esprime. E quanto all'esigenza di assicurare la concretezza della difesa attraverso il sostituto d'ufficio designato nella stessa udienza, il giudice potrà sempre concedere allo stesso - tenendo conto della natura della attività da svolgere e della rilevanza che la stessa può assumere in relazione alla specifica posizione dell'imputato - un differimento ad horas per studiare gli atti e congruamente prepararsi alla difesa. Quel che non si può consentire è che attraverso una serie di assenze non previste e non motivate si innesti una serie di rinvii ex art. 108, rinvii che anche se la legge prevede che debbano essere di pochi giorni possono invece portare, come il più delle volte accade nelle condizioni attuali della vita giudiziaria, a intervalli di lunghezza insostenibile per un ordinato svolgimento della giustizia e per gli interessi delle altre parti del processo. Né si può giungere ad eludere il tassativo disposto dell'art. 486, comma 5, del codice di procedura penale, dettato proprio per garantire una adeguata difesa nel corso del dibattimento, attraverso una dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 108 per asserito difetto delle previsioni in esso contenute.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 108 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24, comma secondo, della Costituzione, dal Pretore di Napoli, sezione distaccata di Marano, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1997.
Presidente: Renato GRANATA
Relatore: Giuliano VASSALLI
Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1997.